Cristina Grasseni analizza,
in questo primo capitolo del libro Made
to be Seen, le abilità visive come un atto sociale, un
interagire attivo con il mondo,
l’insieme delle esperienze personali in un ambiente strutturato
che ci portano ad avere una visione personale del mondo.
Le diverse culture portano
le persone a vedere la stessa cosa in modo diverso. L’ambiente in cui viviamo
influenza il nostro modo di vedere il mondo. Uno degli esempi a conferma di
questa teoria è lo studio etnografico, effettuato dalla stessa Grasseni, sugli
sguardi degli allevatori di una razza di mucche da latte (Italian Brown).
I bambini degli allevatori
giocano con miniature di mucche che sono perfette dal punto di vista fisico per
gli standard di questa razza (un modello perfetto). Sono influenzati da questi manufatti
e dai discorsi dei genitori che descrivono le mucche. Questi bambini, grazie al
contesto sociale in cui si trovano, imparano ad apprezzare caratteristiche di
questi animali, che negli occhi degli altri non sono niente di speciale. Osservando
quotidianamente le miniature "perfette", i figli degli allevatori
incorporano lo standard. L’“essere un bell’animale” dipende da come uno impara
a vedere questa “bellezza”.
La questione principale nei dibattiti
epistemologici dell’antropologia visiva è: E’ possibile avere un giudizio visivo
universale? Come facciamo a essere d’accordo su com’è il mondo? Ci aspettiamo
che tutto quello che è sotto gli occhi di tutti, è visto da tutti nello stesso
modo, mentre accettiamo il fatto di sentire i gusti o gli odori in modo
diverso. Abbiamo la presunzione di pensare che siamo capaci di riprodurre
rappresentazioni giuste del mondo.
Mentre Bruno
Latour sottolinea la codifica convenzionale dei giudizi,
dei registri, dei logbook, e di tutte le
regole di verifica che i pedologi, i botanici e
gli antropologi seguono al fine di garantire uno scambio d’informazioni valido tra le loro inscrizioni e il mondo (lo studio del suolo a
Boa Vista con lo schema Munsell), Goodwin, sottolinea proprio gli
aspetti idiosincratici di queste regole, il fatto che riportano sempre gli schemi e le norme dei contesti locali in
cui vengono applicate queste regole (“La nerezza del
nero”).
Il contesto sociale in cui
viviamo e il modo in qui impariamo a vedere le cose sono responsabili delle
fotografie e delle rappresentazioni che faremo delle cose che ci circondano.
Nessun commento:
Posta un commento