Capitolo 7: In che modo i documentari affrontano le questioni sociali e
politiche?
Il documentario, parlando di
persone, si è trovato a fare i conti con la loro rappresentazione. Innanzitutto
si sono poste questioni etiche, in parte affrontate dall’autore nel primo
capitolo, che hanno messo in gioco la presenza multi localizzata di finalità e
scopi differenti. Tuttavia, anche la narrazione di una situazione può spesso
determinare il paragone fra le persone e banali stereotipi. Brian Winston
criticò duramente i documentari inglesi degli anni trenta, poiché secondo lui,
volendo rappresentare la classe operaia come una vittima, preclusero allo spettatore
la possibilità di vederne il cambiamento. “L’operaio sarebbe stato messo al
centro del soggetto documentaristico, anonimo e patetico, e il regista di
documentari di tradizione vittimistica sarebbe stato un “artista” tanto quanto
ogni altro regista” (cit. p. 146, tratta da The
tradition of the Victim in Griersonian Documentary, di Alan Rosenthal,
p.274). La questione che il documentario non possa risolvere le problematiche
sociali che mette in campo e tuttavia ne promuove un tentativo, richiama quella
dell’impegno politico. Nichols, a questo punto, prende in considerazione alcuni
film che si posso dire eminentemente politici, ovvero il cui scopo è un
problema sociale.
Uno dei problemi trattati nei
documentari è la costruzione dell’identità nazionale (questione molto complessa, peraltro affrontata criticamente da numerosi antropologi). Essa rappresenta il
senso di “comunità”, l’appartenenza a un gruppo che si ritiene unito da fattori
culturali e organici, dove però non sono rintracciate le questioni ideologiche
che concorrono al mantenimento di tali finzioni. Le ideologie subentrano per
creare storie, immagini e miti che forniscano delle prove concrete e sicure per
mantenere la società “fissa” entro certi canoni. Tuttavia, in contesti
differenti, le persone instaurano rapporti differenti. Questo tipo di relazioni
scatenano comportamenti eterogenei che si basano sulle ideologie. Molti
documentari si interessarono delle rivoluzioni, i primi furono quelli che
presero in considerazione quella russa. Il Kinopravda
di Vertov ha contribuito alla costruzione di una nuova società. Ritenendo
la macchina da presa uno degli strumenti della tecnica più innovativi, dal suo
punto di vista artistico ne vedeva lo strumento in grado di consentire la
sperimentazione e la rappresentazione di nuove forme. Alla fine degli anni
trenta Vertov perse il sostegno finanziario dello stato. Al contrario in quegli
anni, Grierson riuscì a convincere il governo britannico ad utilizzare la forma
artistica del film-documentario per trasmettere alla nazione un senso di identità
ed appartenenza. Sostenne il potere migliorativo della democrazia parlamentare
e l’intervento del governo per risolvere i problemi più urgenti e le
ingiustizie più gravi all’interno del sistema sociale (p.153).
Spesso i film si opposero alle
politiche governative e industriali, negli Stati Uniti, ad esempio negli anni
venti e trenta alcune società cinematografiche e fotografiche operaie
documentarono gli scioperi e diedero voce agli argomenti importanti della
classe operaia. Con la modalità partecipativa, si immedesimavano nel gruppo che
volevano rappresentare. Ivens e Stork, non collaborarono né con il governo né
con la polizia, ma con le stesse persone la cui miseria non era stata ancora né
affrontata né eliminata dalle istituzioni (p.156). Molti dei primi film
etnografici sono stati prodotti con lo specifico scopo di sensibilizzare la
coscienza nazionale basandosi su esperienze lontane che in un certo senso
richiamavano quelle locali. Altri invece, molto più tardi, identificarono tali
esperienze nel loro carattere riduttivo e generalizzante. Esiste infatti una
controtendenza nell’atteggiamento delle persone, pur essendoci un cultura
dominante che “impone” alcuni canoni, soggiacciono sotto-culture che mantengono
“intatte” le caratteristiche culturali di gruppi in esilio o nella diaspora. Gli
anni sessanta e settanta hanno rappresentato la storia a partire dal basso,
ovvero tenendo in considerazione le persone che rimangono ai margini della
società. Un esempio è il gruppo di registi che negli Stati Uniti formò il Newsreel. Questo gruppo ha prodotto
molti film dal 1967, focalizzando la propria attenzione sulla guerra in
Vietnam, sulla resistenza alla leva, gli scioperi universitari, i movimenti di
liberazione nazionale in tutto il mondo e i movimenti femministi (p.158).
Questi documentari “militanti” si
interessarono anche ad altri problemi sociali, connessi soprattutto alla
costruzione dell’identità. The Woman’s
film ha dato inizio a quel processo, focalizzandosi sui primi movimenti
femministi. Non solo, i primi film iniziarono ad interessarsi di categorie
emarginate come quella degli omosessuali e delle lesbiche. In questo caso sono
presi in considerazione gruppi di persone oppresse dalla cultura dominante, che
tuttavia determinano un proprio margine d’azione nella collettività. Nel film Word Is Out (1977) sono presenti
interviste rivolte a gruppi gay e lesbici che affrontano il problema della
scoperta della sessualità nelle persone. Un’altra prospettiva storica sull’esperienza
omosessuale è presa dal film di Greta Schiller, John Scagliotti e Robert
Rosenberg Before stonewall: the making of
a gay and lesbian community (1984).
La voce politica del
documentario, oltre che affrontare l’identità culturale di un gruppo dominante,
deve prendere in considerazione quelle ibride, che con la loro natura mutevole,
vengono difficilmente catalogate in un unico modo. Tuttavia, nel momento in cui
cercano di fissare queste identità in alcuni punti chiave, pur creando un
orgoglio di gruppo, tendono a produrre un falso senso di sicurezza o di
permanenza. Esiste, e gli antropologi lo sanno bene, un fattore di mescolanza
che si presenta nella diaspora e che consente il cambiamento offuscando la
nitidezza dei contorni di una politica di identità. Questi confini fluidi, che
non possono essere categorizzati in identità chiare, sono presi a loro volta
come oggetto di analisi da parte dei documentari. Con un film in stile
riflessivo, Chris Marker esamina l’esperienza dello spostamento e dello
straniamento in Sans Soleil (1982).
Nichols, a conclusione del suo
capitolo, afferma che tutti e sei i tipi di film documentario, nel momento in
cui mettono in mostra una voce politica, intendono rappresentare le questioni
sociali o i ritratti personali. Il primo tipo può essere associato alla
modalità descrittiva e narrativa, mentre il secondo a quella osservativa e
partecipativa, nonché ai dibattiti contemporanei sulla politica d’identità.
Gli uni affrontano questioni sociali da un punto di vista collettivo, gli altri
da un punto di vista personale.
La maggior parte dei
film-documentario affronta tematiche politicamente impegnate. In questo senso,
attraverso il video vengono comunicate impressioni che favoriscono l’approccio
critico del pubblico nei confronti del soggetto rappresentato. Il documentario
deve far riflettere, ma soprattutto trasmettere una visione della realtà nelle
sue componenti più eterogenee.
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