INTRODUZIONE AL
DOCUMENTARIO. (Bill Nichols)
Ciao a tutti,
con questi brevi spunti, che proporrò nei prossimi giorni, prendo in considerazione il testo di Nichols. La sua lettura mi ha permesso di comprendere più approfonditamente gli errori che avevo commesso nel produrre il mio video.
Capitolo1: Perché i
problemi etici sono fondamentali per i documentari?
Esistono due tipi di film: i
documentari di immaginazione e quelli di rappresentazione sociale. Con questa
definizione Bill Nichols apre il suo testo “Introduzione
al documentario”, con il quale cerca sotto molti aspetti di affrontare i
problemi sorti dal trasmettere informazioni attraverso l’immagine.
I film di rappresentazione
sociale, ovvero i documentari, danno vita – con un metodo particolare di
trasmissione di un contenuto – agli aspetti della realtà. Sono pertanto delle
“non fiction”. Forniscono un’idea di
come noi, e soprattutto il regista, percepiamo la realtà e come ci accordiamo
sul significato di determinate rappresentazioni. A differenza della fiction, il documentario sottolinea la verità delle affermazioni che va
esaminando, che noi possiamo accettare per la sua corrispondenza ai fatti
reali. Il mondo viene affrontato dal documentario seguendo tre modi distinti:
1) la sua rappresentazione in
modo verosimile (che ci è familiare). Nel vedere ciò che è passato di fronte
alla telecamera ci rendiamo conto che le persone, le cose e i luoghi potremmo
averli vissuti realmente.
2) I documentari mostrano
l’interesse altrui. I registi, in questo senso, assumono l’onere (da un certo
punto di vista etico) di rappresentare tanto la stragrande maggioranza del
pubblico che si avvicina al loro prodotto, che non ne è l’esecutore materiale,
quanto la presenza vivida degli interlocutori di fronte alla macchina da presa.
In Nanuk l’eschimese, Flaherty mostra
sia la lotta di quella famiglia Inuit per la sopravvivenza, sia l’interesse dei
Revillon Frères in quanto sponsor del film ed infine la propria impressione di
come sia la vita degli eschimesi.
3) Rappresentano il mondo
argomentando a suo favore o confutandolo. Pertanto, spingendosi ad essere
orientati in un determinato senso, influiscono sul pubblico degli osservatori
per persuaderli nella propria causa.
Nel rappresentare le persone,
ovvero nel trattarle come “attori sociali”
(p.17), il documentario si pone dei problemi etici. In questo senso, il lavoro
del regista può spesso incanalare e orientare la rappresentazione e pertanto
“tradire” l’autentica presenza della persona. La telecamera, a sua volta, di
fronte a chi non è un attore di fiction,
ovvero chi non è costruito secondo uno scopo ben preciso – basato su un copione, può generare situazioni
di imbarazzo, distorcendo la situazione stessa. Il modo con cui viene
rappresentata un’azione richiede uno spunto etico. Pertanto, come si domanda
Nichols, Jean Rouch nel rappresentare una cerimonia Hausa (nel documentario Les Maîtres fous) avrebbe dovuto
avvisare i suoi “attori sociali” del fatto che sarebbero potute sorgere delle
cattive interpretazioni da parte di un pubblico occidentale? L’etica diviene lo
strumento essenziale di relazione fra il regista e l’attore, influenzandoli
reciprocamente e producendo conseguenze sugli spettatori.
Il regista tuttavia non sempre si
trova a suo agio nel gestire i propri interessi (estetici, tecnici e
comunicativi), quelli dei propri sponsor, dei soggetti considerati nel video e dei
membri della comunità. L’atto del filmare si presenta come emblematicamente
problematico e da mettere in questione sia nella preparazione, nella ripresa, così come nella fase di montaggio. Le scelte di un regista, proprio
perché influenzate da differenti contesti, obbligano a “sviluppare un senso di
considerazione etica” (p.24).
Nichols, identificando il
problema etico della rappresentazione dell’altro, si domanda: “come dovremmo
trattare le persone nel film?”(p.25) Innanzitutto
nel documentario si pone spesso la figura di un Io assoluto che, attraverso una voce fuori campo, tende a non farsi
notare. A volte può essere quella dello stesso regista che “dietro la
telecamera” descrive un fatto in modo distaccato. Questo metodo di
comunicazione nacque negli anni ’30 del Novecento. Nei film etnografici tuttavia
la presenza del regista sulla scena (ovvero di fronte alla macchina) può trasformare
il significato di Io. Nell’osservare
l’etnografo al lavoro, nel porre domande, gesticolare, approfondire alcune
questioni tralasciandone altre, possiamo analizzare la visione personale del
regista, che in questo caso agisce personalmente nella situazione ripresa. Il
tema principale di un documentario dicevamo è la rappresentazione di altri. La narrazione
della loro storia o di una particolare situazione può essere considerata come
tema importante e caro per l’autore. In questo senso, siamo proiettati
attraverso un io singolare nel mondo del loro,
quale soggetto autenticamente rappresentato nell’immagine. Ciononostante,
questa presenza è pur sempre mediata dal regista che può decidere, secondo le
proprie inclinazioni, di descrivere le persone esaltando alcuni tratti e
minimizzandone altri. Va da sé che per chiudere questo ipotetico triangolo, vi
debba essere un voi, ovvero un
pubblico di spettatori a cui il messaggio è indirizzato. Si crea in questo
senso un discorso che va dal regista allo spettatore, con una particolare
struttura definita istituzionale. In
esso si condensa la capacità del regista stesso di consentire la partecipazione
al film, di permettere il riconoscimento di alcuni tratti particolari di
rappresentazione e fornire gli strumenti retorici in grado di “ammaliare” lo
spettatore.
Anche se il modello di
comunicazione “Io parlo di loro a voi”
è quello più utilizzato, esistono delle variazioni: “esso parla di loro/ciò a noi”, ovvero vi possono essere casi in cui
la narrazione di un fatto, di persone o cose sia affrontata da un narratore
senza personalità, sostanzialmente alienato da quanto dice. L’esempio della Cnn News ci permette di comprendere
quanto i reporter e i giornalisti siano distaccati da ciò che affrontano e, lo
standard dell’informazione, vuole che nessuno si lasci a considerazioni
personali, le quali potrebbero essere mal percepite dal pubblico. Un’altra
variante di questo sistema di comunicazione è:
“Io/noi parlo/iamo di noi a voi”,
con ciò il regista non è più una figura estranea, ma rappresenta il proprio
mondo. Con il documentario etnografico autoprodotto, gli indiani Kayapo del Rio
delle Amazzoni tentarono di convincere i politici ad attuare piani di
protezione del loro territorio.
Queste primissime considerazioni
ci consentono di riflettere: sul documentario come processo sorto da costanti
negoziazioni tra regista, soggetto rappresentato e pubblico; sull’importante
questione etica che orienta tanto la fase di realizzazione quanto quella di
visione; sul tipo di relazione comunicativa intercorsa fra il triangolo regista
- attore sociale – pubblico, da cui sorgono stili di rappresentazione
differenti. È evidente che la domanda “cosa dobbiamo fare con le persone?” deve
muovere il produttore di un documentario a riflessioni di tipo etico, nel
momento stesso in cui tenta di rappresentare l’altro.
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