Doing Visual Ethnography
– By Sarah Pink.
Riflessioni e linee guida teoriche e pratiche sull'etnografia visuale
Il testo di Sarah Pink,
in particolare nella sua terza edizione, si conferma un utile
strumento per riconoscere l'importanza che i media hanno nella
formazione della
conoscenza durante il processo etnografico e
come questa conoscenza può essere
rappresentata in modo
efficacie al fine di raggiungere il maggior numero di persone
possibile. Permette quindi di approfondire il tema delle risorse e
potenzialità dei mezzi visivi aiutando l'etnografo nei suoi progetti
di ricerca sul campo. In particolare nella terza edizione affronta
anche temi attuali legati alle pratiche web e ai digital media.
Dal libro di Sarah Pink
emergono quindi due aspetti di analisi che affronterò in questo
lavoro e che possono essere utili come base per una ricerca sul
campo; una
parte teorica legata al pensiero e all'approccio
nei confronti della ricerca etnografica in relazione alle immagini e
alla loro importanza nel comprendere l'esperienza sociale delle
persone, ed una
parte pratica legata allo svolgimento
del lavoro sul campo attraverso l'utilizzo dei diversi mezzi, ovvero
fotografia, video e web e a come rappresentare tale conoscenza in un
lavoro accademico che possa raggiungere il pubblico. Per dirlo con le
parole della Pink, il suo è un libro metodologico, “il cui scopo è
mettere insieme elementi teorici e pratici di approccio visivo
all'apprendimento e alla conoscenza, del mondo e nel mondo, e
comunicare tutto ciò agli altri.” (Pink, 2013, p. 6)
In merito all'aspetto
teorico, Sarah Pink stressa alcuni concetti fondamentali:
Aspetto
interdisciplinare dell'approccio visivo. Un approccio
etnografico orientato verso l'aspetto visivo è sempre più
riconosciuto in diverse discipline fra cui geografia, medicina,
pedagogia, design, ingegneria, pianificazione urbana. Si è ormai
entrati a far parte di una pratica di dinamica interdisciplinare ed
internazionale, dove l'incorporazione dei mezzi audiovisivi diventa
ormai parte del lavoro di ricerca sul campo di ricercatori di varie
discipline.
Aspetto
riflessivo del lavoro etnografico. Tale approccio si focalizza
sui concetti di soggettività, collaborazione, creatività e
consapevolezza. Mette insieme le idee antropologiche sull'individuo
nella società con le teorie visive, al fine di capire come le
immagini e le tecnologie interagiscono con la cultura oggetto di
studio. Lo scopo dell'etnografo è di capire le pratiche visive e le
immagini che sono parte del mondo delle altre persone e allo stesso
tempo avere un approccio riflessivo sulle proprie pratiche visive e
immagini e sulla conoscenza ad esse associata. L'etnografia visiva
si presenta quindi come un processo di apprendimento ed esperienza
piuttosto che come una forma di 'data collecting'. Per la Pink
l'etnografia è “una metodologia e un approccio per sperimentare,
interpretare e rappresentare esperienze, culture, società e
ambiente sensoriale e materiale che influenza ed è influenzato da
diverse agende disciplinari e principi teorici.” (Pink, 2013, p.
34). Lo scopo quindi dell'etnografia non è di produrre un verità
oggettiva o una descrizione veritiera della realtà ma di presentare
una versione dell'esperienza dell'etnografo in merito alla realtà
analizzata che sia fedele al contesto tenendo conto che tale
esperienza è frutto di un lavoro di negoziazione e
intersoggettività. L'approccio riflessivo riconosce quindi la
centralità della soggettività del ricercatore nella produzione e
nella rappresentazione della conoscenza. Il ricercatore quindi deve
essere consapevole di come la sua storia ed esperienza personale
influenza il suo lavoro e di come gli altri soggetti lo
percepiscono. Ciò comporta l'applicazione di metodi collaborativi e
partecipativi. Secondo la Pink ciò che fa di un'immagine, un testo,
un'idea etc un pezzo di conoscenza etnografica è la sua
interpretazione ed il suo inserimento in un determinato contesto.
Approccio
sensoriale. Le immagini ci permettono non solo di vedere ciò
che è evidente ma anche di immaginare le cose che non possiamo
vedere. L'immaginazione sta sempre di più diventando un campo
etnografico, dove sogni e pensieri interiori diventano oggetti di
analisi sul campo. Le immagini sono parte della nostra immaginazione
e le pratiche visive ci aiutano ad analizzarle allo scopo di far
emergere sentimenti e sensazioni. L'etnografia visiva non è quindi
solo un metodo di osservazione ma ci può aiutare ad entrare in una
sintonia partecipativa con le persone con cui lavoriamo. Vi è
quindi un aspetto intangibile nelle immagini. I video e le foto sono
realizzate nella relazione con gli altri per cui sono sia parte del
mondo del ricercatore sia parte del mondo e dell'ambiente dei
soggetti oggetto della ricerca, creando inevitabilmente un rapporto
dove il lavoro dell'etnografo diventa parte della vita delle persone
e dove la loro vita diventa parte della ricerca. L'etnografia
visuale diventa un modo per comprendere quegli aspetti
dell'esperienza che spesso sono sensoriali, taciti e invisibili.
Aspetto etico.
L'etica dipende dal contesto nel quale ci si trova e dalle relazioni
di potere che si creano sul campo fra etnografo, informatori, altri
professionisti, sponsors, uffici istituzionali. La Pink suggerisce
di fare una riflessione sulle proprie credenze etiche, senza
considerarle necessariamente superiori e di crearsi un proprio
codice etico personale e professionale, magari facendo riferimento a
diverse fonti, tra cui le guide etiche di associazioni
professionali. Compito dell'etnografo è essere responsabile
assicurandosi di rispettare i principi a cui fa riferimento. Un
giusto approccio secondo la Pink è quello che tiene conto della
sensibilità con cui le persone nei vari contesti sperimentano ansia
e stress per evitare di danneggiare i soggetti. Inoltre bisogna
avere un approccio collaborativo e trasparente informando
opportunamente i soggetti in merito al consenso alla pubblicazione
fin dall'inizio e condividendo con loro il materiale prodotto.
Passando ora all'aspetto
più pratico della ricerca diventa importante capire che tipo di
metodi e mezzi usare sul campo. A volte è possibile, se non
necessario, scegliere ciò prima della partenza, mentre altre volte è
possibile decidere sul posto in base alla relazione che si viene ad
instaurare con i partecipanti. La Pink suggerisce tre metodi
principali di ricerca visiva: photo elicitation (intervistare con le
immagini), video tour e participant-produced images. Prima di
partire può essere utile cercare online siti web, blogs, forum,
video, fotografie per capire come la cultura visiva di una società è
rappresentata di solito e analizzare ciò che altri ricercatori hanno
fatto prima di noi. In realtà però solo quando si è sul posto si
capisce come si può realmente procedere. La Pink quindi suggerisce
di avere un approccio aperto alle possibilità durante il processo di
ricerca, questo significa che la nostra strategia potrebbe anche
dover essere modificata in corso d'opera. E' importante inoltre
quando si decide quale tecnologia usare ricordare che una macchina
fotografica o un computer saranno parte del contesto di ricerca e
diventano elementi dell'identità del ricercatore. I mezzi diventano
parte delle relazioni sociali e del modo in cui i partecipanti
interagiscono con noi, può diventare argomento di conversazione,
collaborazione e condivisione di interessi. Inoltre bisogna tenere
conto che in alcune circostanze bisogna vagliare bene aspetti come la
marca, la grandezza, il design o la portabilità dell'equipaggiamento
e vari aspetti pratici (trasporto, elettricità etc). A volte infatti
può essere necessario sacrificare la qualità delle immagini per
rappresentare un particolare tipo di conoscenza etnografica, dove
immagini scure o sgranate possono essere di maggiore efficacia.
Analizziamo ora i mezzi:
fotografia, video, web.
Fotografia
Secondo
la Pink non è possibile attribuire una valore di “etnograficità”
all'immagine in base al suo contenuto, alla sua forma o al suo
potenziale di dato raccolto. Il valore dell'immagine dipende dalla
sua interpretazione e dal contesto in cui si colloca. In una foto
antropologica non è il soggetto che conta ma il significato che
nasconde. Inoltre una foto non ha un singolo significato ma dipende
da chi la analizza e in quale contesto. La fotografia è quindi
composta da elementi soggettivi, ognuno ha la sua teoria di
rappresentazione.
L'etnografo
ha una responsabilità, interpreta le immagini in un certo modo dando
una visione della realtà che si deve relazionare con le aspettative
di molti attori (istituzioni accademiche e culture locali).
La
fotografia crea una forma di connessione con la comunità. In alcuni
casi la cosa è immediata soprattutto quando i soggetti hanno
familiarità con la presenza di fotografi (es. lo studio che la Pink
ha fatto sulla corrida in Spagna). Altre volte invece, prima di poter
usare la macchina fotografica, è necessario essere riconosciuti come
persone di fiducia.
Come
usare le fotografie:
come
mezzo per intervistare e non solo come oggetto di studio, la foto in
questo caso diventa un metodo etnografico mobile.
Walking
and photograpy. È un metodo che sta diventando molto popolare nella
ricerca, il cui scopo è rappresentare l'esperienza di ambienti
particolari. Chi vede le foto è chiamato a fare un viaggio
attraverso le immagini in modo empatico, si crea una relazione con
l'ambiente. La fotografia è un processo per creare immagini mentre
ci muoviamo nel mondo spesso insieme ad altri. Camminare, fare dei
tours e fotografare insieme alle persone è un modo per partecipare
al modo in cui sperimentano e danno significato al loro ambiente e
ci permette di avvicinarci alla sensorialità del luogo. Quindi,
significa muoversi nell'ambiente come parte dell'ambiente stesso.
Fotografia
partecipativa e collaborativa. Lavorare con uno o più informatori
in lavori creativi che uniscono il punto di vista dell'etnografo a
quello dei partecipanti. Importante è entrare nella cultura
fotografica locale riproducendo le immagini che sono più popolari
per loro. Spesso la foto che noi facciamo per rappresentarli non è
quella che loro vorrebbero perchè non li rappresenta. Ascoltare
come loro vorrebbero essere fotografati è importante per capire
l'idea che loro hanno della performance sociale che deve emergere
dalla foto. Un' altra possibilità è lasciare che loro facciano
delle foto per capire la loro prospettiva, anche perchè possono
accedere a contesti che gli etnografi non riescono a vedere. Si può
imparare molto osservando come le altre persone usano la fotografia
per inserirci nelle loro categorie.
Uso
della foto nelle interviste (photo elicitation). L'intervista
fotografica (metodo creato da John Collins Jnr. 1986) è un modo
per invitare, co-creare e generare conoscenza, serve come
riferimento per esaminare l'atteggiamento degli informatori nei
confronti della vita, del lavoro, del loro ambiente. Le immagini
mostrate scattate dall'etnografo sono indicative del modo in cui lui
vede la realtà e questo può essere lo spunto per discutere e
confrontarsi sul diverso modo di vedere le cose, di rappresentare la
realtà e le immagini. Spesso inoltre mostrare le foto diventa un
modo per parlare di cose che è difficile descrivere a parole e le
foto sono particolarmente efficaci per rievocare ricordi e storie
personali perchè alimentano la dimensione sensoriale ed evocativa.
Video
Per
la Pink la video etnografia è basata su tre presupposti principali:
a) non è possibile filmare o girare un video di persone o culture in
modo 'indisturbato'. Le persone saranno sempre influenzate, almeno in
parte, dalla presenza del video. L'etnografia è sempre una
rappresentazione e quindi è costruita. b) la conoscenza etnografica
non si manifesta sempre attraverso fatti osservabili. La conoscenza
nasce dalla negoziazione sul campo, non è una realtà oggettiva. c)
l'etnograficità di un video non dipende dal suo contenuto ma è
contestuale, un video è etnografico quando chi lo vede ritiene che
contenga informazioni di tipo etnografico.
Il
senso di un video non è quello di portarci indietro nel tempo ma
quello di proiettarci in avanti verso una nuova conoscenza. Anche in
questo caso l'approccio riflessivo è sempre importante. Per la Pink
il video deve essere prodotto di una configurazione di persone e cose
in movimento.
Quando
si fa un video ci sono due elementi che influenzano le relazione con
i partecipanti: le differenze culturali e ambientali e la presenza
della videocamera che ha un impatto sulle relazioni fra etnografo e
individui coinvolti; la videocamera e la registrazione diventano
elementi della relazione.
Osservare
la relazione dei partecipanti di fronte alla videocamera può essere
molto importante per capire la rappresentazione che loro hanno di sé
stessi. Ad esempio, nel lavoro di Manuel Cerezo sugli immigranti
africani in Spagna (Tres antropologos inocentes y an ojo si parpado,
1996), i soggetti non hanno apprezzato il video perchè vi vedevano
rappresentata la loro condizione di povertà.
Spesso
prima di fare il primo video potrebbe trascorrere molto tempo,
soprattutto quando i soggetti sono molti ed ognuno ha tempi diversi
di adattamento e interazione. A volte però la preparazione del luogo
per il video (luci, etc) può essere un modo per interagire.
Come
usare i video:
Mostrare
le immagini ai soggetti. E' un modo per ascoltare le critiche su
come l'etnografo ha visto la scena e cosa loro invece vedono
attraverso le immagini; questo permette di capire il loro modo di
osservare. Cristina Grasseni (Video and ethnographic knowledge,
2004) dice che l'etnografo può, affidandosi agli informatori,
sviluppare ciò che lei chiama la 'skilled vision': l'abilità di
capire e vedere i fenomeni locali nello stesso modo delle persone
con le quali il ricercatore sta lavorando.
Creare
dei video tour collaborativi. Creare un video in diretta
collaborazione con le persone coinvolte, chiedendo loro di essere
attori partecipi. Lo scopo è chiedere loro di mostrare a parole e
fisicamente alcune loro attività o aspetti della loro vita. (es.
lavoro della Pink, Cleaning Homes and Lifestyles, 1999). Il tour
video permette alle persone di mostrare le loro esperienze ai
ricercatori, offrendoci un modo per cercare di comprenderli.
Dare
la telecamera ai partecipanti. Lasciare che siano loro a girare il
video. Diventa per i soggetti un processo di auto-esaminazione che
aumenta la loro consapevolezza e ci permette di raggiungere luoghi e
contesti personali e intimi ai quali spesso il ricercatore non ha
accesso. Diventa un processo di brokerage culturale. (Chalfen and
Rich, 2004).
Video
partecipativi. Fare un video insieme ai partecipanti è importante
non tanto per il risultato finale ma per il processo collaborativo
che si produce perchè attraverso questo processo si generano nuovi
livelli di coinvolgimento e consapevolezza che servono per produrre
conoscenza.
Web
Parlando
di web la Pink non vuole semplicemente mostrare come quella
particolare piattaforma o tecnologia può essere usata nella
etnografia digitale, ma invitare i lettori a vedere nei media
digitale nuove opportunità. L'uso dei media è di per sé un
progetto di ricerca per sperimentare nuovi metodi.
Dato
che la tecnologia digitale è in continua evoluzione per la Pink non
è importante parlare dei singoli mezzi tecnologici; nell'era
digitale infatti le tecnologie non sono così distinte. Il suo scopo
è capire il legame che esiste fra i mezzi usati (foto, video) e
internet e le implicazioni legati alla pubblicazione on-line del
lavoro dell'etnografo. I video, le registrazioni e le altre
tecnologie sono parte di un assemblaggio che compone il materiale
on-line. Il tema principale qui infatti è che chi fa etnografia
digitale deve stare attendo al significato e alla conoscenza che le
informazioni possono produrre nel contatto con il web.
La
Pink tratta alcuni esempi di come la fotografia e il video vengono
usati per creare comunicazione, interazione e relazioni sociali
attraverso il web. Un esempio è lo studio di Fors (Fors et al, 2013)
sui giovani svedesi che creano di diari fotografici sul web da
condividere con gli amici. I photo diaries forniscono un ricco
contenuto per capire cosa è importante per i giovani e permette agli
etnografi di entrare nella loro dimensione altrimenti inaccessibile,
permette di capire come i giovani vivono fra loro in connessione con
l'ambiente e le cose. Quello che questi studi dimostrano è come,
coinvolgendo i giovani in un progetti di digital media nella loro
vita di tutti i giorni, possiamo creare dei modi per capire il loro
mondo anche oltre i media. Lo scopo è comprendere i loro movimenti
online e offline.
Ardevol
e San Cornelio nel loro lavoro sui video girati nella metro di Madrid
(Si quires vamos en accion: Youtube.com, 2007) mostrano come
l'analisi dei video online possono diventare oggetto di ricerca
etnografica, studiandone sia l'aspetto tecnico sia l'esperienza dei
soggetti nella produzione stessa del video e analizzando come la
presenza sicura di potenziali spettatori sia parte della creazione
del video stesso generando delle aspettative.
I
video sul web sono un modo quindi per fare etnografia; inoltre
analizzandoli nel corso del tempo si nota come è cambiata la
tecnologia, le persone, la società e il loro rapporto con il web.
Partendo dal web si può legare la ricerca tradizionale (es.
interviste, metodo partecipativo, analisi di testi). Il luogo
etnografico diventa quindi non solo quello materiale e fisico ma è
il web stesso.
Ogni
giorno emergono nuove forme online di etnografia visiva. La Pink
indica alcuni esempi come i
giornali online che rispetto a
quelli tradizionali offrono un'esperienza visiva nuova, più
completa, a partire da una maggiore quantità di fotografie, da video
accessibili direttamente tramite i links, da layout di testo che sono
essi stessi una forma di rappresentazione visiva. Questi giornali
offrono un grande potenziale alla pubblicazione della antropologia
visuale, perchè i testi si armonizzano alle immagini in maniera più
incisiva, con livelli maggiori di coinvolgimento, empatia e
rappresentazione della realtà. Un esempio: Visual Ethnography
(
www.vejournal.org).
Altre
forme online di diffusione dell'etnografia visiva sono i siti web e i
blogs. Tra gli esempi citati il blog di Cristina Lammer sulle sue
ricerche in campo della salute ('Healing Mirrors: Body Arts and
Ethnografic Methodologies', 2012), dove attraverso il blog fornisce
aggiornamenti continui sul suo lavoro e riesce a raggiungere un vasto
pubblico (accademici, artisti, medici), composto sia da persone con
cui collabora che da appassionati dell'argomento. In merito ai siti
web, la Pink cita invece www.praticagroup.com/pictures_videos.shtml
(Sunderland and Denny, 2007) dove pubblicano sia video dei
partecipanti che dei ricercatori, dando origine a quello che loro
chiamano cinema verité. Rispetto ai giornali online, i blogs e i
siti sono spazi digitali dove le ricerche possono essere pubblicate,
discusse e presentate mentre si sviluppano, è un processo on-going
che viene aggiornato di continuo.
Costruire significati
attraverso la classificazione e l'analisi.
La
Pink ci dice che dobbiamo tenere un approccio riflessivo anche nei
processi di classificazione, analisi e interpretazione del materiale
raccolto che riconosce la costruttività delle scienze sociali, dei
contesti e delle relazioni e le contingenze attraverso cui i
significati sono costruiti.
Come
procedere:
- Creare
un archivio immagini. La
prima cosa da fare è creare un archivio delle immagini attraverso
l'uso di software specifici. Le immagini possono essere salvate su
hard drives, online o in reti informatiche condivise. A volte questo
processo di archivio inizia dopo la fine del lavoro sul campo, ma
nell'attuale era digitale la ricerca, l'archivio e l'analisi spesso
si sovrappongono e durano per tutto il periodo della ricerca.
La
categorizzazione delle immagini dipende dai temi che si vogliono
affrontare e dall'uso che se ne deve fare (documentari, presentazione
etc).
- Analisi.
Le immagini si muovono nel mondo
e le loro storie possono assumere significati diversi. Nel momento in
cui le immagini abbandonano il campo verranno interpretate attraverso
una molteplicità di prospettive diverse. Gli osservatori danno un
significato soggettivo e contingente alle immagini, queste ultime
quindi devono essere 'collocate'. Importante è ricordare che lo
scopo non è tradurre in parole le immagini ma esplorare la relazione
fra i vari modi di fare conoscenza (diari di campo, registrazioni
video e audio, trascrizioni, letteratura, posts online dei social
network, foto amatoriali). Quindi la fotografia non serve per
illustrare le note di campo e i video non sono solo la prova
dell'intervista, ma immagini e parole si contestualizzano l'uno con
l'altro, sono fra loro interdipendenti.
E'
necessario inoltre avere un approccio riflessivo, il che significa
non rendere il processo solo sistematico, ma tenere conto delle
storie, delle emozioni, combinare l'aspetto realista delle immagini
alla consapevolezza della loro costruzione soggettiva. Usarle sia
come realistic record (come documentazione di sequenze di eventi) sia
come forma narrativa pur riconoscendo la contingenza del
significato. I significati infatti spesso vengono rivisti per motivi
accademici, cambiano a seconda del contesto, questo non significa
rimpiazzare ciò che è stato fatto sul campo ma aggiungere un
ulteriore strato in modo da creare una biografia dell'immagine. Ogni
interpretazione data a un immagine ha un significato antropologico
quando legata ad altri livelli di conoscenza.
Come scrivere un testo
ed integrarlo alle immagini.
La
Pink contesta la dominanza del testo scritto nelle rappresentazioni
etnografiche. La rappresentazione della conoscenza etnografica non è
solo un fatto di produzione di parole ma di collocare immagini,
qualche volta in relazione alle parole scritte, ma anche in relazione
ad altre immagini, a dialoghi o suoni. Alcuni studiosi, come George
Marcus e Paul Stoller, suggeriscono di scrivere non secondo la forma
convenzionale di 'linear narrative' ma attraverso un 'montage text',
non è più solo un discorso accademico ma una interazione che nasce
in unione con i discorsi degli individui e con le culture locali,
ovvero una rappresentazione simultanea e non-gerarchica delle diverse
conoscenze (locali, accademiche, personali) all'interno dello stesso
testo. Per raggiungere questo scopo è necessario unire diversi
stili, tra cui ad esempio poesia, racconti autobiografici, scritti
accademici, fotografie etc. Un numero sempre crescente di autori
hanno sviluppato libri accompagnati da foto e anche da collegamenti a
web sites dove trovare materiale visivo addizionale.
Un
altro elemento da analizzare è: scrivere al presente o al passato?
Anche i testi che vengono usati per descrivere le immagini possono
essere scritti al presente o al passato. Normalmente scrivere al
presente serve a rendere il contenuto astratto e oggettivo, invece
scrivere al passato costituisce l'affermazione di autorità e
autenticità dell'etnografo. Se il testo della foto è scritto al
passato lo scopo è dare evidenza della propria presenza sul campo e
produrre uno specifico momento etnografico con l'intento di
convincere il lettore dell'autorevolezza del ricercatore.
Scrivendo
al presente invece si vuole indicare l'idea di permanenza e
continuità, un'immagine situata nel presente è trattata come una
rappresentazione realistica, si crea una particolare relazione fra il
testo, l'immagine e il contesto etnografico. Il presente etnografico
è un processo dove l'esperienza etnografica, il materiale raccolto
sul campo e i dibattiti accademici si intersecano fra loro.
Il
testo e le foto spesso sono inserite di pari passo quando vogliono
essere da supporto l'uno dell'altro (approccio realistico). Altre
volte le foto possono essere separate dal testo in modo che possano
essere interpretate da sole da parte del lettore/osservatore
(approccio narrativo), le foto in questo caso non sono a supporto del
testo ma in relazione con lo stesso.
Simili
approcci riguardano l'uso dei video nella rappresentazione
etnografica. Vi sono diversi approcci. Il primo è un approccio
oggettivo, dove si ritiene che il video debba avere un valore
scientifico e quindi descrivere il più possibile la realtà e la
cultura in oggetto, senza modifiche e conservando i suoni originali.
Un secondo approccio invece tende a valorizzare l'individuo più che
la cultura nel suo insieme, quindi è più soggettivo. Il terzo
approccio è di tipo partecipativo fondato sulla collaborazione con i
soggetti della ricerca. Secondo Barbash and Tylor (Cross Cultural
Filmmaking, 1997), la preparazione di un documentario è per natura
un processo collaborativo, è impossibile fare un film sulle altre
persone completamente da soli. I partecipanti possono essere
coinvolti a diversi livelli, nell'editing, nel commento e nel
feedback, nel supporto tecnico o anche nella presentazione del video
a esterni.
Anche
per il video, come per la fotografia, è importante unire al video
anche atri materiali di ricerca. Immagini e testo sono complementari,
entrambi partecipano a livelli diversi alla rappresentazione
dell'esperienza individuale. E' inoltre importante sapere a che
pubblico ci si rivolge. Ad esempio conferenze e seminari sono i
luoghi adatti in cui inserire video clips in combinazione con altri
testi e immagini. Il video ha la capacità di incorporare
l'esperienza multisensoriale del lavoro sul campo e di evocare la
parte empatica del pubblico molto più di quanto possa fare da solo
un testo scritto.
Conclusione
Sarah
Pink conclude il suo lavoro dicendo che il suo libro non è un
metodo, non è qualcosa che si 'fa' ma qualcosa che accade mentre si
fa, e il fare è in continuo cambiamento poiché la tecnologia, la
teoria, la pratica e la vita vanno avanti in modi nuovi. Nonostante
le nuove tecnologie che nascono ogni giorno, noi possiamo imparare da
quelle già esistenti, sono il nostro punto di partenza mentre il
nuovo si fa strada. Le nuove emergenti tecnologie cambieranno ancora
i contesti, le relazioni, i luoghi nei quali fare etnografia
visuale. Nonostante ciò l'autrice ritiene che alcuni concetti
rimangono fondamentali e alla base del lavoro nella pratica, concetti
che sono sempre più presenti nel modo in cui l'etnografia visuale
digitale è teorizzata, approcciata e performata. Tali concetti sono
ad esempio la partecipazione, il mapping, la sensorialità, il
movimento. La relazione fra questi elementi può essere sempre il
punto di partenza per una etnografia visuale digitale.