23 dicembre 2014

"Haz de tu vida un bhajan"

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http://www.dailymotion.com/video/xu9phs_haz-de-tu-vida-un-bhajan-documental-sobre-devotos-de-sai-baba-en-barcelona_lifestyle

Gent.le prof.ssa, cari/e colleghi/e

Il video che condivido con voi su questo blog è il frutto della ricerca di campo che ho svolto nell'annata 2011/2012 durante il Master in Antropologia Visuale presso l'Università UB di Barcellona.
Il prodotto finale della ricerca doveva essere un video della lunghezza di circa 40 minuti.
Vorrei giusto citare un paio di premesse che credo possano essere utili a una migliore contestualizzazione del video stesso e alla problematizzazione di alcune questioni.
All'inizio del master siamo stati divisi, in base ai nostri interessi di ricerca,in cinque gruppi, ognuno con una tematica di ricerca ben definita: nel mio caso “Ritual religioso en contexto urbano”.
Dopo circa un mese di tempo, datoci per prendere le varie decisioni, all'inizio di ottobre (termine di scadenza del periodo di scelta) abbiamo deciso di condurre la nostra ricerca etnografica presso il centro Sai Baba di Barcellona, situato nel quartiere di Gracia.

I motivi della scelta finale sono stati di vario ordine: questo gruppo religioso si è dimostrato molto accogliente nei nostri confronti fin da subito (forse perchè inizialmente ci hanno preso come papabili devoti) e nonostante avessimo tentato di specificare i nostri intenti (fare un video per l'università ecc) si ostinavano a ripetere che se eravamo arrivati fin lì era perchè ci aveva chiamato Sai Baba e che quindi eravamo i benvenuti.
Sai Baba è un “guru indio” (morto giusto l'anno prima in cui abbiamo iniziato a fare ricerca) che ha milioni di devoti in tutto il mondo, sparsi in diversi centri, che predica una religione universale riprendendo una serie di pratiche provenienti dalla tradizione induista e condensando il proprio insegnamento in cinque valori fondamentali: amore, non violenza, pace, rettitudine e verità.
La cosa interessante che abbiamo notato fin da subito era la compresenza di devoti indiani, spagnoli, oltre che latinoamericani e italiani; la divisione dello spazio rituale a seconda del genere (uomini nella parte destra, donne nella parte sinistra) e il ruolo centrale che aveva la musica all'interno della cerimonia.
Il centro veniva aperto circa tre volte a settimana : martedi' per le prove di canto, venerdi' per temi di discussione filosofica o cinema e domenica per la cerimonia principale della settimana, che durava circa un'ora.

Abbiamo quindi iniziato a costruire il nostro campo partecipando agli incontri settimanali (oltre che alla cerimonia domenicale) dove il clima informale favoriva una maggior possibilità di dialogo con i devoti.
Per le prime 3 settimane non abbiamo mai utilizzato la videocamera per rispetto del contesto “sacro” e delle persone con cui ci trovavamo ad agire.
Abbiamo quindi preferito spendere il tempo per costruire le relazioni con le diverse persone che frequentavano il centro e per cercare di spiegare il motivo della nostra presenza lì (impresa inizialmente ardua e non priva di “giri di parole” visto che l'antropologia visuale non è ancora così famosa), per documentarci il più possibile sulla letteratura riguardante Sai Baba, oltre che per vagliare i molteplici approcci teorici e metodologici offerti dalla letteratura antropologica riguardo a temi quali performance, rituale religioso, etnografia visuale, approccio riflessivo ecc...
Un altro interrogativo forte riguardava le tematiche che ci interessava maggiormente raccontare e soprattutto come riuscire a trasmettere delle “storie” possibilmente interessanti attraverso un approccio etnografico audiovisuale critico.
Con questo intendo dire che il video non costituiva un semplice mezzo neutro di raccolta dati, successivamente elaborati nella fase di montaggio, ma un particolare punto di vista dinamico, posizionato e negoziato con tutti gli attori sociali presenti sul campo: non è un caso che i dialoghi più profondi e le riprese migliori siano avvenute tutte nella fase finale quando il grado di confidenza e conoscenza era tale che la telecamera non costituiva un problema, al contrario diventava per molti un’ occasione propizia per raccontare e raccontarsi.
Più che cercare di nascondere la telecamera abbiamo cercato di problematizzare la nostra presenza e quella della telecamera stessa: l'abbiamo data in mano ai fedeli per filmarsi o filmarci in modo tale che perdesse quello statuto di estraneità che all'inizio aveva.
Inoltre abbiamo visionato insieme ai devoti delle riprese di una cerimonia annuale che avevamo editato e montato “come regalo” per loro, in cambio dell'apertura e disponibilità che hanno mostrato nei nostri confronti.
Mi sono dilungato in questa premessa per cercare di chiarire un po' il punto di partenza della nostra ricerca e cercare di evidenziare l'approccio riflessivo che abbiamo portato avanti: mostrando all'interno del video stesso la nostra presenza ingombrante (attraverso l'utilizzo di due telecamere) vogliamo esplicitare il processo che ha portato alla realizzazione del prodotto finale.

Il video è diviso in varie fasi:
inizialmente viene raccontata la storia del centro Sai Baba di Barcelona e di come si è formata questa comunità;
in una seconda fase il dialogo è più incentrato sulle storie personali di alcuni personaggi-chiave, cosa abbia significato l'incontro con Sai Baba e che impatto ha avuto sulla loro vita; la fase finale del video è appunto il rituale domenicale dove si suonano e cantano dei canti sacri (bhajan e mantra).
In questa maniera quasi tutto il video è pensato come una preparazione al rituale principale che costituisce il climax sia del video, sia della vita della maggior parte dei devoti.

Una delle tematiche chiave che emerge dal titolo “Haz de tu vida un bhajan” (Fai della tua vita un canto sacro) e dal video stesso è il ruolo fondamentale della musica non solo nel rituale ma anche nella vita delle singole persone che frequentano questo centro.
Spesso veniva fatta la similitudine fra il nostro corpo e uno strumento musicale: entrambi emettono vibrazioni più o meno armoniche. Essere intonati non è vista come una dote, ma diviene dunque una questione di cammino personale di disciplina spirituale che mira a un maggior equilibrio e pace interiore.

Quest'esperienza, grazie soprattutto alla collaborazione coi miei compagni di gruppo, è stata per me un' incredibile occasione per apprendere a utilizzare il linguaggio visuale in maniera più consapevole. Dalla fase di ripresa, a quella di selezione dei filmati, al successivo montaggio, si è trattato di fare continuamente delle scelte che, per avere un peso all'interno del gruppo di ricerca, dovevano essere argomentate e molto spesso negoziate in maniera “più o meno pacifica”.
Inoltre essendo stata la mia prima “esperienza di campo”, ho avuto modo di capire che il fare antropologia non può essere solo l'applicazione di una serie di teorie e tecniche, ma che si “apprende solo facendo” . Si tratta di un esperienza molto complessa, che si costruisce anche grazie a una serie di gaffe e fraintendimenti e che spesso va oltre gli schemi interpretativi ed epistemologici che l'antropologia offre.
Con questo non voglio dire che questa griglia interpretativa sia inutile, anzi è proprio questa che dà un “taglio antropologico” al lavoro, voglio solo condividere ciò che ho vissuto sulla mia pelle : la frattura che esiste in questa disciplina tra “la teoria in classe” e “la pratica sul campo”, cosa che spesso provoca un forte disorientamento nel momento dell'incontro con l'altro, esperienza che richiede una “esserci totalmente”, dove la sensibilità personale, che non viene certo coltivata durante i corsi di antropologia, riveste un ruolo centrale.

Buona visione

http://www.dailymotion.com/video/xu9phs_haz-de-tu-vida-un-bhajan-documental-sobre-devotos-de-sai-baba-en-barcelona_lifestyle

Alfredo Treccani

10 dicembre 2014

registrazione crediti del semestre mancato

Cari tutti,
vi scrivo per chiedere a tutti gli studenti che hanno concluso o stanno concludendo il loro lavoro nel presente semestre di inviarmi una mail segnalandomi nome/cognome/numero di matricola.
Come già comunicato, durante la pausa estiva il laboratorio ha subito il furto di ogni strumento utile all'attività didattica ed è stato spostato nel secondo semestre sebbene fosse stato pianificato per il primo.
Questo equivale a dire che i prossimi crediti da calendario didattico potranno essere "normalmente" inviati alla fine del secondo semestre (luglio 2015).
Dal momento che alcuni di voi però sono in fase di conclusione del loro percorso di studi e necessitano dei CFU del lab per poter fare domanda di tesi, vi prego di segnalarmi la cosa in modo da inviare un unica mail ad amministrazione ed evitare in questo modo fraintendimenti e ritardi.
Attendo le vostre segnalazioni fino alla fine del mese di Dicembre per poi inviare il tutto all'inizio di Gennaio.
un caro saluto
sara

8 ottobre 2014

Video Fenomeno Zumba

Cari professoressa e colleghi,
buongiorno a tutti. Annunciando che abbiamo caricato il nostro video sul Fenomeno Zumba come da accordo, volevamo approfittare dell'occasione per spendere un paio di parole sul nostro progetto.
Abbiamo deciso di scegliere come oggetto di studio per il nostro video la zumba: un corso fitness di gruppo accompagnato da musica "latineggiante". La motivazione che ci ha spinto a scegliere questo tema è principalmente il fatto che questo corso fitness stia andando per la maggiore negli ultimi anni; inoltre perché anche la sottoscritta, Cristina Ranieri, si è ritrovata nell'ultimo anno a praticarla. La nostra domanda di partenza, prima di svolgere l'etnografia, è stata la seguente: al giorno d'oggi possiamo parlare di fenomeno zumba?
All'interno di questo percorso abbiamo deciso di focalizzarci sul corso di zumba che si svolge nella palestra della sottoscritta: abbiamo ripreso diverse lezioni svolte in questa palestra ed eventi inerenti alla zumba (masterclass ed esibizioni all'aperto); abbiamo intervistato l'insegnante della palestra, cercando di capire cosa fosse la zumba e tutti gli elementi che girano intorno a questo mondo; abbiamo cercato di capire cosa spinge le persone a partecipare a queste lezioni. La ricerca si è svolta nell'aerea della periferia di Milano. Grazie a questo lavoro abbiamo riscontrato che la zumba è un fenomeno che ha contagiato un sacco di persone e che i benefici derivanti da esso non sono solo fisici; la musica contagiosa ed energica fa sì che le persone condividano divertimento, gioia e fatica.

Buona visione

http://www.youtube.com/watch?v=RlbmRGiKqKk&feature=youtu.be

Cristina Ranieri
Jacopo Milelli

6 ottobre 2014

Doing Visual Ethnography - By Sarah Pink


Doing Visual Ethnography – By Sarah Pink.
Riflessioni e linee guida teoriche e pratiche sull'etnografia visuale

Il testo di Sarah Pink, in particolare nella sua terza edizione, si conferma un utile strumento per riconoscere l'importanza che i media hanno nella formazione della conoscenza durante il processo etnografico e come questa conoscenza può essere rappresentata in modo efficacie al fine di raggiungere il maggior numero di persone possibile. Permette quindi di approfondire il tema delle risorse e potenzialità dei mezzi visivi aiutando l'etnografo nei suoi progetti di ricerca sul campo. In particolare nella terza edizione affronta anche temi attuali legati alle pratiche web e ai digital media.

Dal libro di Sarah Pink emergono quindi due aspetti di analisi che affronterò in questo lavoro e che possono essere utili come base per una ricerca sul campo; una parte teorica legata al pensiero e all'approccio nei confronti della ricerca etnografica in relazione alle immagini e alla loro importanza nel comprendere l'esperienza sociale delle persone, ed una parte pratica legata allo svolgimento del lavoro sul campo attraverso l'utilizzo dei diversi mezzi, ovvero fotografia, video e web e a come rappresentare tale conoscenza in un lavoro accademico che possa raggiungere il pubblico. Per dirlo con le parole della Pink, il suo è un libro metodologico, “il cui scopo è mettere insieme elementi teorici e pratici di approccio visivo all'apprendimento e alla conoscenza, del mondo e nel mondo, e comunicare tutto ciò agli altri.” (Pink, 2013, p. 6)

In merito all'aspetto teorico, Sarah Pink stressa alcuni concetti fondamentali:
  • Aspetto interdisciplinare dell'approccio visivo. Un approccio etnografico orientato verso l'aspetto visivo è sempre più riconosciuto in diverse discipline fra cui geografia, medicina, pedagogia, design, ingegneria, pianificazione urbana. Si è ormai entrati a far parte di una pratica di dinamica interdisciplinare ed internazionale, dove l'incorporazione dei mezzi audiovisivi diventa ormai parte del lavoro di ricerca sul campo di ricercatori di varie discipline.
  • Aspetto riflessivo del lavoro etnografico. Tale approccio si focalizza sui concetti di soggettività, collaborazione, creatività e consapevolezza. Mette insieme le idee antropologiche sull'individuo nella società con le teorie visive, al fine di capire come le immagini e le tecnologie interagiscono con la cultura oggetto di studio. Lo scopo dell'etnografo è di capire le pratiche visive e le immagini che sono parte del mondo delle altre persone e allo stesso tempo avere un approccio riflessivo sulle proprie pratiche visive e immagini e sulla conoscenza ad esse associata. L'etnografia visiva si presenta quindi come un processo di apprendimento ed esperienza piuttosto che come una forma di 'data collecting'. Per la Pink l'etnografia è “una metodologia e un approccio per sperimentare, interpretare e rappresentare esperienze, culture, società e ambiente sensoriale e materiale che influenza ed è influenzato da diverse agende disciplinari e principi teorici.” (Pink, 2013, p. 34). Lo scopo quindi dell'etnografia non è di produrre un verità oggettiva o una descrizione veritiera della realtà ma di presentare una versione dell'esperienza dell'etnografo in merito alla realtà analizzata che sia fedele al contesto tenendo conto che tale esperienza è frutto di un lavoro di negoziazione e intersoggettività. L'approccio riflessivo riconosce quindi la centralità della soggettività del ricercatore nella produzione e nella rappresentazione della conoscenza. Il ricercatore quindi deve essere consapevole di come la sua storia ed esperienza personale influenza il suo lavoro e di come gli altri soggetti lo percepiscono. Ciò comporta l'applicazione di metodi collaborativi e partecipativi. Secondo la Pink ciò che fa di un'immagine, un testo, un'idea etc un pezzo di conoscenza etnografica è la sua interpretazione ed il suo inserimento in un determinato contesto.
  • Approccio sensoriale. Le immagini ci permettono non solo di vedere ciò che è evidente ma anche di immaginare le cose che non possiamo vedere. L'immaginazione sta sempre di più diventando un campo etnografico, dove sogni e pensieri interiori diventano oggetti di analisi sul campo. Le immagini sono parte della nostra immaginazione e le pratiche visive ci aiutano ad analizzarle allo scopo di far emergere sentimenti e sensazioni. L'etnografia visiva non è quindi solo un metodo di osservazione ma ci può aiutare ad entrare in una sintonia partecipativa con le persone con cui lavoriamo. Vi è quindi un aspetto intangibile nelle immagini. I video e le foto sono realizzate nella relazione con gli altri per cui sono sia parte del mondo del ricercatore sia parte del mondo e dell'ambiente dei soggetti oggetto della ricerca, creando inevitabilmente un rapporto dove il lavoro dell'etnografo diventa parte della vita delle persone e dove la loro vita diventa parte della ricerca. L'etnografia visuale diventa un modo per comprendere quegli aspetti dell'esperienza che spesso sono sensoriali, taciti e invisibili.
  • Aspetto etico. L'etica dipende dal contesto nel quale ci si trova e dalle relazioni di potere che si creano sul campo fra etnografo, informatori, altri professionisti, sponsors, uffici istituzionali. La Pink suggerisce di fare una riflessione sulle proprie credenze etiche, senza considerarle necessariamente superiori e di crearsi un proprio codice etico personale e professionale, magari facendo riferimento a diverse fonti, tra cui le guide etiche di associazioni professionali. Compito dell'etnografo è essere responsabile assicurandosi di rispettare i principi a cui fa riferimento. Un giusto approccio secondo la Pink è quello che tiene conto della sensibilità con cui le persone nei vari contesti sperimentano ansia e stress per evitare di danneggiare i soggetti. Inoltre bisogna avere un approccio collaborativo e trasparente informando opportunamente i soggetti in merito al consenso alla pubblicazione fin dall'inizio e condividendo con loro il materiale prodotto.

Passando ora all'aspetto più pratico della ricerca diventa importante capire che tipo di metodi e mezzi usare sul campo. A volte è possibile, se non necessario, scegliere ciò prima della partenza, mentre altre volte è possibile decidere sul posto in base alla relazione che si viene ad instaurare con i partecipanti. La Pink suggerisce tre metodi principali di ricerca visiva: photo elicitation (intervistare con le immagini), video tour e participant-produced images. Prima di partire può essere utile cercare online siti web, blogs, forum, video, fotografie per capire come la cultura visiva di una società è rappresentata di solito e analizzare ciò che altri ricercatori hanno fatto prima di noi. In realtà però solo quando si è sul posto si capisce come si può realmente procedere. La Pink quindi suggerisce di avere un approccio aperto alle possibilità durante il processo di ricerca, questo significa che la nostra strategia potrebbe anche dover essere modificata in corso d'opera. E' importante inoltre quando si decide quale tecnologia usare ricordare che una macchina fotografica o un computer saranno parte del contesto di ricerca e diventano elementi dell'identità del ricercatore. I mezzi diventano parte delle relazioni sociali e del modo in cui i partecipanti interagiscono con noi, può diventare argomento di conversazione, collaborazione e condivisione di interessi. Inoltre bisogna tenere conto che in alcune circostanze bisogna vagliare bene aspetti come la marca, la grandezza, il design o la portabilità dell'equipaggiamento e vari aspetti pratici (trasporto, elettricità etc). A volte infatti può essere necessario sacrificare la qualità delle immagini per rappresentare un particolare tipo di conoscenza etnografica, dove immagini scure o sgranate possono essere di maggiore efficacia.

Analizziamo ora i mezzi: fotografia, video, web.

Fotografia
Secondo la Pink non è possibile attribuire una valore di “etnograficità” all'immagine in base al suo contenuto, alla sua forma o al suo potenziale di dato raccolto. Il valore dell'immagine dipende dalla sua interpretazione e dal contesto in cui si colloca. In una foto antropologica non è il soggetto che conta ma il significato che nasconde. Inoltre una foto non ha un singolo significato ma dipende da chi la analizza e in quale contesto. La fotografia è quindi composta da elementi soggettivi, ognuno ha la sua teoria di rappresentazione.
L'etnografo ha una responsabilità, interpreta le immagini in un certo modo dando una visione della realtà che si deve relazionare con le aspettative di molti attori (istituzioni accademiche e culture locali).
La fotografia crea una forma di connessione con la comunità. In alcuni casi la cosa è immediata soprattutto quando i soggetti hanno familiarità con la presenza di fotografi (es. lo studio che la Pink ha fatto sulla corrida in Spagna). Altre volte invece, prima di poter usare la macchina fotografica, è necessario essere riconosciuti come persone di fiducia.

Come usare le fotografie:
  • come mezzo per intervistare e non solo come oggetto di studio, la foto in questo caso diventa un metodo etnografico mobile.
  • Walking and photograpy. È un metodo che sta diventando molto popolare nella ricerca, il cui scopo è rappresentare l'esperienza di ambienti particolari. Chi vede le foto è chiamato a fare un viaggio attraverso le immagini in modo empatico, si crea una relazione con l'ambiente. La fotografia è un processo per creare immagini mentre ci muoviamo nel mondo spesso insieme ad altri. Camminare, fare dei tours e fotografare insieme alle persone è un modo per partecipare al modo in cui sperimentano e danno significato al loro ambiente e ci permette di avvicinarci alla sensorialità del luogo. Quindi, significa muoversi nell'ambiente come parte dell'ambiente stesso.
  • Fotografia partecipativa e collaborativa. Lavorare con uno o più informatori in lavori creativi che uniscono il punto di vista dell'etnografo a quello dei partecipanti. Importante è entrare nella cultura fotografica locale riproducendo le immagini che sono più popolari per loro. Spesso la foto che noi facciamo per rappresentarli non è quella che loro vorrebbero perchè non li rappresenta. Ascoltare come loro vorrebbero essere fotografati è importante per capire l'idea che loro hanno della performance sociale che deve emergere dalla foto. Un' altra possibilità è lasciare che loro facciano delle foto per capire la loro prospettiva, anche perchè possono accedere a contesti che gli etnografi non riescono a vedere. Si può imparare molto osservando come le altre persone usano la fotografia per inserirci nelle loro categorie.
  • Uso della foto nelle interviste (photo elicitation). L'intervista fotografica (metodo creato da John Collins Jnr. 1986) è un modo per invitare, co-creare e generare conoscenza, serve come riferimento per esaminare l'atteggiamento degli informatori nei confronti della vita, del lavoro, del loro ambiente. Le immagini mostrate scattate dall'etnografo sono indicative del modo in cui lui vede la realtà e questo può essere lo spunto per discutere e confrontarsi sul diverso modo di vedere le cose, di rappresentare la realtà e le immagini. Spesso inoltre mostrare le foto diventa un modo per parlare di cose che è difficile descrivere a parole e le foto sono particolarmente efficaci per rievocare ricordi e storie personali perchè alimentano la dimensione sensoriale ed evocativa.

Video
Per la Pink la video etnografia è basata su tre presupposti principali: a) non è possibile filmare o girare un video di persone o culture in modo 'indisturbato'. Le persone saranno sempre influenzate, almeno in parte, dalla presenza del video. L'etnografia è sempre una rappresentazione e quindi è costruita. b) la conoscenza etnografica non si manifesta sempre attraverso fatti osservabili. La conoscenza nasce dalla negoziazione sul campo, non è una realtà oggettiva. c) l'etnograficità di un video non dipende dal suo contenuto ma è contestuale, un video è etnografico quando chi lo vede ritiene che contenga informazioni di tipo etnografico.
Il senso di un video non è quello di portarci indietro nel tempo ma quello di proiettarci in avanti verso una nuova conoscenza. Anche in questo caso l'approccio riflessivo è sempre importante. Per la Pink il video deve essere prodotto di una configurazione di persone e cose in movimento.
Quando si fa un video ci sono due elementi che influenzano le relazione con i partecipanti: le differenze culturali e ambientali e la presenza della videocamera che ha un impatto sulle relazioni fra etnografo e individui coinvolti; la videocamera e la registrazione diventano elementi della relazione.
Osservare la relazione dei partecipanti di fronte alla videocamera può essere molto importante per capire la rappresentazione che loro hanno di sé stessi. Ad esempio, nel lavoro di Manuel Cerezo sugli immigranti africani in Spagna (Tres antropologos inocentes y an ojo si parpado, 1996), i soggetti non hanno apprezzato il video perchè vi vedevano rappresentata la loro condizione di povertà.
Spesso prima di fare il primo video potrebbe trascorrere molto tempo, soprattutto quando i soggetti sono molti ed ognuno ha tempi diversi di adattamento e interazione. A volte però la preparazione del luogo per il video (luci, etc) può essere un modo per interagire.

Come usare i video:
  • Mostrare le immagini ai soggetti. E' un modo per ascoltare le critiche su come l'etnografo ha visto la scena e cosa loro invece vedono attraverso le immagini; questo permette di capire il loro modo di osservare. Cristina Grasseni (Video and ethnographic knowledge, 2004) dice che l'etnografo può, affidandosi agli informatori, sviluppare ciò che lei chiama la 'skilled vision': l'abilità di capire e vedere i fenomeni locali nello stesso modo delle persone con le quali il ricercatore sta lavorando.
  • Creare dei video tour collaborativi. Creare un video in diretta collaborazione con le persone coinvolte, chiedendo loro di essere attori partecipi. Lo scopo è chiedere loro di mostrare a parole e fisicamente alcune loro attività o aspetti della loro vita. (es. lavoro della Pink, Cleaning Homes and Lifestyles, 1999). Il tour video permette alle persone di mostrare le loro esperienze ai ricercatori, offrendoci un modo per cercare di comprenderli.
  • Dare la telecamera ai partecipanti. Lasciare che siano loro a girare il video. Diventa per i soggetti un processo di auto-esaminazione che aumenta la loro consapevolezza e ci permette di raggiungere luoghi e contesti personali e intimi ai quali spesso il ricercatore non ha accesso. Diventa un processo di brokerage culturale. (Chalfen and Rich, 2004).
  • Video partecipativi. Fare un video insieme ai partecipanti è importante non tanto per il risultato finale ma per il processo collaborativo che si produce perchè attraverso questo processo si generano nuovi livelli di coinvolgimento e consapevolezza che servono per produrre conoscenza.

Web
Parlando di web la Pink non vuole semplicemente mostrare come quella particolare piattaforma o tecnologia può essere usata nella etnografia digitale, ma invitare i lettori a vedere nei media digitale nuove opportunità. L'uso dei media è di per sé un progetto di ricerca per sperimentare nuovi metodi.
Dato che la tecnologia digitale è in continua evoluzione per la Pink non è importante parlare dei singoli mezzi tecnologici; nell'era digitale infatti le tecnologie non sono così distinte. Il suo scopo è capire il legame che esiste fra i mezzi usati (foto, video) e internet e le implicazioni legati alla pubblicazione on-line del lavoro dell'etnografo. I video, le registrazioni e le altre tecnologie sono parte di un assemblaggio che compone il materiale on-line. Il tema principale qui infatti è che chi fa etnografia digitale deve stare attendo al significato e alla conoscenza che le informazioni possono produrre nel contatto con il web.
La Pink tratta alcuni esempi di come la fotografia e il video vengono usati per creare comunicazione, interazione e relazioni sociali attraverso il web. Un esempio è lo studio di Fors (Fors et al, 2013) sui giovani svedesi che creano di diari fotografici sul web da condividere con gli amici. I photo diaries forniscono un ricco contenuto per capire cosa è importante per i giovani e permette agli etnografi di entrare nella loro dimensione altrimenti inaccessibile, permette di capire come i giovani vivono fra loro in connessione con l'ambiente e le cose. Quello che questi studi dimostrano è come, coinvolgendo i giovani in un progetti di digital media nella loro vita di tutti i giorni, possiamo creare dei modi per capire il loro mondo anche oltre i media. Lo scopo è comprendere i loro movimenti online e offline.
Ardevol e San Cornelio nel loro lavoro sui video girati nella metro di Madrid (Si quires vamos en accion: Youtube.com, 2007) mostrano come l'analisi dei video online possono diventare oggetto di ricerca etnografica, studiandone sia l'aspetto tecnico sia l'esperienza dei soggetti nella produzione stessa del video e analizzando come la presenza sicura di potenziali spettatori sia parte della creazione del video stesso generando delle aspettative.
I video sul web sono un modo quindi per fare etnografia; inoltre analizzandoli nel corso del tempo si nota come è cambiata la tecnologia, le persone, la società e il loro rapporto con il web. Partendo dal web si può legare la ricerca tradizionale (es. interviste, metodo partecipativo, analisi di testi). Il luogo etnografico diventa quindi non solo quello materiale e fisico ma è il web stesso.

Ogni giorno emergono nuove forme online di etnografia visiva. La Pink indica alcuni esempi come i giornali online che rispetto a quelli tradizionali offrono un'esperienza visiva nuova, più completa, a partire da una maggiore quantità di fotografie, da video accessibili direttamente tramite i links, da layout di testo che sono essi stessi una forma di rappresentazione visiva. Questi giornali offrono un grande potenziale alla pubblicazione della antropologia visuale, perchè i testi si armonizzano alle immagini in maniera più incisiva, con livelli maggiori di coinvolgimento, empatia e rappresentazione della realtà. Un esempio: Visual Ethnography (www.vejournal.org).
Altre forme online di diffusione dell'etnografia visiva sono i siti web e i blogs. Tra gli esempi citati il blog di Cristina Lammer sulle sue ricerche in campo della salute ('Healing Mirrors: Body Arts and Ethnografic Methodologies', 2012), dove attraverso il blog fornisce aggiornamenti continui sul suo lavoro e riesce a raggiungere un vasto pubblico (accademici, artisti, medici), composto sia da persone con cui collabora che da appassionati dell'argomento. In merito ai siti web, la Pink cita invece www.praticagroup.com/pictures_videos.shtml (Sunderland and Denny, 2007) dove pubblicano sia video dei partecipanti che dei ricercatori, dando origine a quello che loro chiamano cinema verité. Rispetto ai giornali online, i blogs e i siti sono spazi digitali dove le ricerche possono essere pubblicate, discusse e presentate mentre si sviluppano, è un processo on-going che viene aggiornato di continuo.

Costruire significati attraverso la classificazione e l'analisi.
La Pink ci dice che dobbiamo tenere un approccio riflessivo anche nei processi di classificazione, analisi e interpretazione del materiale raccolto che riconosce la costruttività delle scienze sociali, dei contesti e delle relazioni e le contingenze attraverso cui i significati sono costruiti.

Come procedere:
- Creare un archivio immagini. La prima cosa da fare è creare un archivio delle immagini attraverso l'uso di software specifici. Le immagini possono essere salvate su hard drives, online o in reti informatiche condivise. A volte questo processo di archivio inizia dopo la fine del lavoro sul campo, ma nell'attuale era digitale la ricerca, l'archivio e l'analisi spesso si sovrappongono e durano per tutto il periodo della ricerca.
La categorizzazione delle immagini dipende dai temi che si vogliono affrontare e dall'uso che se ne deve fare (documentari, presentazione etc).
- Analisi. Le immagini si muovono nel mondo e le loro storie possono assumere significati diversi. Nel momento in cui le immagini abbandonano il campo verranno interpretate attraverso una molteplicità di prospettive diverse. Gli osservatori danno un significato soggettivo e contingente alle immagini, queste ultime quindi devono essere 'collocate'. Importante è ricordare che lo scopo non è tradurre in parole le immagini ma esplorare la relazione fra i vari modi di fare conoscenza (diari di campo, registrazioni video e audio, trascrizioni, letteratura, posts online dei social network, foto amatoriali). Quindi la fotografia non serve per illustrare le note di campo e i video non sono solo la prova dell'intervista, ma immagini e parole si contestualizzano l'uno con l'altro, sono fra loro interdipendenti.
E' necessario inoltre avere un approccio riflessivo, il che significa non rendere il processo solo sistematico, ma tenere conto delle storie, delle emozioni, combinare l'aspetto realista delle immagini alla consapevolezza della loro costruzione soggettiva. Usarle sia come realistic record (come documentazione di sequenze di eventi) sia come forma narrativa pur riconoscendo la contingenza del significato. I significati infatti spesso vengono rivisti per motivi accademici, cambiano a seconda del contesto, questo non significa rimpiazzare ciò che è stato fatto sul campo ma aggiungere un ulteriore strato in modo da creare una biografia dell'immagine. Ogni interpretazione data a un immagine ha un significato antropologico quando legata ad altri livelli di conoscenza.

Come scrivere un testo ed integrarlo alle immagini.
La Pink contesta la dominanza del testo scritto nelle rappresentazioni etnografiche. La rappresentazione della conoscenza etnografica non è solo un fatto di produzione di parole ma di collocare immagini, qualche volta in relazione alle parole scritte, ma anche in relazione ad altre immagini, a dialoghi o suoni. Alcuni studiosi, come George Marcus e Paul Stoller, suggeriscono di scrivere non secondo la forma convenzionale di 'linear narrative' ma attraverso un 'montage text', non è più solo un discorso accademico ma una interazione che nasce in unione con i discorsi degli individui e con le culture locali, ovvero una rappresentazione simultanea e non-gerarchica delle diverse conoscenze (locali, accademiche, personali) all'interno dello stesso testo. Per raggiungere questo scopo è necessario unire diversi stili, tra cui ad esempio poesia, racconti autobiografici, scritti accademici, fotografie etc. Un numero sempre crescente di autori hanno sviluppato libri accompagnati da foto e anche da collegamenti a web sites dove trovare materiale visivo addizionale.
Un altro elemento da analizzare è: scrivere al presente o al passato? Anche i testi che vengono usati per descrivere le immagini possono essere scritti al presente o al passato. Normalmente scrivere al presente serve a rendere il contenuto astratto e oggettivo, invece scrivere al passato costituisce l'affermazione di autorità e autenticità dell'etnografo. Se il testo della foto è scritto al passato lo scopo è dare evidenza della propria presenza sul campo e produrre uno specifico momento etnografico con l'intento di convincere il lettore dell'autorevolezza del ricercatore.
Scrivendo al presente invece si vuole indicare l'idea di permanenza e continuità, un'immagine situata nel presente è trattata come una rappresentazione realistica, si crea una particolare relazione fra il testo, l'immagine e il contesto etnografico. Il presente etnografico è un processo dove l'esperienza etnografica, il materiale raccolto sul campo e i dibattiti accademici si intersecano fra loro.
Il testo e le foto spesso sono inserite di pari passo quando vogliono essere da supporto l'uno dell'altro (approccio realistico). Altre volte le foto possono essere separate dal testo in modo che possano essere interpretate da sole da parte del lettore/osservatore (approccio narrativo), le foto in questo caso non sono a supporto del testo ma in relazione con lo stesso.
Simili approcci riguardano l'uso dei video nella rappresentazione etnografica. Vi sono diversi approcci. Il primo è un approccio oggettivo, dove si ritiene che il video debba avere un valore scientifico e quindi descrivere il più possibile la realtà e la cultura in oggetto, senza modifiche e conservando i suoni originali. Un secondo approccio invece tende a valorizzare l'individuo più che la cultura nel suo insieme, quindi è più soggettivo. Il terzo approccio è di tipo partecipativo fondato sulla collaborazione con i soggetti della ricerca. Secondo Barbash and Tylor (Cross Cultural Filmmaking, 1997), la preparazione di un documentario è per natura un processo collaborativo, è impossibile fare un film sulle altre persone completamente da soli. I partecipanti possono essere coinvolti a diversi livelli, nell'editing, nel commento e nel feedback, nel supporto tecnico o anche nella presentazione del video a esterni.
Anche per il video, come per la fotografia, è importante unire al video anche atri materiali di ricerca. Immagini e testo sono complementari, entrambi partecipano a livelli diversi alla rappresentazione dell'esperienza individuale. E' inoltre importante sapere a che pubblico ci si rivolge. Ad esempio conferenze e seminari sono i luoghi adatti in cui inserire video clips in combinazione con altri testi e immagini. Il video ha la capacità di incorporare l'esperienza multisensoriale del lavoro sul campo e di evocare la parte empatica del pubblico molto più di quanto possa fare da solo un testo scritto.

Conclusione
Sarah Pink conclude il suo lavoro dicendo che il suo libro non è un metodo, non è qualcosa che si 'fa' ma qualcosa che accade mentre si fa, e il fare è in continuo cambiamento poiché la tecnologia, la teoria, la pratica e la vita vanno avanti in modi nuovi. Nonostante le nuove tecnologie che nascono ogni giorno, noi possiamo imparare da quelle già esistenti, sono il nostro punto di partenza mentre il nuovo si fa strada. Le nuove emergenti tecnologie cambieranno ancora i contesti, le relazioni, i luoghi nei quali fare etnografia visuale. Nonostante ciò l'autrice ritiene che alcuni concetti rimangono fondamentali e alla base del lavoro nella pratica, concetti che sono sempre più presenti nel modo in cui l'etnografia visuale digitale è teorizzata, approcciata e performata. Tali concetti sono ad esempio la partecipazione, il mapping, la sensorialità, il movimento. La relazione fra questi elementi può essere sempre il punto di partenza per una etnografia visuale digitale.










1 ottobre 2014

Furto in U16

Ciao a tutti,
a causa del furto attrezzature avvenuto nell'edificio U16 durante la pausa estiva, il laboratorio di Antropologia visiva è spostato al secondo semestre.
Coloro che hanno lavori in sospeso e che necessitano della registrazione dei crediti entro la fine del semestre si facciano vivi via mail per accordi specifici
un caro saluto a tutti
sara