5 giugno 2012

"Le ragioni dello sguardo" di Francesco Faeta


Capitolo 7 | Visione, somiglianza, ricordo. Simulacri e contesti rituali.

In questo capitolo Faeta indaga sul campo festivo e sulla relazione tra lo sguardo e le immagini alla memoria. Prende in esame, soprattutto, le immagini sacre all’interno di alcuni contesti rituali del Sud Italia.
Un ruolo fondamentale è svolto dai simulacri senza i quali non vi sarebbero campo festivi e attori sociali. “Il campo festivo sembra essere anche proiezione sociale di quello spazio del sacro che esiste (…) solo là dove una realtà sensibile è anche immagine presunta, direttamente o indirettamente, di una realtà soprannaturale” [pag. 174]. Simulacri e immagini sacre sono poste al centro di dinamiche che riguardano lo sguardo.  Il carattere eidetico si è affermato in età controriformistica per esprimersi completamente nell’estetica del barocco in cui centrale è il lutto, la celebrazione di un eroe defunto, l’esibizione della morte, del martirio, del sangue e le feste sacre sono, quindi, anche il luogo in cui si mostra il corredo estetico del barocco stesso. “La visione, la contemplazione, l’estasi, un insieme di pratiche visive di inconsueta intensità, caratterizzeranno stabilmente, da allora, il rapporto dei fedeli con il simulacro” [pag. 175]. Nel Mezzogiorno italiano, la predicazione riformata puntava sull’uso delle immagini, sulla manipolazione dell’immaginario e sulla disciplina attraverso il dominio dei corpi mediante pratiche di penitenza e di flagellazione, tutto questo serviva a “far ricordare” e a mostrare l’ordine gerarchico della Chiesa e di assicurare un’obbedienza delle masse deprivilegiate.
Oggi il modello archetipico su cui si plasma lo sguardo del fedele è quello della visione: “ogni esposizione del simulacro nello spazio sacro, o in quello civile, equivale dunque, per un esteso numero di persone, a un’apparizione miracolosa, alla comparsa del divino sulla scena della quotidianità” [pag. 179]. L’osservazione di un simulacro divino è carico di valenza metafisica, segnalato in modo enfatico da tutte le pratiche che precedono l’apparizione pubblica. Ma cosa vedono i devoti quando guardano un simulacro divino? Dipende dal contesto sociale, dal gruppo di appartenenza, dall’individuo: “cosa si vede quando  si guarda un simulacro divino è oggetto di un complesso lavoro di definizione, di una forte negoziazione reciproca, di una pratica di scambio e di mediazione tra gruppi e tra singoli” [pag. 181] individuare queste differenti visioni è compito dell’antropologia dello sguardo che deve fare i conti con la modulazione sociale delle categorie culturali. Ancora riguardo i simulacri, secondo Faeta è forte la tendenza alla diffusione di pratiche di spettacolarizzazione (in cui l’uso spettacolarizzato e videoinformatico del contesto rituale diventa invasivo e pervasivo) e di patrimonializzazione della festa.
Tratto essenziale del simulacro è il suo essere oggetto eidetico e questa condizione è data da un insieme di pratiche di manipolazione, “manipolare il simulacro significa trasferire, nella concreta dimensione sociale e politica, il suo potere visivo. La manipolazione (…) ha il compito di predisporre all’uso politico i simulacri e di organizzare il tempo, lo spazio, i modi della visione”. E aggiunge “i simulacri vivono una sorta di esistenza ossimorica, sospesa tra sensi (…) tra loro in opposizione, l’uno distanziante e separativo, l’altro approssimante e congiuntivo. E le pratiche rituali (…) transitano da una fase propedeutica di intimità e contatto a un’altra di estraneità e separazione”[pag. 184].
In quanto oggetto sacro, il simulacro può essere toccato solo da persone espressamente delegate e secondo regole di genere molto rigide, e nei tempi, spazi e modi definiti. L’azione di queste persone è politica in quanto creano le condizioni di agency in cui tutto ciò che vi confluisce contribuisce all’elaborazione del paradigma della somiglianza e alla salvaguardia del regime che riguarda i fenomeni della memoria dentro cui il simulacro esiste. Le pratiche di manipolazione favoriscono, infatti, proprio questo aspetto rimemorativo con cui il simulacro è vissuto e ne preservano il riconoscimento all’interno del rituale.
Faeta ritorna sul carattere della somiglianza del simulacro esplorando i due regimi temporali distinti che lo rigurdano: “quello della lunga durata, per cui il simulacro è percepito come concreto prodotto di una vetusta e ampia tradizione figurativa e come oggetto identico a stesso da tempo immemorabile (…) e quello del breve periodo, legato a una serpeggiante ansia sociale del gruppo di riferimento, per cui il simulacro manifesta la buona disposizione e la vocazione protettiva della divinità che presentifica e incarna” [pag. 188].
Quando il simulacro subisce un processo di patrimonializzazione, diventando un bene culturale, opera d’arte, oggetto venale, le regole di conservazione e il suo uso cambiano drasticamente. Questo processo, inoltre, rappresenta un ridimensionamento oggettivo delle prerogative spaziali e temporali perché viene considerato  nel suo tempo storico, datato, “ridimensionando la vita mitica e l’indefinita allocronia che presiedevano nella sua sacralizzazione”[pag. 191]. Faeta conclude proprio con un’ultima considerazione sulla parimonializzazione dei simulacri: “il simulacro locale (…) tende ad acquisire, per vie del tutto esterne alla logica religiosa e culturale che lo concerne, elementi globali. (…) Ma non è [un fatto] del tutto nuovo, perché i simulacri sono sempre stati costruiti tramite un processo di circolazione iconica molto ampio sia sul piano territoriale che su quello sociale” [pag. 196].


1 commento:

  1. l’autore dichiara di voler illustrare aspetti importanti della relazione che unisce lo sguardo e le immagini alla memoria. In questa direzione una rilettura del saggio di Sontag, On photography, potrebbe risultare molto utile.
    Faeta esplora la relazione sopra citata attraverso un’analisi delle immagini sacre sulle quale ha ampiamente lavorato nel corso della sua carriera. Sia le questioni che si pone che le modalità attraverso le quali vi risponde sono di grande interesse pratico oltre che teorico.
    I simulacri, spiegaFaeta, svolgono un ruolo centrale nell’articolazione del campo festivo e nell’espressione dei singoli attori all’interno di esso. Il sacro si mostra attraverso l’immagine che rende visibile l’invisibile, quale cosa concreta e socialmente agita . Secondo Wunenburger citato da Faeta, è l’immaginazione simbolica che consente di mettere in rapporto ciò che è di questo mondo con l’epifania di un altro mondo e, in definitiva, di dare corpo a un credo e a una fede religiosa.
    La costruzione di una macchina visiva(Barocca)che fungesse da strumento di propaganda religiosa alla quale era associata la tendenza a vedere le cose italiane attraverso la lente dell’esperienze delle Indie.
    Uso delle immagini e manipolazione dell’immaginario – come riporta Gruzinski per l’America Latina – unite alla disciplina corporale servivano a far ricordare e confluivano nella dimensione festiva .
    Riprendendo l’interpretazione di Perniola sulla storia delle immagini in Occidente segnata dal processo di razionalizzazione dei legami con il referente reale, Faeta mostra come le immagini fossero per i fedeli, rappresentantidi una reale persistenza del referente.
    Sarebbe dunque il barocco – per la sua funzione acculturativa - a promuovere , secondo Perniola, un uso politico accentuato e generalizzato dell’immagine e a fondare la sua moderna autonomia esente dagli obblighi di referenza presenti nell’iconoclastia e iconofilia. “Forma che si trova poi attuata nei mass media – a cui si deve la razionalizzazione contemporanea – secondo la quale l’immagine esiste di per sé nella sua realtà performativa di doppio” [pag.177]
    Il modello archetipico su cui si plasma la devozione dei devoti – in epoca contemporanea – è quello della visione /relazione visiva al simulacroche poggia su una particolare concezione delle immagini che hanno avuto per secoli chiesa e popolo (pur con le debite differenze) e che nei momenti rituali festivi torna a farsi memoria e operato.
    Questa tendenza di una ricezione metafisica e trascendentenon elimina né rende meno importante la modulazione di sguardo che varia tra i diversi contesti sociali, gruppi, individui. Il “cosa si vede” quando si guarda un simulacro divino è oggetto di un lavoro di definizione, negoziazione, scambio e mediazione tra individui e collettività.
    Sarebbe proprio – secondo Faeta -“il carattere fluido e relativamente indefinito della visione, il suo sostanziare regimi scopici differenziati, il suo ineguale embodiment, il suo difforme radicamento dentro gli statuti emozionali e il vissuto esperienziale dei gruppi sociali e dei singoli riguardanti, a fondare il potere differenziato e e articolato delle immagini sacre.”
    E più avanti aggiunge che tale carattere della visione può fondare un’antropologia dello sguardo che indaghi la modulazione sociale delle categorie culturali anche qualora queste appaiano immobili e monolitiche.
    In questa direzione penso che una riflessione su alcune categorie analitiche di Gramsci esulle sue note diffuse nei quaderni sul senso comune – la sua formazione, stratificazione, modificazione, etc. possano offrire un buon approfondimento.

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