Capitolo 8 | I maiali
di re Carnevale. Memoria sociale e intimità culturale.
Questo saggio si incentra sul legame tra produzione e
consumo di alimenti e la memoria sociale in particolare sui percorsi attraverso
cui le società ricordano.
In tutte le società il cibo ha avuto, e ha, un valore
simbolico. Basti pensare a cosa indica nell’immaginario comune la catena di fast food McDonald , o l’attenzione
posta nella diposizione dei prodotti all’interno
degli scaffali dei supermercati, per capire come l’aspetto simbolico del cibo
riguardi la contemporaneità. In questa dimensione simbolica il cibo è anche
strumento di costruzione della memoria, un tempo come ai giorni nostri, tutte
le feste erano accompagnate da alimenti tipici e la loro comparsa nei negozi e
nei mercati ricordava la ricorrenza, come per esempio la festa dei
morti nel Mezzogiorno, in cui oltre a cibi tipici vi era un vero e proprio
rituale di distribuzione di esso a determinate categorie di persone.
Faeta prende in esame un’altra ricorrenza per spiegare il
legame tra cibo e memoria sociale: il Carnevale a Nocera Terinese, in provincia
di Catanzaro. Centrale in questa occasione era la figura del maiale: tutto
questo periodo era caratterizzato da eccessi alimentari dovuti ai numerosi
banchetti per l’uccisione degli animali e al consumo dei prodotti residui della
precedente annata: “si uccidono i maiali e si organizzano i banchetti perché è
il tempo per fare ciò, non perché sia Carnevale, e tuttavia l’insieme delle
azioni e delle relazioni poste in essere non avrebbe senso alcuno se non fosse,
appunto, Carnevale; e se la memoria di consuetudini recenti non restasse
sospesa sull’agire quotidiano” [pag. 201].
Oggi a Nocera, come in molti altri paesi, le manifestazioni
carnevalesche sono quasi del tutto scomparse, ma è ancora vivo l’uso di “fare
il maiale” e dell’organizzazione di banchetti dovuti all’uccisione e alla
lavorazione delle carni di questo animale che ha un’importante funzione
culturale e sociale.
Il possesso del maiale era indicativo di uno status, chi lo
possedeva non era totalmente povero, e l’animale diveniva indice di agiatezza.
Con i processi di modernizzazione iniziati negli anni sessanta l’inderogabilità economica e alimentare del
maiale è diminuita per l’ampio accesso alle carni fresche e alla diffusione dell’alimentazione
industriale. Questo ha posto ancora più in rilievo la sua utilità simbolica: “il
maiale continua ad avere importanza, sia come indicatore di status e marcatore
simbolico, sia come strumento di relazione nell’ambito della società nocerese,
sia come mezzo di rimemorazione” [pag. 205].
Il maiale ha continuato ad attivare due circuiti
solidaristici: il primo lega la famiglia dell’allevatore con chi dona
abitualmente scarti alimentari di vario genere per contribuire all’allevamento
dell’animale, il secondo unisce chi presta o scambia manodopera più o meno
specializzata per l’uccisione del maiale. Questi circuiti comportano scambio e
dono creando una situazione di reciprocità e attivando una rete di relazioni
sociali.
I banchetti si svolgono durante il periodo del Carnevale,
ogni famiglia di allevatori invita parenti e amici per “fare il maiale”. Le operazioni
e i compiti che si svolgono sono divise
in base al genere (agli uomini l’uccisione, la raccolta del sangue, la sospensione,
lo squartamento ecc., alle donne la confezione delle salse, la salatura, la
lavorazione delle carni minute, la preparazione dei cibi da consumare in
giornata ecc.). Le figure centrali della festa, sono due: il possessore dell’animale
e colui che lo uccide. Quest’ultimo è spesso una figura quasi professionale ed
è al centro di una rete molto ampia di amicizie e di relazioni sociali che caratterizzano un indiscusso prestigio. La figura dell’uccisore è di
particolare importanza e a lui non è dovuto nulla al di fuori dei regali di carne; “questo modello di relazione sociale (donare senza
apparentemente ricevere) ha grande importanza a Nocera” [pag. 211].
Questa festa consolida l’alleanza tra le famiglie e il
sentimento di appartenenza a un segmento comunitario come membri di una
comunità.
“Il banchetto rituale si pone come momento cardine in cui i
saperi e le memorie relative all’animale vengono riattualizzati e trasferiti
dentro una fragile, ma tenacemente perseguita, percezione del presente: una
percezione che (…) si alimenta nell’aspettativa e nell’attesa” [pag. 213].
Il tipo di ricordo che si elabora all’interno di questa
cornice tende a recuperare le vicende comunitarie e quella del gruppo che si
autocelebra. Per spiegare meglio il processo mnestico dei banchetti, Faeta
ricorre alla distinzione tra opzioni fredde e calde di Assmann. Queste due
opzioni sono presenti all’interno di tutte le società e rappresentano una
risorsa per definire il rapporto dei gruppi umani con la Storia attraverso due
poli opposti: conservazione e mutamento. La memoria fredda impedisce l’irruzione
della Storia e, alternandosi con quella calda, mantiene al riparo da ciò che
disordina e accelera, consentendo la costruzione di una tradizione locale.
Inoltre il maiale consente di ricordare quando il controllo
delle cose era in mano alla comunità che lavorava in rapporto con la natura e
in cui le cose “avevano sapore”. Il banchetto rituale assume un ulteriore
significato: “la lavorazione e la consumazione dei resti: ieri utili nell’ambito
di un’economia di sussistenza, in cui nulla poteva essere scartato, essi
connotano oggi un ambito alimentare tipico, distintivo certamente della
calabresità e della noceresità ma, al loro interno, specialmente della virilità.
(…) Il prepararli e il consumarli divengono, allora, fatti distintivi di un’umanità
diversa, che non teme ciò che teme colui che viene da fuori . (…) Mangiare le
parti forti dell’animale (…)caratterizza il locale in rapporto al nazionale, ma
anche l’uomo rispetto alla donna. Il simbolo così si scinde in base all’appartenenza
di genere.” [pag. 217]
ho letto davvero volentieri questo capitolo di dettagliata descrizione etnografica e di analisi sul materiale raccolto da Faeta in anni di lavoro sul campo nel contesto in questione e non solo.
RispondiEliminaPenso che un'esercizio utile potrebbero essere quello di provare a immaginare un lavoro di etnografia visiva con lo strumento della telecamera a partire dalla descrizione e dall'analisi che Faeta ne fa.
Pensare alle fonti bibliografiche, ai sopralluoghi, alla scrittura di una sceneggiatura mobile (vedi post su schema proposto da Cedrini), revisione girati, etc.
sara