Capitolo 3. I soggetti del film
Nel terzo capitolo Marano passa ad analizzare la comunicazione cinematografica ed il film etnografico, prendendo in esame la figura dello spettatore.
Negli anni settanta un nuovo approccio al film si fa strada: quello psicoanalitico. Si abbandona così l’approccio strutturalista che vedeva il film come oggetto, come documento con una forma autonoma e si comincia a percepire il film (così come la fotografia) come luogo in cui avvengono una serie di negoziazioni di significati.
Alcuni importanti autori (testualisti) tendono però a sottolineare come l’occultamento del processo di produzione assegni illusoriamente allo spettatore il ruolo di regista del film.
Sostiene Baudry che, come il bambino davanti allo specchio fa conoscenza e si identifica con il suo doppio, così lo spettatore costruisce il proprio io cinematografico.
Tuttavia esistono, come sottolinea Metz, alcune obiezioni da fare: in primis, lo specchio, riflettendo, ripropone un’immagine di se stessi, cosa che lo schermo non fa. Questo porta quindi lo spettatore ad identificarsi necessariamente con qualcosa di diverso da se.
Questo qualcosa è il suo sguardo che ad altro non corrisponde se non alla macchina da presa, e che porta lo spettatore stesso a percepirsi come soggetto privilegiato.
I due autori giungono alle medesime conclusioni quando affermano che lo spettatore si illude di essere soggetto della rappresentazione e l’istituzione lavora affinché questo avvenga.
All’inizio degli anni ottanta questa visione monolitica lascia spazio ad un approccio (contestualista) più attento alla capacità di interpretazione dello spettatore che si avvicina al film portando con sé cultura e pregiudizi che ne dirigono l’attività interpretativa e la comprensione.
Questo approccio mette in primo piano lo spettatore e gli riconosce un ruolo chiave nella produzione di senso.
Il destinatario di film/foto/eventi/sentimenti, nell’atto di comprenderli, non può che modificarli secondo la propria sensibilità svolgendo una «funzione non semplicemente conoscitiva bensì generativa» (Casetti, 2002).
La mente dello spettatore produce continui spostamenti di significato, spostamenti che ne fanno uno spettatore-protagonista.
L’immagine creata dall’autore viene riformulata nel momento in cui alla sua soggettività si aggiunge quella del fruitore allontanando ogni pretesa di realistica oggettivazione. I due approcci giungono così a due visioni opposte dello spettatore, in entrambi casi al centro dell’attenzione ma nel primo caso quasi “intrappolato” dal film/testo mentre, nel secondo, libero di scegliere la propria posizione.
Tutto ciò mi porta a pensare che il film non possa esistere senza spettatore, perché senza di esso non ha significato, ma che in realtà lo spettatore non crei un “nuovo” significato bensì collabori all’attualizzazione di un significato potenziale; lo spettatore chiude insomma il discorso che il film lascia aperto.
Il testo/film viene completato dal lettore/osservatore ad ogni lettura, «si può dire che i film abbiano una “storia di vita” che consiste nelle diverse interpretazioni accumulate nel corso del tempo» (Marano, 2007). Ovviamente non bisogna dimenticare come ogni interpretazione in realtà non sia un’esperienza individuale, ma al contrario sia condizionata dal contesto storico-culturale al quale il lettore appartiene.
Martinez parla di revisione secondaria del testo da parte del lettore, revisione che avviene in conformità con il codice dominante di quest’ultimo.
Per l’antropologia questa nuova attenzione allo spettatore ma anche al contesto in cui il film viene prodotto consente di non percepire più le culture come società senza storia, quando per troppo tempo all’oggettività del film etnografico, come a quella della fotografia, è stata data un’eccessiva fiducia.
Negli ultimi anni sta prendendo piede una pratica, a mio avviso fondamentale nel discorso dell’etnograficità del film, che è quella del mostrare i lavori ai soggetti filmati, accordando a questi ultimi la possibilità di valutare la correttezza delle rappresentazioni.
Un terzo soggetto, oltre ad autore e spettatore, può entrare così a far parte della costruzione di significato del film; il soggetto del film. Il film etnografico riconosce ad ognuno di questi tre soggetti una parte nel determinare i significati della rappresentazione. Così come spettatore ed autore hanno i loro desideri, i soggetti ripresi perseguono i loro scopi, “lavorando” per rappresentarsi adeguatamente davanti alla macchina da presa. Siamo quindi di fronte ad una negoziazione fra desideri dell’osservatore e desideri dell’osservato che produrranno un documento contrattato.
Per il regista etnografico essere consapevole di questa contrattazione significa allontanarsi dal pericolo di cadere nelle trappole dell’etnocentrismo e del positivismo.
Come sottolinea MacDougall, il film etnografico attraversa i confini di differenti tradizioni culturali, per questo motivo la bravura del filmmaker sta nel saper “trattare” le interazioni fra culture diverse.
Visto che il film circolerà nella società di appartenenza dell’autore ma anche nella società dei soggetti ripresi esso dovrà essere il più accurato possibile e dovrà guardare in due direzioni; solo così si potrà produrre un cinema intertestuale.
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