6 maggio 2011

Storie dal Giappone

L'11 marzo 2011 ha cambiato la storia del Giappone e assieme alla storia, migliaia di vite sono cambiate. Diverse sono le testimonianze raccolte dai vari giornalisti presenti sul posto o scritte dalle stesse vittime di questa strage sui blog, unico mezzo rimasto per raccontarsi al mondo. 
Storie tragiche, ma anche storie felici, di prontezza di spirito, fortuna e di eroismo emergono dalla desolazione lasciata dal terremoto e dallo tsunami abbattutisi sulla costa nord-orientale dell' arcipelago.

     “ E' orgogliosa di sé Tsuna Kimura, 83 anni, una vita trascorsa a coltivare riso, che si è salvata grazie a un'idea un po' folle e a un'incredibile forma fisica: quando la sirena dell'allarme tsunami è suonata nella sua cittadina, a Hachinohe, sull'estremo lembo nord dell'isola di Honshu, lei ha reagito subito ed è montata in bicicletta e, pedalando più forte che potesse, è riuscita a lasciarsi l'onda di piena alle spalle. “Sono salita da sola sulla bici e sono scappata via”, ha detto. “

   “ L'eroica dedizione alla comunità e l'estremo senso del dovere hanno invece lasciato tragicamente solo il vigile del fuoco Kenichi Suzuki. Dirige i pompieri di una cittadina e subito dopo lo tsunami che l'ha distrutta lui si è dedicato a costruire argini. Della sua famiglia aveva perso ogni contatto, ma lui scelse di fare quello che riteneva il suo dovere. Ora torna alla sua casa, accompagnato dalle telecamere dell' emittente Nhk, con il casco ancora in testa. E davanti alla distruzione che lo accoglie si pente di non aver anteposto la famiglia al lavoro: “Non riesco a dire niente. Mia moglie, la famiglia di mio figlio, i miei quattro nipoti, li ho persi tutti!”, esclama, e scoppia a piangere. Cerca di trattenersi, gli occhi seminascosti dietro un paio di occhialini. Poi scoppia di nuovo il pianto: “Non ce la faccio”, dice, e stavolta le lacrime scendono. Ma per poco: quasi subito riesce a trattenerle, pudicamente.”

   "Sono finalmente riuscita ad abbracciare mio nipote. Essere salvi è una cosa bellissima" racconta una donna scampata alla furia del sisma e dello tsunami. "Qui mancano cibo e acqua" dice invece un uomo. La sua voce è flebile, stanca, si guarda attorno e indica ciò che resta dopo la tragedia. Case divelte, macerie, distruzione. Le telecamere poi inquadrano i volti delle persone. Composti, ma segnati dal dolore. Guardano gli avvisi appesi alla bacheca allestita dalla Protezione civile. Cercano il nome di un familiare ancora disperso, con la speranza che anche lui sia riuscito a salvarsi.

     Yasuko Wigger ha invitato i suoi genitori a venire in Svizzera. Ma loro non sembrano voler approfittare di questa offerta. «Mio padre, che ha 79 anni, insegna biologia in una scuola privata. Mia madre si occupa dei rifugiati di Fukushima che si trovano in uno stadio nelle sue vicinanze».
 «Sono impegnata ad accogliere dei rifugiati – mi dice – non è il momento di venire a rifugiarmi in Svizzera! La mia è stata una vita piena, la morte non mi fa paura. E poi, rispetto ai rifugiati di Fukushima, sono una privilegiata».


      Chiyo Torii, 83 anni, cammina in mezzo alle macerie coperte di neve del suo villaggio. Ha perso la sua casa e il fratello più giovane. Ricorda come, solo una settimana prima del disastro, la sua comunità avesse commemorato l’anniversario dello tsunami del del 1933. Come tutti gli anni, il villaggio di pescatori si era fermato e tutti avevano rivolto la faccia all’oceano per pregare. Chiyo aveva cucinato il riso con una pianta che cresce accanto al memoriale per le 900 vittime, nella convinzione che li avrebbe aiutati a trovare pace. Quasi tutta la comunità aveva poi preso parte a una esercitazione anti tsunami. “Mi sentivo al sicuro, non avrei mai immaginato di vivere una tragedia del genere. E’ molto peggio di quanto abbiamo sofferto nella Seconda Guerra Mondiale. Conosco famiglie che sono state completamente annientate”. La sua casa adesso è una stuoia di paglia con due coperte in un rifugio d’emergenza allestito in una classe della scuola. Sorride con dolcezza e si scusa per non potermi offrire nulla. Mi ringrazia più volte per essere venuto, come se in qualche modo la presenza di uno straniero potesse alleviare il dolore per la perdita del villaggio. Più tardi viene a cercarmi, mi apre la mano e mi mette un pugno di riso colloso, cotto al vapore e avvolto in un’alga, un piatto locale che una sua parente le ha preparato. “Grazie per essere venuto, grazie, grazie”, mi dice di nuovo, inchinandosi con un sorriso. Accanto a me Mariko, la mia interprete, piange in silenzio.

Fonti:
- Sky.it ; Il Sole 24 Ore ; La Stampa

Dopo aver letto queste testimonianze tramutate in brevi racconti di vita, molte sono le domande che sorgono:

- Come, secondo voi, si possono aiutare queste persone?
- In che modo si riuscirà a superare il disastro?
- Che cosa si pensa riguardo all' accaduto? (in Occidente)
- Qual'è il messaggio che riceviamo?
- Si è interessati ai risvolti della situazione anche se i media ne parlano di meno?

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