Faeta si sofferma sul potere di verosimiglianza dell'immagine, ovvero sul rapporto non arbitrario che esiste tra fotografia e realtà. Il carattere iconico del segno/simbolo e la valenza analogica della fotografia possono costituire, come diceva MacDougall, delle risorse e delle potenzialità del mezzo fotografico/filmico piuttosto che aspetti prettamente negativi e delegittimanti. Qui Faeta sembra proporre un utilizzo critico del mezzo tecnologico sia per riflettere criticamente e per comprendere il grado di scarto descrittivo tra immagine e e dimensione reale dei fenomeni in oggetto, che per procedere a un lavoro di comparazione che non vuole essere meramente tassonomico ma che recuperi la possibilità di mettere in relazione oggetti diversi che possiedono "la stessa aria di famiglia" o oggetti somiglianti che appartengono a famiglie diverse.
Secondo Faeta sarebbe necessario dare alla fotografia un'articolazione di linguaggio che possa fornire all'etnografo una griglia di decodificazione di questa particolare forma di rappresentazione. Questo non per promuovere o affermare un nuovo regime di oggettività dell'immagine ma per fornire gli strumenti che rendano possibile apprezzare ed assumere riflessivamente la soggettività dell'etnografo/fotografo.
La grammatica e la sintassi di questo linguaggio, i suoi moduli di articolazione, vengono individuati da Faeta nell'instantanea, nel ritratto e nella sequenza.
1. Istantanea: riconduce al quadro critico dell'osservazione non esplicitata e non dichiarata ( senza il coinvolgimento dichiarato del soggetto/oggetto della ricerca) che può essere utile per riflettere sullo scarto tra dimensione reali di svolgimento di un evento e sua trascrizione in immagine. tanto più se esistono termini di raffronto in archivi attendibili. Questo non significa, in pratica, occultare la propria presenza e le proprie intenzioni. Al contrario il posizionamento esplicito del ricercatore sul campo crea un campo di relazioni/posizioni che la fotografia può aiutare ad indagare. le istantanee, secondo Faeta, consentirebbero di riflettere sull'elemento tecnologico e sulla postura dell'osservatore in modo critico e consapevole. Lo scopo dell'istantanea non è certo quello di raggiungere una qualche autenticità o corrispondenza semplice con la realtà. Proprio la consapevolezza del costrutto culturale che la foto produce può essere di grande stimolo all'analisi delle politiche e delle poetiche della rappresentazione.
Faeta consiglia l'uso di ottiche di corta e media focale, un campo con inquadratura omogenea, movimenti della camera lungo assi definiti e riconoscibili.
2. Il ritratto: all'opposto dell'istantanea il ritratto comporta il coinvolgimento profondo dei soggetti/oggetti della ricerca oltre che la presenza dell'etnografo e della macchina. Il ritratto, dice Faeta, può divenire un mezzo elettivo del rapporto di osservazione della partecipazione e ne consiglia l'utilizzo come strumento di classificazione e catalogazione, come immagine ricapilotativa dell'identità individuale, sociale, di genere, etc.
Consiglia per esempio di costruire delle schede fotografiche di un soggetto specifico in cui siano contenuti i dati bibliografici essenziali, fotografie tratte dai suoi album, del suo passato, famiglia e affetti, eventi e situazioni che ritiene significati nella sua vita + sequenze realizzate dal ricercatore sugli spazi/tempi e contenuti salienti della vita del soggetto + documentazione specifica relativa all'oggetto della ricerca + foto del soggetto da solo e in compagnia con chi desidera farsi ritrarre eseguiti in uno spirito di collaborazione. il ritratto come descrizione densa scaturisce, afferma Faeta da un complesso livello di interazioni interpretative tra osservatore e osservato. Le indicazioni dell'autore sulle modalità della ripresa sono molto ricche e dettagliate, in particolare si sofferma sul rapporto tra macchina da presa e soggetto e alla relazione spaziale e temporale che questo rapporto esprime, oltre che sulla dimensione intersoggettiva che si viene a istituire tra osservatore e osservato. Faeta afferma che il ritratto " è il luogo iconico dell'incontro" a cui si può giungere una volta stabilito un rapporto di fiducia e una pratica di tipo collaborativo.
3. La sequenza: Faeta ne consiglia l'utilizzo al fine di ricostruire la sequenzialità di un avvenimento e di analizzare e individuare le fasi in cui si articola. Isolare una serie di momenti dal flusso della realtà consente di chiarire la disgiunzione tra tempo reale e tempo rappresentato conservandone lo svolgimento nel tempo e nello spazio. La sequenza secondo Faeta "consente una riorganizzazione soggettiva, fortemente coesa, dell'esperienza percettiva". [pag. 120]. Interrompere l'andamento continuo della realtà ma conservarne la traccia nella serie dei fotogrammi, consente di analizzare e ricercare i rapporti che legano le immagini tra loro. anche in questo caso le indicazioni metodologiche dell'autore sono molto dettagliate a partire dalla necessità di conoscere i tempi e i vettori dell'azione che si intende fotografare.
il modulo della sequenza è presentato in tre varianti diverse:
- fissa: camera ferma di fotogramma in fotogramma
-libera: camera in movimento su avvenimenti dinamici e dipendente dalla loro logica
-mobile: camera in movimento omogeneo e progettato dal ricercatore
In conclusione Faeta si sofferma sull'uso della fotografia come forma di rappresentazione (trx e comunicazione) delle conoscenze acquisite attraverso l'esperienza etnografica.
La posizione della fotografia nella comunicazione e trasmissione del sapere antropologico ha assunto, dice Faeta, varie forme che vanno da quella meramente disdascalica, ausiliare e illustrativa - dipendende in larga misura dalla scrittura a cui è delegato il compito di una riflessione sull'esperienza/conoscenza e senza una chiara consapevolezza delle logiche concettuali soggiacenti ( analitica, sintetica, comparativa, paradigmatica, etc) e degli stili di discorso ( apodittico, affabulatorio, assertivo, illustrativo, etc.) a modalità di utilizzo in cui svolge un ruolo attivo e di raccordo tra osservazione e scrittura.
Faeta ritiene che sia necessario avere un "piano di significazione della fotografia che sia insieme ancorato all'osservazione e alla scrittura, a ciò che si è visto e a ciò che si vuole, di ciò che si è visto, riferire al lettore." [pag.125]
Il capitolo si conclude con una serie di esperienze realizzate dall'autore che mi sembrano ricche di spunti, oltre che ancorate a un'attenzione metodologica che orienta verso la sperimentazione consapevole e critica.
Nessun commento:
Posta un commento