Capitolo 6: Quali tipi di documentario ci sono?
Nel secondo capitolo, Nichols
identificava sei modalità per definire i documentari. Infatti, la vasta
produzione cinematografica ha generato numerosi stili da cui sono sorti tipi di
film di rappresentazione sociale differenti. Sulla base di determinate
caratteristiche si cercherà di riprenderle una ad una. L’ordine in cui verranno
presentate dall’autore sarà quello cronologico.
La modalità poetica smantella le convenzioni del montaggio in
continuità e la collocazione in una dimensione spazio-temporale specifica,
privilegiando le associazioni e i motivi che riguardano i ritmi del tempo e le
giustapposizioni dello spazio. Questo tipo di approccio ha permesso ai
documentari di affrontare determinati argomenti da punti di vista alternativi.
Sottolinea pertanto un’impressione e uno specifico tono comunicativo. Il film
di Jean Mitry, Pacific 231 (1944), ad
esempio, fa uso di una rievocazione poetica per rappresentare la velocità di
una locomotiva, mettendo in risalto non tanto l’oggetto quanto il suo ritmo e
la sua forma. La modalità poetica è nata con il modernismo come metodo di
rappresentazione della realtà attraverso un insieme di frammenti, impressioni
soggettive, azioni incoerenti o libere associazioni. A seguito della prima
guerra mondiale, dopo l’abbattimento del sentimento positivista ereditato dal
XIX secolo, la cultura occidentale si trovò a fare i conti con problematiche
difficilmente risolvibili. Da questo clima di sconforto e incertezze il documentario
e il film hanno ereditato prospettive multiple. La frantumazione e l’ambiguità
restano le caratteristiche principali di molti documentari poetici.
La modalità descrittiva, al contrario, riprende temi argomentativi
e unitari, cercando di rendere più omogeneo il contenuto di una
rappresentazione frantumata. Si rivolge direttamente al pubblico proponendo un
argomento o narrando una storia. I film descrittivi fanno spesso uso del
commento fuori campo oppure di una voce autorevole presente sulla scena (come
nei telegiornali). Utilizzano spesso una logica informativa che viene
comunicata attraverso la parola. Le immagini sostengono quanto il narratore sta
dicendo, illustrandolo, descrivendolo, specificandolo ed esemplificandolo. Il
commento perciò ha lo scopo di dare un senso alle immagini, rappresenta il
punto di vista del documentario, che è veicolato per lo spettatore. Il film descrittivo
rende più facile generalizzare e discutere in senso lato.
La modalità osservativa, porta il regista a rappresentare la realtà
semplicemente come può osservarla attraverso la telecamera, ovverosia con “spontaneità”.
L’intento di restare fedele alla rappresentazione dell’oggetto porta alla
produzione di film privi di commento fuori campo, senza musica aggiunta o
effetti sonori, senza intertitoli né ricostruzioni storiche, senza ripetizioni
di scene per la cinepresa e addirittura senza interviste (p.116). l’aspetto di
questi filmati ricorda quello dei neorealisti italiani. L’attenzione
privilegiata agli attori sociali porta a ritenere che il carattere e le scelte
di ciascun soggetto presente nella ripresa siano fondamentali per rappresentare
un tipo di osservazione. Il pubblico è portato a giudicare ciò che vede,
basandosi sul comportamento delle persone che osserva. Questo atteggiamento,
che pone il regista al di fuori della scena in un modo quasi distaccato,
rimette in gioco questioni etiche legate alla legittimità di ripresa e
rappresentazione. Allo stesso tempo, la presenza del regista può far sorgere
delle problematiche connesse alla sua invadenza implicita o indiretta. Le
persone tendono a comportarsi nel modo che ritengono il regista voglia
osservare, soprattutto per quanto riguarda i documentari etnografici. (Problema
peraltro che si pone nella stessa ricerca antropologica). La presenza della
telecamera sulla scena, nel bene e nel male, tenta di rappresentare la realtà
nel modo più autentico possibile. Il prodotto finale conferma questo
atteggiamento, poiché le inquadrature e le scelte di montaggio ci consentono di
ritenere che quelle azioni siano il più verosimili possibile; in realtà la
rappresentazione cela l’aspetto costruttivo del film, le negoziazioni tra
regista e soggetti ripresi, per ottenere un risultato ben definito.
Il metodo antropologico della
partecipazione agli eventi di un dato gruppo per studiarne le caratteristiche è
spesso stato ripreso dalla filmografia documentaristica con la modalità partecipativa. Come gli
antropologi i registi fanno ricerche sul campo: in questo senso, il
documentario partecipativo ci dà un senso di cosa voglia dire, per il regista,
essere in una data situazione, e come essa subisca modificazioni a causa della
sua presenza (p.122). Il regista pertanto abbandona il commento fuori campo, si
allontana dalla meditazione poetica e cerca di immedesimarsi nella situazione
in cui si trovano i suoi attori sociali. La presenza fisica pone il regista
sulla e nella scena. Lo spettatore non si aspetta più semplicemente un punto di
vista, ma osserva la relazione regista-soggetto rappresentato come un tutt’uno,
ovvero parte di una medesima rappresentazione. Tuttavia, non tutti i
documentari sottolineano l’interazione tra il regista e il soggetto. Può essere
presa in considerazione una questione più ampia, fondata sull’aspetto storico,
attraverso l’utilizzo di interviste. Il dialogo tra i due soggetti permette
l’eliminazione del commento fuori campo, focalizzando l’attenzione
sull’interazione sociale. Questi brevi spunti ci consentono di identificare due
modalità partecipative: 1) la rappresentazione del mondo circostante dal punto
di vista del regista; 2) quella basata su fatti storici o interviste, per
sostenere ed analizzare una questione sociale.
Con la modalità riflessiva il regista si mette in relazione con il
pubblico. Si attua perciò un’osservazione di come rappresentiamo il
mondo oltre che a cosa viene rappresentato. Questo tipo di documentario
ci chiede di guardarlo per ciò che è: una rappresentazione
ricostruita (p.131). Una delle questioni più a cuore di questo tipo di film
è la domanda: “cosa dobbiamo fare delle persone?”. Questa è stata analizzata e
posta al centro dell’attenzione in film come Reassemblage (1982), Daughter
Rite (1978), Bontoc Eulogy (1995)
e Far from Poland (1984). Il primo
infrange le convenzioni realistiche dell’etnografia, per criticare il modo con
cui la telecamera rappresenta gli altri. Il secondo, si allontana dall’uso
degli attori sociali per inserire attori professionisti (sotto cui si cela la
vera voce dei soggetti intervistati). Nel terzo il regista narra la storia
della sua famiglia e in particolare di suo nonno, portato via dalle Filippine
per rappresentare la vita dei filippini alla fiera di S. Louis del 1904. Infine
Far from Poland si rivolge
direttamente allo spettatore per riflettere sui problemi di rappresentare il
movimento Solidarnosc. I documentari
riflessivi affrontano anche la questione del realismo, mettendo in discussione
i suoi tre punti principali (fisico, psicologico ed emotivo). La modalità
riflessiva inoltre è quella che mette maggiormente in discussione sé stessa.
Nella forma riuscita, trasmette allo spettatore la sensazione di come il film
sia un costrutto nato per raggiungere determinati scopi, e, grazie a questo
tipo di analisi, rivalutare i pregiudizi sull’oggetto in questione. Agisce
pertanto da un punto di vista formale e politico. Entrambi si basano sulla
capacità di produrre specifiche reazioni nel pubblico.
La modalità rappresentativa si pone delle domande come: che cos’è
la conoscenza? Che cos’è la comprensione? La conoscenza viene affrontata da un
punto di vista soggettivo. Ciascuna persona, basandosi sulle proprie esperienze
vissute, percepirà un oggetto o un tema in modo differente. Ovvero nel momento
in cui andremo a seguire un documentario ci porteremo dietro il bagaglio di
strumenti che la società ci ha messo in mano: la struttura istituzionale (i
governi, la religione, la famiglia e il matrimonio) e i concetti sociali
specifici (amore e guerra, competizione e cooperazione). Questi film cercano di
incoraggiarci a guardarli coinvolgendoci personalmente.
Evidentemente, tutte queste
modalità non devono essere prese come scatole chiuse o limitate alla propria
sfera d’azione. Molto spesso nella produzione di un documentario possono interagire
le une con le altre determinando esiti particolari e a volte innovativi.
Nessun commento:
Posta un commento