Capitolo 5: Com’è nata la filmografia documentaristica?
La filmografia documentaristica è
stata condizionata da esperimenti occorsi nel tempo. La sua nascita, avvenuta
in modo furtivo, è stata dettata dalla volontà di alcuni registi di comprendere
le conseguenze di alcuni fatti realmente accaduti. I primi documentaristi si
interessavano soprattutto ad esplorare i limiti del cinema, per scoprire e
provare nuove forme tecniche di realizzazione.
Il documentario sorse dalla
volontà di rappresentare l’aspetto visibile delle cose; pertanto la sua
capacità di registrazione del vissuto quotidiano si identificava con l’
“autentica” rappresentazione del reale. Tuttavia, il confine tra fiction e non-fiction non sempre è stato tracciato con precisione; nel documentario
si è spesso posta la questione se affrontare il tema semplicemente da un punto
di vista argomentativo o invece introdurvi parti più retoriche ed emotivamente
coinvolgenti.
Il cinema ha stupito l’umanità,
molto più della fotografia, poiché le immagini possedevano una straordinaria
somiglianza con il loro oggetto. “Il senso di autenticità trasmessa dai video
di Louis Lumière girati alla fine del XIX secolo con L’uscita dalle fabbriche Lumière, l’arrivo di un treno nella stazione
di La Ciotat, l’innaffiatore innaffiato e il pasto del bambino, sembrano poco distanti dal documentario vero
e proprio”(p.91). Questi film registravano la vita quotidiana come avveniva
senza alcuna interferenza all’epoca di Lumière. Senza nessun tipo di
abbellimento né montaggio, rappresentavano la scena come avveniva. Consiglio di
visionare questi pochi minuti di girato: http://www.youtube.com/watch?v=cBQ9wAAW_zs.
Dalla parte del regista ci si pongono due storie differenti: da un lato, la
capacità della pellicola o della fotografia di riportare attraverso un processo
fotomeccanico l’immagine dell’oggetto che hanno registrato; dall’altro, il
desiderio dei primi produttori di indagare questa misteriosa capacità e sfruttarne
i potenziali per creare un’opera d’arte. Il documentario nasce dalla volontà di
rappresentare il reale, il più “realmente” possibile.
Ciò ha portato alla grande
lucidità dell’opera Nanuk l’eschimese
(1922) di Flaherty e alla pubblicità del nuovo genere documentaristico promossa
da John Grierson, nonché alla sponsorizzazione negli anni trenta. Il
documentario rappresentò la realtà alterandola; lo stesso lavoro di Flaherty
mette in mostra una ripresa che potrebbe sembrare all’interno di un igloo, in
verità Nanuk sta fingendo di essere nel suo igloo poiché quello che vediamo
dall’inquadratura è una metà di igloo, costruita appositamente per rendere il set più luminoso. Il confine tra scienza
e spettacolo viene così rivisto: tanto quanto Nanuk si comporta come se stesse
vivendo nella sua vera abitazione, noi siamo spronati a ritenere che quello sia
il modo autentico e più realistico di vivere di un eschimese. In breve, siamo
portati a credere nella buona fede del regista.
Il cinema primitivo fu connotato da
due caratteristiche essenziali: l’ostentazione
e la documentazione. Prima di
poter parlare di documentario, Nichols prende in considerazione altre tre
direzioni differenti che il cinema prese in considerazione: la sperimentazione poetica, il racconto narrativo e l’oratoria retorica.
La sperimentazione poetica ebbe
una presa maggiore sul cinema d’avanguardia fiorito negli anni venti. Con essa
sorse la necessità di poter inserire il discorso del regista, consentendo un
margine d’azione maggiore rispetto al semplice processo meccanico di
registrazione. In ambito sovietico il montaggio fu visto come l’unico mezzo in
grado di consentire al regista di far passare la propria visione artistica
della realtà. In Francia invece veniva esaltato il lavoro di Jean Epstein, che
si basava sulla tecnica della fotogenia,
ovvero a ciò che l’immagine poteva trasmettere al di fuori del suo semplice
contenuto rappresentativo.
Con il racconto narrativo, dopo
la nascita della voce poetica, la presenza del regista si fece ancora più
dominante. Grazie ad esso, il film univa lo stile alla costruzione di una trama
specifica. Le impressioni del regista sul mondo reale e immaginato si
mescolavano all’utilizzo di un certo stile. Per quanto riguarda il documentario,
l’innovazione dei sistemi di narrazione (visiva e sonora) consentì nuovi
strumenti in grado di agevolare la trasmissione di una o più opinioni. La
narrativa fungeva da giusto compromesso per considerare la consequenzialità
logica tra un evento e un altro (in un’ottica cronologica), la struttura
problema/risoluzione, la possibilità di utilizzare forme di ritardo e la
semplificazione della fase di montaggio. Il Neorealismo italiano, promosso da
Rossellini, De Sica e Visconti, ha fornito utili strumenti al film documentario
per rappresentare la vita quotidiana con semplicità e onestà; “non è, in
effetti, una verità, ma uno stile”(p.100). Il termine realismo viene assimilato
dal documentario in tre modi differenti: il realismo
fotografico, che crea una sorta di realismo di luogo e tempo, con riprese
in esterni, inquadrature semplici e il montaggio di continuità; il realismo psicologico, che vuole
comunicare le condizioni interiori dei personaggi o degli attori sociali in
modo plausibile e convincente; il realismo
emotivo, che riguarda la creazione di uno stato emotivo appropriato per lo
spettatore, permettendogli di
riconoscere alcuni tratti realistici di una dimensione che può aver vissuto
(cfr. pp.100-01).
Con la retorica e l’oratoria,
peraltro in parte già affrontate nei capitoli precedenti, il regista cercava di
persuadere del valore di un dato punto di vista, indirizzando il pubblico ad un
tipo di comportamento. Le immagini concorrono a sostenere questa impresa. Negli
anni venti e trenta le rappresentazioni cinematografiche di autori come Victor
Turin e Jean Vigo ci permettono di comprendere quanto la voce del film fosse
orientata. Con il montaggio è venuta a formarsi la possibilità di trasmettere,
attraverso contenuti frantumati, immagini non viste o difficili da cogliere ad occhio
nudo, condizionando alcune impressioni sul soggetto ripreso piuttosto che
altre.
Questi approcci ci consentono di
affrontare la genesi del documentario, soprattutto per quanto riguarda la
formazione dei diversi stili, nonché, come si vedrà con il prossimo capitolo,
la classificazione dei tipi principali.
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