Parte
terza
E'
percepibile un'aura di ottimismo e di fervore creativo nei confronti
dell'antropologia visiva in contrapposizione ad una crisi della
rappresentazione nell'antropologia che interessa la disciplina almeno
dall'ultima decade, come testimonia per esempio la nascita del
''Granada Centre for Visual Anthropology'', in dissenso appunto con
la relativa sterilità dell'antropologia britannica contemporanea
(Faris 1992). L'autore pone però l'attenzione su come le possibilità
offerte dal movimento contemporaneo non debbano spingere nella
direzione di un consumo dell'alterità quasi come di un feticcio, da
parte di un'industria occidentale che oggettiva e fruisce di chi sta
davanti alla videocamera quasi in un'ottica coloniale.
Attraverso
la videoanalisi l'antropologo ha la possibilità di indirizzare
l'opinione pubblica su problematiche di carattere socio-politico che
sente particolarmente; dovrebbe però tener ben presente che la
propria analisi non costituisca una critica culturale al sistema
politico altro, attraverso la lente della cultura occidentale
egemone, così da non perpetuare stereotipi di dominio che travisano
lo scopo scientifico della disciplina. ''Si può essere realmente
critici solo del nostro proprio sistema culturale, dato che è
l'unico sistema sociale di cui abbiamo una sufficiente ed intima
conoscenza'' (Faris 1992).
Kuehnast
parla di questo rischio nei termini di un ''imperialismo visuale'',
capace di colonizzare il mondo attraverso la selezione di immagini
che rappresentano una ideologia dominante ed una raffigurazione di
verità. Imperialismo visuale come il messaggio subliminale di una
gerarchia culturale, che esemplifica quello che è naturale, normale
e desiderabile da quello che è anormale ed innaturale, perpetuando
quindi stereotipi razziali e di genere (Kuehnast 1992).
L'antropologia
visuale offre svariati e nuovi campi di ricerca. Tra questi uno di
particolare impatto è costituito dallo studio delle rappresentazioni
generate dagli indigeni stessi e dall'uso che essi ne fanno in
particolar modo a livello politico. A riguardo, per approfondire il
discorso, risultano emblematici gli studi sui Yoruba di Sprague
(1978), di Hammond sui Tonga dello Utah (1988), di Jhala in India
(1989) e di Chalfen sull'uso dei videotape da parte dei teenagers a
Philadelphia (1988).
Un
altro interessante studio a riguardo è quello di Turner sui Kapayo
in Brasile; in esso si può osservare la loro pluralità di scopi di
utilizzo dello strumento visuale. Viene utilizzato per documentare le
proprie tradizioni culturali, in primo luogo le performance rituali;
come strumento di organizzazione socio-politica laddove per esempio
alcune importanti manifestazioni (come quelle riguardanti lo
sfruttamento di una miniera d'oro sul loro territorio) vennero
registrate per essere divulgate tra i vari capi Kayapo; e ancora con
risvolti socio-politici dato che le riprese per le transazioni con i
brasiliani per la miniera d'oro di Maria Bonita hanno per loro una
sorta di valore legale e contrattuale (Turner 1990). Vediamo come
l'analisi che parte dallo studio dell'utilizzo del mezzo
audio-visivo, in questo caso da parte dei nativi, travalichi
facilmente lo studio dello strumento visuale. L'estensione logica
potrebbe essere lo studio dei cambiamenti culturali in correlazione
alle tecnologie di comunicazione (Chalfen 1992).
E'
però fondamentale tenere conto, nonostante i connotati culturali
nell'utilizzo della videocamera, dell'eterogeneità interna alle
culture nei termini di divisioni socio-politiche e culturali. E'
auspicabile infatti che differenti persone, in differenti settori
socio-culturali della comunità vedano e registrino il mondo in
maniere differenti. A riguardo è notabile lo studio di Bourdieu
(1965) sulle auto-rappresentazioni negli album di famiglie parigine
di diverse aree, quale strumento per rafforzare l'immagine della
famiglia al suo interno. Si ipotizza che la middle-class tenda a
rappresentare non solamente i componenti della famiglia, ma ad
espandere appunto i soggetti fotografati, in contrapposizione alla
classe operaia, relativamente alla maggiore ambizione date le
possibilità economiche e la posizione sociale migliore (Grace 1977).
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