Buongiorno a tutti,
la ricerca che abbiamo deciso di svolgere è sul Parkour e, nello specifico, sul rapporto
che esso sviluppa tra il soggetto e lo spazio.
Il Parkour
è una disciplina metropolitana nata in Francia
agli inizi degli anni ’90 che consiste nell'eseguire un percorso superando
qualsiasi genere di ostacolo vi sia presente con la maggior efficienza di
movimento possibile, adattando il proprio corpo all'ambiente circostante. Con
efficienza si intende uno spostamento che sia al contempo semplice, veloce e
sicuro; un termine che racchiude in sé entrambe le parti della dicotomia
spazio/tempo che vediamo spesso emergere, anche a livello antropologico, nello
studio delle categorie del soggetto.
Il nome deriva dal percorso di guerra, chiamato
“percorso del combattente” (in francese parcours
du combattant), utilizzato nell’addestramento militare proposto da Georges
Hébert. Egli era un ufficiale di marina francese che, nei primi anni del
Novecento, sviluppò un particolare metodo di allenamento per l’addestramento
delle truppe definito Hébertismo; il suo motto è esemplificativo della pratica:
«Essere forti per essere utili». Il metodo viene anche definito come “naturale”
poiché si fonda sull’idea che il migliore modo per allenare un uomo è
esercitarlo nei movimenti naturali che sa fare, nelle situazioni che la natura
gli presenta e gli richiede.
Sarà poi David Belle, figlio di un pompiere
addestrato secondo il metodo di Hébert, che, dopo aver sperimentato fin da
piccolo percorsi e tracciati, da adulto intraprese la carriera militare,
vincendo numerosi trofei nei “percorsi del combattente”. Dopo essere divenuto
anche lui pompiere ed essere stato costretto ad abbandonare il mestiere a causa
di un infortunio al polso, non accettando di abbandonare la pratica che l’aveva
da sempre appassionato, ne fece una filosofia e fondò quello che oggi è
conosciuto come Parkour.
Nel 1998 David Belle e Hubert Koundé decisero di
sostituire alla “c” di parcours la
“k”, sia per veicolare una maggiore sensazione di aggressività sia per
innegabili motivi estetici, e di eliminare la “s” muta in quanto contrastante
con l’idea di efficienza del Parkour.
Belle non è l’unico fondatore della disciplina, viene
infatti affiancato anche dal gruppo degli Yamakasi, che fondarono l’Art du
déplacement, e Sebastien Foucan, che creò il Free Running.
Spesso la disciplina del Parkour viene confusa con il Free
Running, che si discosta dal Parkour
in quanto l’efficienza nella scelta del percorso viene messa in secondo piano
rispetto alla spettacolarità e all’originalità dei movimenti. Il Free Running in ogni caso permette di
poter godere delle peculiarità dell’abilità motoria e tracciativa non
vincolandosi necessariamente all’emergenza e all’efficienza, ma tenendo conto
oltre che degli aspetti estetici, anche di quelli quotidiani, che non
necessariamente sono volti all’efficienza.
La diffusione del Parkour
è avvenuta soprattutto grazie al passaparola e, come si può immaginare, è
esplosa con la diffusione di internet ed in particolare con i video caricati su
YouTube. Questo genere di diffusione
porta la pratica ad essere da un lato conosciuta anche in territori diversi da
quelli di origine, ma dall’altro a divulgare un’immagine fuorviante della
pratica, in quanto commista con gesti e movimenti superflui che, come abbiamo
visto, non rientrano nella disciplina pura.
In Italia il Parkour
arriva attorno al 2005; si è sviluppato molto grazie al web e ai siti locali
che hanno creato i primi incontri tra tracciatori.
Chi pratica Parkour
è chiamato tracciatore, definizione
evocativa del fatto che l’obiettivo del soggetto è quello di tracciare sia
metaforicamente che fisicamente un percorso nello spazio; i movimenti e la
direzione che si andranno a percorrere vanno difatti ben focalizzati prima
mentalmente in maniera conscia e successivamente percorsi in tutta la
materialità del proprio corpo.
La presa di coscienza di sé, del proprio corpo, dei
propri movimenti e soprattutto delle proprie possibilità è centrale in questa
disciplina, che non per nulla è definita come tale. Definirla come sport
estremo o come semplice pratica urbana rischia difatti di non cogliere quella
che è la grande operazione di disciplinamento e consapevolezza che i
tracciatori compiono in se stessi e su se stessi; sia che si debba percorrere
con efficienza, sia che lo si debba fare con originalità ed eleganza, la
cognizione delle proprie possibilità fisiche e spaziali risulta fondamentale.
Il Parkour
non è poi soltanto uno sport, ma anche un'applicazione sociale: i suoi valori sono
importanti per insegnare ai giovani (e non solo) il rispetto per se stessi e la
conoscenza dei propri limiti, utili per poter affrontare non solo gli ostacoli
materiali della città, ma anche quelli piccoli o grandi della vita. Le
associazioni nazionali che lo praticano ed insegnano sono difatti molto attente
a questi aspetti; l’associazione dei Milan
Monkeys e della loro palestra Total
Natural Training, oggetto della nostra ricerca, perseguono infatti anche
questa ambizione.
L’applicazione del Parkour alla vita quotidiana, e non solo all’ambito della palestra
o dei momenti selezionati in cui si apprende o ci si allena, è particolarmente
utile; è comprovato difatti che i tempi di spostamento diminuiscono
sensibilmente, fattore non indifferente nel momento in cui ci si ritrova a
vivere, come spesso accade per chi pratica questa disciplina oggi, nelle grandi
città.
Oltre ad una facilitazione nell’analisi dello spazio
circostante, il Parkour, nel momento
in cui viene praticato da tempo e quindi assorbito nelle competenze del
soggetto, cambia sensibilmente la cognizione dello spazio e del luogo del
soggetto. Le sue mappe mentali saranno differenti a livello organizzativo
rispetto a quelle di un non praticante e gli schemi con cui affronta le
dinamiche spaziali saranno sempre soggette ad un’analisi, più o meno
preponderante, dell’efficienza di movimento possibile e dell’area di
spostamento agibile rispetto al luogo in cui è collocato.
L’apprendimento della pratica non per nulla deriva da
una disciplina militare: richiede molta attenzione all’analisi dello spazio
circostante, ma al contempo anche una grande capacità di analisi interiore; è
solo grazie all’ascolto delle proprie sensazioni, dei propri sensi e dei propri
limiti e possibilità che si può migliorare. Un semplice allenamento di tipo
muscolare che non preveda anche un introspezione, sarebbe manchevole di una
parte fondante della pratica del Parkour.
Il potenziamento fisico è in ogni caso fondamentale e deve sempre accompagnarsi
ad una prova pratica di percorsi; si può divenire tracciatori esperti solo nel
momento in cui si esperisce, si prova, si fallisce e si riesce molteplici volte
sul campo.
Come antropologi, le affinità che si possono cogliere
rispetto alla disciplina non sono poche. È lo spazio della relazione che il
soggetto attiva nei confronti con dello spazio in cui si trova a dare origine
al movimento (del corpo, estrinseco) e alla consapevolezza (interna, del
soggetto). Discipline simili costruiscono non poco il carattere dei soggetti e
sono, a certi livelli, comparabili e tramutabili in filosofie di vita: gli
ostacoli materiali si metaforizzano in quelli della vita e il rapporto di
analisi, strategia, consapevolezza e fluidità si applica così dall’azione nello
spazio all’azione nella vita.
Il tipo di osservazione che desideriamo perseguire
quindi, come si è potuto leggere precedentemente, si focalizza primariamente
sull’analisi del rapporto spazio/soggetto. Da questo vorremmo trarre degli
spunti di ricerca verso: il movimento nel Parkour
come unione attiva di questa dicotomia; l’arte dello spostamento e le sue
finalità (Parkour e Free Running); la modificazione delle
categorie mentali del soggetto conseguentemente all’apprendimento della
disciplina; le modalità di insegnamento della pratica in questione.
Questa analisi sceglie di utilizzare il mezzo visuale
in quanto ritenuto fondamentale per permettere ai fruitori di cogliere le
suggestioni date da questa disciplina, che si struttura come essenzialmente
visiva e visuale nei suoi modi, nei suoi intenti e nelle sue pratiche, sia di
efficienza che estetiche.
Attraverso delle interviste ai soggetti che hanno
aperto la più grande scuola di Parkour
a Milano, i Milan Monkeys,
desideriamo poter cogliere il punto di vista di chi pratica la disciplina ad
alto livello, confrontando ciò che abbiamo potuto conoscere a livello teorico
con la pratica dei soggetti, mettendo quindi anche alla prova la consapevolezza
implicita ed esplicita delle asserzioni precedentemente descritte. Con delle
brevi interviste agli allievi della scuola che i Milan Monkeys hanno creato, e con la visione della palestra Total Natural Training che utilizzano
per i loro allenamenti indoor, desideriamo mostrare come si modifica il
disciplinamento sia corporeo sia cognitivo nel corso del tempo e dei
progressivi allenamenti, nonché le motivazioni che spingono i soggetti a
compiere un percorso tanto particolare come quello dello svolgimento del Parkour.
A livello metodologico intendiamo conoscere anzitutto
la palestra, che pare essere oltre che il fulcro dell’associazione, anche la
prima forma concreta di avvicinamento alla disciplina in oggetto per chi la
pratica per la prima volta. Successivamente vogliamo poter documentare l’azione
su di un effettivo campo urbano andando così a coprire, come abbiamo delineato
precedentemente, sia l’esperienza dell’allenamento sia quella della pratica sul
campo urbano effettivo.
A livello registico la nostra ambizione è quella di
poter far succedere sia il parlato che l’immagine, sicuramente più spettacolare
ed evocativa di tante parole, di modo da offrire con la produzione del filmato
un assaggio del particolare mondo del Parkour e delle suggestioni che ci ha
fornito sotto forma di domande di ricerca.
Componenti del gruppo:
- Laura Floreani
- Melissa Fiameni