Nel
2007 l’antropologo culturale Michael Wesch ha postato su YouTube il video
digitale The Machine Is Us/ing Us che
diventò in pochissimi giorni popolarissimo sul web. Wesch produsse questo video
come parte di un articolo della prima edizione digitale del Visual Anthropology Review. Si accorse
che a volte è più facile mostrare che descrivere alcuni argomenti.
Jay
Ruby e Richard Chalfen individuano i tre elementi dell’antropologia visiva: 1)
lo studio delle forme non-linguistiche della comunicazione per cui di solito utilizzano
tecnologie visive per raccogliere e immagazzinare i dati; 2) lo studio di
materiali visivi, come i film, per analisi etnografiche; 3) l’uso dei media
visivi per le ricerche. A questi Sarah Pink aggiunge altri due elementi: il
ruolo dell’antropologia visiva come sapere condiviso o pubblico e i progetti
pedagogici.
Mentre
gli antropologi visivi sono sempre più interessati ai media digitali, i sostenitori
dell’antropologia digitale continuano sempre più spesso a utilizzare i media
audiovisivi.
L’antropologia
visiva digitale non è solo la versione digitale di quello che gli antropologi
visivi hanno fatto per gli ultimi cinquanta anni, e cioè produrre film
antropologici che mostravano ai festival, ma si è sviluppata in relazione con
altre discipline e ha grande potenziale nell’antropologia academica.
Negli
Anni 90 si inizia a parlare dell’antropologia visiva digitale e delle
innovazioni negli ipermedia antropologici. Inizialmente si utilizzano le VHS e
le camere SVHS poi verso la metà degli Anni 90 si passa al personal computer,
per arrivare, negli ultimi anni, a poter scaricare da macchine fotografiche e
videocamere direttamente sui computer portatili e conservare i dati in un hard
disk esterno. Questi dati si possono condividere con gli altri antropologici
attraverso CD, DVD o direttamente tramite la rete Internet.
I
film etnografici sono stati utilizzati per insegnare l’antropologia sociale,
anche se non nascono per questo scopo, tranne The Ax Fight, film diretto da Tim Asch con la collaborazione dell’antropologo
Napoleon Chagnon sul conflitto nel villaggio Yanomano in Venezuela. E’ stato
distribuito su CD-ROM mentre i mezzi pedagogici più recenti, come Experience Rich Anthropology (ERA) dell’University of Kent e Digital Anthropology Resources for Teaching (DART) della London School of Economics e Columbia University, utilizzano la rete per la loro distribuzione.
L’approccio
visivo dell’etnografia sta prendendo piede negli ultimi anni. I media digitali
danno la possibilità di sperimentare modi nuovi per fare antropologia. Oggi
giorno, grazie ai progressi tecnologici, è possibile raccogliere in qualche
settimana informazioni per cui nel passato servivano mesi e tornare a casa per
analizzarle con l’aiuto di altri antropologi. I computer portatili, le camere
digitali e i software moderni consentono di accelerare notevolmente processi
che una volta duravano anni.
I siti
web dove nel passato si potevano lasciare commenti su ricerche antropologiche
sono stati sostituiti da nuove tecnologie digitali che permettono quella che
Wesch chiama “etnografia collaborativa infinita”. Le persone possono
aggiornare, condividere o commentare i materiali che sono stati pubblicati. I
potenziali che Internet offre agli antropologi visivi sono ancora da
approfondire.
Ormai
quasi tutti gli antropologi visivi utilizzano i media digitali per produrre,
conservare, pubblicare e distribuire i propri lavori, il che ci porta alla
conclusione che stiamo vivendo nell’era dell’antropologia visiva digitale. Ci
sono, però, ancora antropologi come Biella e Ruby, che nonostante l’uso della
camera digitale, non creano progetti multimediali interattivi e non pubblicano
i propri lavori su YouTube.
La
produzione di documentari interativi su DVD è poco diffusa per i costi elevati
che sono a portata solo di grossi cannali televisivi e case produttrici. Questo
è un ostacolo per lo sviluppo dell’antropologia visiva e dei film etnografici poiché
il DVD è un mezzo perfetto per lo studio e la conservazione di dati digitali.
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