25 febbraio 2013

Multiculturalismo e seconde generazioni nell'Hinterland milanese. Cap 3


Definito il tema e l’obiettivo generale dell’indagine, abbiamo cercato di circoscriverli e di conseguenza individuare possibili interlocutori interessanti o che possano accompagnarci e mediare in diversi contesti.
I luoghi più significativi che si sono considerati sono alcuni centri d’aggregazione multiculturale inseriti in quartieri o località considerati “ghetti” e le scuole superiori in cui studiano numerose seconde generazioni.

Si entra in contatto dapprima con due volontari e un prete che operano nel Centro Culturale di Seggiano in cui diverse attività vengono svolte e mantenute da o per stranieri e seconde generazioni. Queste tre persone sono state contattate chiedendo inizialmente informazioni  sulle attività, la frequentazione  e la storia del Centro, in un secondo momento viene proposta in “punta di piedi” l’indagine visiva. L’idea piace ma sorprende tanta attenzione verso la propria realtà, viene vissuto come un modo per aprirsi e raccontarsi ma c’è il timore d’invadenza in un luogo che cerca di creare occasioni e nicchie lontane dalle cronache e gli stereotipi attorno al quartiere “ghetto” che lo circonda.

La scuola che viene individuata è invece l’Itsos di Cernusco S/N entrando in contatto con una professoressa d’italiano. In questo caso è lei a contattarci, venendo a sapere dell’ipotesi d’indagine per vie traverse. Ci cerca entusiasta raccontando tutti gli aspetti (a suo avviso) più interessanti e paradossali riscontrabili in una classe in cui la presenza straniera è ben oltre il 50% degli studenti: le interazioni, le difficoltà, le sorprese e le caratteristiche (culturali e non) dei singoli così come delle comunità rappresentate.  Sembrerebbe che fosse per lei si dovrebbe mettere una camera fissa nella classe per girare ore e ore di nastri, in realtà è molto pratica e cauta sull’opportunità e la possibilità di entrare con una camera in una scuola.  Anche dal suo punto di vista professionale, infatti anche se vorrebbe conoscere meglio e valorizzare la vita dei suoi studenti, teme che se fraintesa si brucerebbe il rapporto insegnante-studenti, compromettendolo.
In entrambi i casi sarà necessario entrare in campo progressivamente, relazionandosi extra-riprese con i soggetti e le realtà più rilevanti. Incrementando le informazioni in nostro possesso con quelle di volontari e professoressa, guadagnando la loro fiducia ed empatia, di modo che possano appoggiarci nella mediazione per indagare la quotidianità di queste persone.

14 febbraio 2013

Video sul bilinguismo

Buongiorno Sara, ciao a tutti.
Dopo qualche tribolazione, sono finalmente riuscita a caricare il video, completato con la parte mancante e predisposto per streaming. Di seguito il link per permettervi di visionarlo.
http://youtu.be/JB4WEKx3Crk

12 febbraio 2013

"Cinema: a Visual Antrhopology", Gordon gray


CONCLUSIONI

Indubbiamente uno dei grandi meriti del cinema è quello che riesce a farci facilmente riflettere attorno a ciò che vediamo nel grande schermo che spesso e volentieri si riflette appunto sulle nostre vite. Attraverso la manipolazione della nostra emotività riesce a guidarci nell’intricata realtà che ci circonda.
L'obiettivo di questo testo è stato quello di mostrare attraverso vari esempi attinti dalla storia e dall’antropologia come al di sotto del film vero e proprio ci sia tutto un impianto che muove dalla cultura alla società alla storia. Un film non è solamente uno strumento adatto allo svago, ma è una lente di ingrandimento di un particolare momento collocato nel tempo e nello spazio. Gli spettatori a seconda di quello che vogliono ricercare e a seconda delle loro identità e dei loro vissuti, rimangono attratti o non apprezzano ciò che vanno a vedere. Ecco perché interpretazioni quali quelle della psicoanalisi che tentano di capire 
cosa fa il pubblico fuori dal cinema e il perché si sia divertito o meno si basa su conoscenze empiriche non adatte al pubblico di oggi.
Le discipline teoriche occidentali elaborarono tesi sul pubblico di valenza globale senza considerare il terzo mondo né da un punto di vista di pubblico né dal punto di vista cinematografico. Merito anche dell'antropologia se queste tesi stanno perdendo la loro presunta validità a livello mondiale. 
Mediante gli strumenti dell’antropologia come l'osservazione partecipante e quella dei comportamenti quotidiani applicati a questo medium fortissimo, è possibile ricavare il significato culturale dei film.
Ma non è soltanto l'antropologia che ha qualcosa da offrire agli studi del cinema: gli studi sul cinema sono utili a capire le idee ed i pregiudizi, la comunicazione per simboli e metafore, le forze politiche ed economiche occidentali, i cambiamenti di interesse di un popolo...
L'antropologo per studiare un fenomeno culturale deve collaborare coi media prendendo in considerazione le tesi teoriche a riguardo e cercando di inserirle nel discorso antropologico. Da questo procedimento ci si rende conto che molte discipline sono l'estensione di quella antropologica. Inversamente è utile anche il contrario, servirsi cioè di procedimenti antropologici per comprendere come il film lavori sulla società.

"Cinema: a Visual Antrhopology", Gordon Gray


Capitolo 4

In questo capitolo viene affrontato il problema dell’audience: come cioè il pubblico recepisce ciò che guarda e ascolta e come il medium cinematografico si ponga in modo dialogico con il pubblico. Ancora una volta è importante l’analisi del contesto per capire che tipo di interazione c’è tra cinema e spettatori. Prendiamo ad esempio il caso della Thailandia che intorno agli anni ‘80 non aveva spazi legittimati per la discussione cinematografica. Sebbene ci fosse la libertà di parola, la critica doveva stare estremamente attenta a ciò che riportava di un film poiché un’opera poteva essere giudicata sovversiva anche se si spostava dalle rappresentazioni teatrali tipiche.
Il cinema è stato pensato in Occidente come un meccanismo che potesse fomentare la disparità sociale tipica del capitalismo: da un lato l'intrattenimento rilassante e la visione di fantasie faceva dimenticare la realtà poco piacevole alla classe operaia, dall'altro questa visione li spronava a lavorare di più per potersi permettere la bella vita rappresentata dai film.
Gli studi politici che si limitano ad associare un particolare film o genere cinematografico con specifiche qualità del pubblico (età, sesso, status sociale) non forniscono una risposta al come mai la gente scelga proprio il cinema come mezzo di intrattenimento e divertimento.
La psicanalisi associava la pratica dell'osservazione di strane figure bidimensionali in una stanza buia al cinema e cercava di capire come tale processo di osservazione potesse essere trovato interessante; per gli psicanalisti la soluzione era che il film influenzava il nostro subconscio, e lo faceva in maniera non solo positiva ma anche negativa. 
Secondo Barker l'errore della psicanalisi è stato quello di considerare l'audience in termini idealizzati e teoretici che raramente corrispondono alla realtà. Per giustificare questa discrepanza, la psicanalisi attribuisce al film il successo nel promuovere una falsa consapevolezza nel pubblico.
Le prime teorie che si interessavano all’audience adottarono il modello dei “due gradini” in cui i consumatori con maggiori competenze trasmettevano il messaggio a quelli meno dentro l'ambiente. I metodi usati per questo genere di studi erano quantitativi e si avvalevano dell’uso di questionari e statistiche.
Altro fenomeno fortemente legato e influenzato dal cinema è quello delle telenovela: nasce in Sud America dal melodramma ed è importante per la capacità di alienare il suo pubblico, specialmente nord americano, dal suo contesto culturale. Il successo delle telenovelas ha portato ad una sub produzione di fiction regionali in cui comparivano elementi specifici della cultura che li metteva in scena (per esempio in quelle messicane c'è una profonda divisione tra bene e male, in quelle brasiliane vengono sponsorizzati molti più valori reali).
Come nel modello di codificazione-decodificazione di Stuart Hall, gli studi culturali combinano idee dalle varie correnti teoriche. Infatti negli anni ‘60 la Birmingham University vide nascere il CCCS (Centro di Studi Culturali Contemporanei), che inizialmente seguì una matrice ispirata dalla scuola di Francoforte, poi si occupò delle relazioni tra cultura e potere ideando nuove teorie. Nel periodo di Stuart Hall i media venivano analizzati come forma di testo intermediario del rapporto tra consumatore e pubblico. Il leggere (o l’osservare) il testo è un metodo attivo di interazione con esso, che fornisce al pubblico gli strumenti per criticarlo e rendersi consapevole del contesto. Così come in ambito politico i gruppi hanno la possibilità di accettare o contrastare un ideologia predominante, il pubblico può accettare o rifiutare il messaggio contenuto nel testo cinematografico. 
Per lungo tempo gli antropologi hanno focalizzato il loro interesse solo sul cinema, trascurando una dimensione locale, più piccola ma dall’impatto fortissimo sulla popolazione: la telenovela e la soap opera. Come emerge dagli studi, le soap opera egiziane così come quelle sud americane hanno una grande identità culturale e sono estremamente ricche di valori. Importante da riportare è il lavoro di Abu-Lughod (2002) in riferimento ad una soap opera egiziana: Amira. Nella protagonista della fiction (Amira per l’appunto) sono incarnati un insieme di valori che permeano la sua vita e di riflesso quelle degli spettatori che la seguono numerosi: la religione, il rapporto con la società e via dicendo. Il legame tra religione e moderno indica una necessità di identità nelle persone della classe media come Amira. L'analisi dei valori di Amira è stato un successo per l'antropologia perché si è potuto dimostrare che le cause dell'apprezzamento del pubblico sono strettamente legate ai valori culturali vicini al popolo. 
Per gli emigrati, vedere un film è sempre mediato da dei filtri: spesso sono dissidenti religiosi o comunque si sono instaurati in un luogo da più generazioni e il messaggio che passa per loro è diverso che per gli altri.
Gli Hmong (gruppo etnico originario cinese emigrato in USA, Francia, Canada e Australia per la guerra in Vietnam) hanno prodotto molto materiale cinematografico (e non solo) esclusivamente per la propria cultura in maniera no profit; il loro scopo è stato quello di  rappresentare la loro cultura e la loro terra per avvicinare il destinatario Hmong ad un immaginario di ricongiungimento con le proprie origini. Questi film sono stati usati anche per comunicare a distanza con gli Hmong rimasti a casa.
Il difetto degli studi sull'audience è stato principalmente il focalizzarsi sul livello quantitativo  dell’analisi e sui modi di azione sul cinema senza chiedersi effettivamente come sia composto il pubblico e perché vada al cinema. Dall’altra parte tali teorie sono state utili perché hanno permesso meglio di capire che a seconda di come si guardi un film, trasmette un determinato messaggio (uno psicanalista ad esempio vedrà il film come manifestazione di subconscio a differenza di un emigrato magari dissidente che leggerà nel film un richiamo alla sua patria e alle condizioni socio economiche dalle quali è scappato). 
In tutto questo, ancora una volta è bene ribadire che il ruolo dell’antropologia è stato tutt’altro che marginale per capire fino a che punto il cinema non è semplicemente una rappresentazione di una società ma una parte della rete di relazioni sociali che va capito in correlazione alla società d'appartenenza.

"Cinema: a Visual Anthropology", Gordon Gray


Capitolo 3

In questo capitolo viene analizzata una sorta di storia della consapevolezza che lega indissolubilmente cinema e società, vedendo in linea generale come l’antropologia abbia influenzato il cinema e viceversa per la scoperta dei meccanismi culturali presenti nei film e che ne guidano la produzione e la distribuzione.
Chow (1995) parla di antropologia del cinema in riferimento allo studio del contesto socio-culturale in cui il film è prodotto. Il suo lavoro fu importante perché mise in luce ciò che molte teorie sul cinema non avevano considerato importante e cioè il contesto di produzione del film.
McLuhan osservando come l'orientamento dell'uomo fosse passato dal visivo (la stampa) al sonoro giunse all’elaborazione della teoria del modello tecnologico secondo cui il mezzo di comunicazione ha più impatto sul pubblico del messaggio. Questa idea può essere criticata in quanto il messaggio dell'opera può essere capito se analizzato assieme al mezzo ed il contesto.
I vari approcci al cinema nazionale sono sotto alcuni aspetti morbidi per altri duri: quelli morbidi sono la lingua, i finanziamenti, le rappresentazioni etniche nel film, quelli duri sono le teorie che formano la tradizione cinematografica locale, in contrasto a quella hollywoodiana. Il Neo Realismo italiano e la New Nave francese sono oggi sotto questi termini oggetto di discussione, con riferimenti agli esempi del terzo mondo in particolare per l’influenza che esercitarono sul cinema africano e latino americano.
Gli aspetti di produzione, distribuzione e presentazione sono stati un pò trascurati dalle varie teorie. Così come per molto tempo è stato trascurato il fatto che fosse il governo a controllare l’industria cinematografica in modo da monitorare il prodotto: uno dei modi più noti è quello della censura, che pone tasse per l'esportazione in modo da favorire la produzione locale. Il Regno Unito fu la prima potenza ad applicare questo modello sia in territorio nazionale che nelle colonie dove venivano censurati o vietati i film americani. Questo era un modo per rafforzare il sentimento di appartenenza alla Madre Patria nei popoli colonizzati che in questo modo non avevano nessun termine di paragone con altre forme di cinema. A partire dagli anni ‘20 il Regno Unito si concentrò su una produzione dei “quota quickies”, film di basso dispendio economico che rientravano in linea con le restrizioni governative, al fine di competere con Hollywood ottenendo addirittura in certi casi un successo strepitoso. Questa politica però non considerò le influenze internazionali del cinema portate in patria dagli emigrati ed esiliati. Il caso più importante fu Deepa Mehta che col suo “Fire” dell’anno 1996, ha contribuito a creare un cinema indiano, anche se in un primo momento il suo film venne bandito severamente in India per via dei contenuti omosessuali. La censura di questo film è stata causa di varie proteste.
Ancora un altro approccio che unisce cinema e società è stato quello de “Il terzo cinema" , una corrente cinematografica nata in Argentina nel 1969 da un’idea di Fernando Solanas e Octavio Getino. La riflessione degli autori partiva dal fatto che in quegli anni il cinema era visto esclusivamente come un bene di consumo che dipingeva le conseguenze di particolari processi sociali in maniera anti-storica ed ignorandone le cause. Il vero obiettivo del “terzo cinema” era quello di dare un messaggio rivoluzionario che rispecchiasse ciò che stava accadendo nei paesi del terzo mondo e in parte anche in Europa.
Solanas e Getino organizzano i loro film partendo da una forma di documentario che però non voleva limitarsi a descrivere i fatti, ma auspicava a diventare portavoce del cambiamento. I film del “terzo cinema” avevano, diversamente da quelli europei, un carattere collettivo piuttosto che un auto affermazione artistica. Questo anche perché i film venivano distribuiti in maniera clandestina perciò il pubblico era davvero un protagonista attivo della propaganda ideologica contenuta nel film.
Esistono tante varianti di film legati dalla situazione storico economica della nazione e che cercano di riaffermare l’unità di un popolo sotto la propria bandiera. Caso paradigmatico è quello del film “Atanarjuat” (2001), realizzato interamente in lingua inhuit. Fu premiato a Cannes per il suo importante contributo per l’affermazione davanti al mondo della cultura inhuit. Il film fu anche oggetto di ispirazione per registi australiani che nel 2001 girarono  “Ten Canoes” interamente in lingua aborigena.
A causa dell’interesse tardivo dimostrato dagli antropologi in temi quali lo svago e il tempo libero, il cinema è stato fatto da poco oggetto di indagine antropologica. Questo filone di studi attorno al cinema si interessa ai collegamenti tra un determinato film (o una corrente cinematografica) ed il suo contesto storico, volendo evidenziare che cosa sia culturalmente incorporato nel film e come i processi socio-culturali giochino un importante ruolo sul contesto di produzione.
Powdermaker fu una delle prime ad associare l'antropologia al cinema, in particolare si occupò di problematiche moderne quali il disinteresse dei media sulla capacità di controllo e sulla manipolazione della società, specialmente quella attorno ad Hollywood (2002). Nello specifico il suo discorso partiva da due punti: il fenomeno di Hollywood non è isolato ma è parte di un contesto più ampio; Hollywood è sia un industria che una forma d'arte. In quanto pioniera di questi studi, ebbe il merito di portare l’attenzione verso un media che canalizzava le aspettative della società fermandosi a capire come a sua volta potesse influenzare il prossimo.
Importante per la materia furono le riflessioni di Babb che a partire dal 1981, sviluppò i suoi discorsi attorno al rapporto tra fedele e divinità nell’Induismo: il fedele desidera sia vedere il dio che essere a sua volta visto dal dio, la capacità di vedere dio è indice di virtù. Il suo lavoro venne applicato al cinema facendo emergere due aspetti: il suggerimento colto dagli antropologi fu quello di analizzare i film collocandoli entro il loro contesto culturale e contemporaneamente venne notato che il contesto culturale era implicitamente contenuto all’interno del film. Babb non entrò nel dettaglio della narrativa del film, ne discusse soltanto il contenuto e le tecniche narrative come i climax, (l'uso dell'inquadratura che riflette la posizione soggettiva del pubblico) e i primi piani che erano un ulteriore specchio per individuare le pratiche culturali di un popolo. 
Ciò che l’antropologia ha contribuito a svelare nell’analisi cinematografica è che un film qualsiasi non può veramente essere slegato dal suo contesto. A tal proposito l’antropologia del cinema invita gli spettatori a chiedersi sempre che tipo di film hanno davanti e quindi da quale tipo di situazione storico-sociale venga fuori. A tal proposito molti critici si chiedono se abbia senso analizzare i film provenienti dal mercato non occidentale con le stesse categorie usate per le industrie euro-americane. Per fare un esempio è ovvio che la prospettiva di scambio dio-fedele del film “Jai Santoshi Maa” (1975) non può venire compresa appieno all’interno del contesto occidentale.
Altro errore che spesso i critici occidentali commettono è quello di sostenere di riuscire a capire appieno le dinamiche politiche e  rivoluzionarie che emergono dalle industrie del così detto terzo mondo. A loro si rivolge Chow quando invita verso lo studio dell’antropologia che perlomeno aiuta a comprendere le basi di un dato movimento una volta collocato nel suo contesto culturale appropriato.

"Cinema: a Visual Anhtropology", Gordon Gray


Capitolo 2

In questo capitolo l’autore passa in rassegna alcune delle correnti culturali che si sono avvicendate nel corso degli anni in Occidente e cerca di mostrare quali siano i vari approcci di queste al cinema.
La visione del cinema come forma d'arte si è sviluppata dopo l'avvento del sonoro mentre a partire dagli anni ’70 viene analizzato in quanto apparato ideologico cercando di indagare il suo funzionamento non legato alla tecnica ma anche al messaggio artistico.
Dalle avanguardie francesi nacquero le prime teorie di formalismo cinematografico. In particolare Louis Delluc negli anni ’20 cercò di evidenziare gli aspetti di rappresentazione del cinema nel contesto dell'industria commerciale.
Sebbene in Germania non ci sia stato un portavoce come Delluc, i registi ed i teorici tedeschi elaborarono l’ideologia dell'espressionismo, la rappresentazione della "realtà" come insieme di stati mentali ed emozioni. La telecamera venne coinvolta nelle dinamiche della scena, diventando talvolta protagonista (ad esempio in Psycho nella scena in cui viene pugnalata la donna). 
A Francoforte, Kracauer tra il 1920 e il 1930 assieme ai colleghi della testata giornalistica Frankfurter Zeitung criticava le forme di capitalismo contenute sia nel cinema che nella altre forme d'arte, tra cui anche l'urbanistica, cercando di vedere quali ideologie politiche ed economiche fossero dietro la creazione delle opere. La scuola di Francoforte vedeva nel cinema un potenziale strumento di propaganda politica sia costruttiva, come testimonia l’esempio russo, che negativa, durante il controllo sociale nazista.
Anche i registi sovietici, tra cui Vertov, vedevano il cinema come strumento di propaganda politica. Film come "L’uomo con la videocamera" (1929) raccontavano una parte della rivoluzione. In particolare questo film fu importante anche per l'uso di tecniche di editing (correzione ed unione) dissoluzioni, split screen (due inquadrature sovrapposte). Queste tecniche, definite da Parkinson come manifestazione di “cine-poetica”, furono le prime a dare l'idea del montaggio dove era possibile fondere contesti, spazi e tempi lontani e saranno rese celebri in film di molto successivi quali “Million Dollar Baby”.
Dopo la seconda guerra mondiale il cinema in Europa venne visto sia come uno strumento d'arte che come propaganda. Il contesto in cui veniva scritto il film diventava perciò cruciale per la comprensione dei contenuti.
Il Neo Realismo italiano rappresentava la distruzione economica e morale avvenuta dopo la seconda guerra mondiale, i film dipingevano situazioni popolari, spesso ingaggiando attori non professionisti, l’opposto della fantascienza e degli attori di serie “A” hollywoodiani. Il linguaggio dei film italiani era colloquiale e non letterario: il film “Ladri di biciclette” (1948) era interamente amatoriale.
Per Bazin, esponente del Realismo francese negli anni ’50, il cinema era legato alla realtà in cui veniva ideato e lo si apprezzava nel cogliere tali collegamenti. In maniera opposta ai russi Bazin prediligeva scene lunghe, inoltre vedeva la propaganda sovietica come qualcosa di ideologico, non reale. Fu inoltre uno dei primi a riconoscere l'influenza del cinema sulla cultura popolare. 
Il marxismo influenzò anche le teorie cinematografiche e in particolare Althusser, secondo Lapsey e Westlake, fu una figura di spicco perché evidenziò e criticò gli aspetti della società moderna capitalista in cui erano ancora presenti concetti quali la sovrastruttura (insieme di leggi politiche, religiose, di parentela), il valore dei lavoratori che dipende esclusivamente dalla resa, il controllo dalla classe predominante su quella operaia, la rivoluzione socialista e comunista come unica maniera per ribaltare i ruoli sociali. 
Althusser sviluppò l'idea dell'identificazione: l'identità di una persona si forgiava all'interno della società ma l'individuo è complice di tale processo, è responsabile di affermare, riaffermare, o cambiare la sua ideologia. Il marxismo tuttavia non ha vita eterna perché si allontana dai modelli teoretici secondo cui il cinema si giustifica da se senza bisogno di interpellare i processi in atto al suo interno. Il marxismo cinematografico viene visto come una spingere verso ideologie ipoteticamente dedotte piuttosto che determinate empiricamente. Da ciò deriva il fatto che il contesto del film viene acquisito piuttosto che ricercato.
La rivista “Cahier du Cinema” fondata da Bazin e soci, era contraria al marxismo tanto da dichiarare nel ‘79 che un prodotto artistico non può essere legato ad un contesto socio-storico in maniera diretta, è in realtà parte di un testo storicamente e socio-politicamente più ampio. Per esempio “Young mr Lincoln” di Lanuck uscito nel 1939 può essere visto sia nell'interno del contesto economico del cinema hollywoodiano che come la sintesi di un particolare evento storico: emerge infatti chiaramente la necessità di riprendersi dal momento di depressione di Hollywood che si trova sotto il controllo dei grandi affari delle banche e si vede inoltre come la 20th Centuy Fox avesse sponsorizzato il partito repubblicano personificandolo nella figura di Lincoln, il simbolo di legge e verità. 
L’altra corrente che sviluppò un discorso attorno al cinema fu lo strutturalismo che si manifestò nella figura di Saussure che vedeva una sorta di dualismo contrapposto tra bene e male, triste e allegro. Effettivamente tali criteri vennero criticati poiché non erano necessariamente uguali per tutti e venne fatto notare che tale corrente spingeva verso una coerenza spesso astratta.
Propp prese spunto delle fiabe russe per rielaborarle in una struttura che si ripete, c'è sempre infatti la figura dell'aiutante magico e di quello che manda l'eroe fuori pista. Propp non venne riconosciuto come strutturalista tra gli strutturalisti perché non cercava di inserire un significato nascosto. 
La semiotica ha interesse verso il linguaggio di segni e simboli. L’analisi semiotica si basa sulla scienza piuttosto che su impressioni filosofiche e su sentimenti personali.
Secondo la visione cinematografica di Metz ogni inquadratura ed ogni elemento tecnico di un film doveva avere un senso, in caso contrario sarebbe stata la prova di un film fatto male. Per comprendere questi linguaggi Metz li categorizzava in contesto del film (relazioni del film con gli intenti di produzione o, se tratto da un libro, dalla sua storia) e contesto cinematografico. La semiotica di Metz era interessata praticamente solo su questo secondo punto, la scienza del cinema. Le sue teorie partivano dal concetto di pellicola come insieme di inquadrature: ognuna è importante quanto una parola in un discorso. Lo scarso successo di questa metafora lo spinse a concentrarsi nel fornire maggiori elementi di significazione. 
Anche Freud e Lacan furono presi in forte considerazione nell'analisi cinematografica. In particolare Hollywood era vista come la fabbrica dei sogni che raffigurava nell’inconscio dei desideri in maniera celata: per fare un esempio si può prendere la metafora del treno che entra in una galleria come inconscio simbolo del desiderio sessuale.
Fu rielaborata la teoria di separazione dalla madre di Lacan: il bambino che si separa dalla genitrice afferma la propria maturità e completezza però d'altra parte deve riuscire a compensare la mancanza della figura materna. L'auto consapevolezza viene tradotta in termini cinematografici come la fase specchio che garantisce al soggetto una nuova visione ma di per se non basta, ha bisogno del linguaggio come mezzo di socializzazione e di completamento. Secondo i teorici psicoanalisti il film opera quindi sul livello dell'individualità.
I lavori di Mulvey attorno al 1975 mostrano l'importanza di tali teorie rielaborandole nel concetto di piacere nell’uomo: identificazione, voglie sessuali e feticismo. Il piacere deriva dall'auto riconoscimento nel protagonista che esercita il suo potere di controllo su esseri più deboli come le donne.
Sembra che le teorie psicoanalitiche elaborate per il cinema siano difficilmente riconducibili alla realtà, questa è il rischio che si corre quando viene assunto il linguaggio di un'altra disciplina dimenticandosi di aver fatto uso solo di metafore. 
Le teorie letterarie degli anni ‘80 trasposte nel cinema erano incentrate principalmente sulla soggettività e sulla critica della narrativa. Confrontando le correnti letterarie pre moderne con quelle moderne, i teorici si sono soffermati alla visione della novella perché la letteratura rispecchiava quel periodo di transizione, di formazione del concetto di nazione ed identificazione, del domandarsi chi sia a dettare la storia. 
Il difetto comune alle grandi teorie quali il marxismo, la semiotica e la psicanalisi è stato quello di cercare una verità universale in maniera astratta applicando delle categorie teoriche troppo difficili da riscontrare poi anche nella pratica. 

"Cinema: A visual anthropology", Gordon Gray

Capitolo 1

Nel primo capitolo, l’autore fa un excursus sul mondo del cinema e la sua storia ponendo l’accento su come questo fenomeno da semplice sperimentazione sia riuscito a diventare uno dei più importanti medium di massa diffuso in tutto il pianeta. Sebbene il testo esaminerà in particolare il cinema in Europa e negli Stati Uniti, è bene mostrare come quest’industria si sia evoluta anche nel resto del mondo. 
E’ molto difficile dire per opera di chi sia nato il film; come per molti altri fenomeni, questo si è sviluppato a partire da innovazioni che si sono succedute nel corso della storia. In questo caso, gli studi sull’immagine e sul movimento di Muybridge (varie macchine fotografiche in serie che riprendono l'immagine di un cavallo in corsa), Marey (che sviluppò la macchina fotografica mitragliatrice in grado di fare didici foto al secondo), i lavori sulla percezione della tridimensionalità e della profondità mediati dalle magic lanterns (lampade che illuminate riflettono varie figure sul muro), furono le basi per i fratelli Lumière che nel 1845 presentarono il loro "The Arrival of a Train at La Ciotat Station”.
Da questo primo successo, altri autori apportarono nel corso degli anni ulteriori contributi al nascente cinema. Si può per esempio ricordare Porter che nel 1903 riuscì a dare un senso di simultaneità effettuando dei tagli alla pellicola. Tramite questo metodo che consentiva l’unione di varie scene si poterono inserire nel film dei significati più complessi.
Griffith ed il suo cameraman Bitzer inserirono nel film "Birth of Nation" (1915) nuove tecniche cinematografiche come il pan (in cui la telecamera si muove in orizzontale), il tilt(in cui si muove in verticale) ed il tracking shot (il ripetersi di scene). Più o meno nello stesso periodo, in Italia venne allungata la performance da 1 bobina (17 minuti circa) a 10 (2 ore). Per via della guerra, la Germania iniziò tardi la pubblicazione dei film e molti filmmakers tedeschi emigrati negli USA contribuirono alla creazione di Hollywood.
In Giappone il cinema di produzione locale era molto influenzato dal teatro: era difatti presente la figura del benshi (narratore), i costumi ed il make up, non vi era nessun contatto fisico nelle scene, le pose erano stilizzate. Il narratore era molto importante sopratutto nei primi esempi di cinema giapponese: svolgeva una funzione di fusione con l'audience, dando una sua  interpretazione e riportando i discorsi degli attori.
Solo dopo il terremoto del'23 il cinema giapponese, costretto ad interrompere le sue attività, si allontanò dagli elementi del teatro tradizionale.
La svolta del cinema dagli anni '20 è considerata l’epoca d’oro in quanto segnò il passaggio da un interesse scientifico per le tecniche cinematografiche ad un mezzo di intrattenimento. Nella prima fase dell’epoca d’oro veniva trascurato un elemento ritenuto inizialmente di poco conto che in seguito sarebbe stata la causa di rivoluzione cinematografica: il sonoro. Inizialmente venivano composte delle musiche della durata esatta della pellicola eseguite da delle orchestre ingaggiate in occasione della proiezione del film. In America venivano chiamati pianisti/organisti e venivano usate delle macchine speciali per produrre gli effetti sonori. La possibilità di riprodurre il sonoro rese lo show un prodotto finito, indipendente dalla variabilità della performance musicale.
Il problema iniziale del suono era che il microfono registrava tutto, anche il rumore delle telecamere e delle luci perciò l’unica soluzione sembrava essere quella di togliere alla telecamera la sua indipendenza di movimento. Alla fine tra le soluzioni adottate ci fu il sistemare l'audio dopo la registrazione delle scene o  il microfono con sordina che liberò la telecamera dal muoversi in piattaforme mobili.
Grazie al sonoro si potè sviluppare il genere musical usato ancora oggi in India che da subito diede degli ottimi frutti. Oltre le innovazioni tecniche, anche la struttura organizzativa fece dei passi avanti: le figure di regista, di produttore, scrittore, attore e macchinista divennero strettamente legate tra loro.
Le innovazioni tecniche e la cura per il dettaglio sponsorizzate da Hollywood fecero affluire numerosissimi spettatori al cinema, tanto che quest’industria grazie agli incassi, aiutò fortemente gli USA ad uscire dalla crisi del ’29.
In risposta all'epoca d'oro di Hollywood si crearono in Europa delle nuove correnti che contestavano la superficialità e la mancanza di contenuti del cinema americano, tra queste le più importanti furono il Neo Realismo in Italia ed il Cinema Veritè in Francia. 
Importanti furono anche i prodotti cinematografici in Regno Unito: il genere più diffuso era quello dei kitchen sink, incentrato sulla rappresentazione di una specifica parte della società, per lo più uomini della classe lavoratrice carichi di connotati negativi ma per cui era facile simpatizzare. Questi generi alternativi europei nati per contestare Hollywood finiranno per influenzare pesantemente i registi americani anche perché i costi di realizzazione erano molto bassi.
In America intorno agli anni ’40 per via dei cambiamenti demografici ed in particolare dell'espansione dei centri urbani, il cinema perse una grossa parte del suo pubblico.
Per salvaguardare il mercato americano nel 1948 venne fatta una legge contro i block booking (costringere i teatri indipendenti ad accettare blocchi di film e proiettarli per la prima mondiale).
Negli anni ‘60 Hollywood era fortemente indebolita, molti registi cercavano nuove strade come i blaxploitation (film sul tema della, droga, della violenza, della prostituzione) e gli spaghetti western (film sull’ottocento americano con un cast italiano poco costoso) che vedevano come protagonisti dei personaggi negativi, dei veri e propri anti eroi.
Negli anni ‘70 flimmakers come Scorsese, Spielberg e Coppola grazie ai loro lavori contribuirono a risollevare il nome di Hollywood creando una vera e propria cine-letteratura. Tuttavia, per la loro voglia di sperimentare, a volte questi autori fuoriuscivano dal budget contribuendo al crack dell'industria cinematografica locale. 
Per riprendersi dalla crisi, le maggiori corporazioni vollero investire sui potenziali delle blockbuster e decisero di comprare interi studi. Assieme a questa strategia, venne investito molto sul film d’azione e sulla produzione di “serie B” che però poteva vantare al suo interno almeno un attore importante che potesse attirare pubblico e far lievitare così gli incassi. In questo periodo la casa cinematografica Warner introdusse il tema delle arti marziali, che grazie a Bruce Lee segnò una nuova era del cinema.
Il mercato si riprese nel 1975 e Hollywood divenne l’industria cinematografica che oggi conosciamo.
Con la ripresa dalla crisi grazie a questa serie di strategie imprenditoriali ci fu la possibilità di ottenere alti budget da impiegare, così si girarono film del calibro del Signore degli Anelli. Oggi il mercato globale è in espansione e ci sono tanti avversari di Hollywood. Inoltre, grazie ad internet è possibile accedere rapidamente alla pubblicità dei film, ai trailer , alle preview, alle interviste ed al filmaking rendendo la concorrenza molto aspra. 

Multiculturalismo e seconde generazioni nell'hinterland milanese. Cap. 2


Il tema (“difficoltà integrative di prime e seconde generazioni di migranti in relazione alle strutture e operatori sociali formali e non, impegnati sulla mediazione culturale e l'integrazione”) che cercheremo di focalizzare in questa micro-etnografia si muove all’interno ad un contesto territoriale ricco, quello della provincia di Milano, in cui rilevazioni statistiche e studi sono in atto da più di un decennio.
Lo sguardo verrà rivolto a contesti attualmente o potenzialmente multiculturali, intesi come spazi (fisici e virtuali) in cui singoli o comunità assegnano una valutazione positiva alla differenza, alla legittimità, all’importanza e alla significatività dell’appartenenza a un gruppo particolare, caratterizzato da specifici riferimenti culturali e valoriali.
Si parlerà di prime generazioni riferendosi a migranti stranieri giunti e residenti nel territorio considerato, si parlerà invece di seconde generazioni in riferimento a persone nate in Italia da genitori non italiani, ai quali la cittadinanza italiana è preclusa sino al 18° anno d’età.
Le persone che si andranno a cercare e che aiuteranno ad approfondire il tema saranno prime o seconde generazioni identificabili in abitanti, studenti o lavoratori della zona di Cernusco S/N; accanto a loro persone che vivono nel quotidiano un contesto multiculturale, adoperandosi o scontrandosi con processi d’integrazione multiculturale spontanei o istituzionalizzati. Si cercherà di incontrare queste persone in realtà per loro quotidiane, scuola, luogo di lavoro, di svago, di aggregazione, entrandovi in contatto attraverso la mediazione di abitanti del luogo già incontrati e dalla cui relazione è nata l’idea di concentrarsi su questo tema.
Il territorio che si andrà ad indagare mostra un’incidenza della presenza straniera quasi raddoppiata in meno di 10 anni, nella provincia di Milano infatti dal 2002 si è passati da 170.737  su 3.705.323 abitanti a 446.690 sui 4.006.330 degli residenti del 2010. I numeri ci dicono che molto probabilmente le nazionalità che si incontreranno sul nostro cammino saranno egiziani, filippini, romeni o peruviani, le quattro più presenti in zona  con comunità costituite dai 30.000 ai 45.000 soggetti ognuna. I dati ci dicono che “solo” il 13,6% degli stranieri è disoccupato, mentre il 26.5% ha un contratto a tempo indeterminato. Impressionanti le percentuali di studenti sempre più in ascesa, attualmente attestati sul 3,7%. Basti pensare che le seconde generazioni in Lombardia influiscono sulle nascite attorno al 21%.
Proprio il livello d’istruzione (in questo caso delle prime generazioni) in relazione al quotidiano di queste persone che si vedono occupate oltre al 60% nel settore delle pulizie, dell’assistenza alla persona, dell’edilizia o dell’industria crea maggiori spunti di riflessione: infatti delle quasi 450.000 persone il 51,1%  è in possesso di un diploma e il 18,4% di una laurea. (Fonte: Elaborazioni Excursus su dati Orim Lombardia, Rapporto 2012)
Il non riconoscimento del titolo di studio o le ovvie difficoltà linguistiche iniziali sono alla base di un processo d’integrazione complesso e lacunoso, spesso concomitante a situazioni di disagio sociale.
Come anticipato, al fianco delle prime generazioni è in forte crescita la presenza delle seconde, fenomeno particolarmente visibile negli istituti scolastici, si pensi mediamente che in una classe scolastica lombarda uno studente su 7 è di seconda generazione (Fonte: Dossier Statistico Immigrazione 2012 Caritas Ambrosiana).
L’assunto da cui partiamo è che spesso tanto le prime quanto le seconde generazioni si scontrano con un’identità vissuta in situazioni di instabilità e fragilità da accudire, da sostenere con informazioni trasparenti sui cambiamenti, sul comportamento e le responsabilità verso di sé e gli altri. E, cosa fondamentale, una fragilità da sostituire progressivamente con la percezione di essere accettati come persona “alla pari”. (Carlo Naggi, Finestre sull’educazione-Responsabilità)

Vittorio

6 febbraio 2013

Capitolo 11: Anthropology and the Problem of Audience Reception

Con lo studio dei media, gli antropologi si pongono il problema di come il pubblico percepisce il loro messaggio. Il termine “audience” non fa parte del lessico dell’antropologia e solo nel 1990 l’antropologia visiva inizia seriamente a occuparsi del suo pubblico.
Gli studi antropologici non sono più una questione tra antropologi che riprendono gli indigeni come oggetti passivi. Sono consci del fatto che non hanno più il monopolio etnografico sulla produzione e l’interpretazione della rappresentazione visiva. Tutto questo li ha portati a domandarsi come le persone rapportano i media visivi alla loro vita quotidiana.
Il termine “audience” in inglese si riferisce a tutti quelli che sentono, vedono o leggono i media e le performance dal vivo. Il pubblico può essere classificato secondo diversi criteri: categorie sociali, periodi, tecnologie dei media, qualità, etc. Ci sono stati così tanti approcci per studiare i media che si è creata una certa confusione, peggiorata dal fatto che il termine “audience” ha molti sinonimi in inglese, come spectators, filmgoers, TV viewers, consumers.
Nel passato i film etnografici di Alfred Haddon, Franz Boas e Margaret Mead non erano distribuiti se non tra gli antropologi, non erano accessibili al grande pubblico. Tra gli Anni 50 e 60 si comincia a preoccupare di come e a chi i film etnografici si rivolgono. Questa tendenza coincide con l’utilizzo di questi film per insegnare antropologia e si pone la domanda su come gli studenti li percepiscono. Tra i primi produttori di film etnografici, Asch si distingue per il suo impegno a promuoverli come mezzo di insegnamento.
Mentre i primi film etnografici erano distribuiti all’interno di piccoli gruppi di studenti di antropologia, con l’utilizzo della televisione qualche anno più tardi, questi film arrivano a un pubblico molto vasto che spesso non ha alcuna conoscenza antropologica. La televisione porta i film etnografici nell’industria dello spettacolo. Una volta che questi film escono dalle aule universitarie e raggiungono milioni di persone nel mondo, lo studio dell’audience inizia a occupare un posto importante nell’antropologia.
Nei primi anni 70 nasce il termine “antropologia dei media” che si riferisce all’utilizzo dei mass-media per promuovere la conoscenza antropologica tra il grande pubblico. Vent’anni più tardi, invece, riguarda anche l’antropologia visiva. Molti antropologi negli Anni 90 pubblicano i loro contributi in merito nella rivista Visual Anthropology Review.
Il concetto di “pubblico” nell’ambito dei media antropologici non è mai stato ben definito e anche se non è stato studiato in profondità nel passato, ha sempre fatto parte dell’antropologia.

5 febbraio 2013

Capitolo 10: Productive Dissonance and Sensuous Image-Making: Visual Anthropology and Experimental Film

Questo capitolo analizza due modi di produrre video: i film sperimentali e i film con intento antropologico. Si è discusso poco del primo tipo in quanto ci sono pochi film avant-garde prodotti. Catherine Russell dimostra, nel suo libro Experimental Ethnography (1999), come alcuni video sperimentali possono essere considerati anche etnografici e come film diretti da antropologi sono sperimentali o possono essere visti attraverso una lente all’avanguardia.
Il termine “etnografico” si riferisce a tutti i video che toccano argomenti della cultura. “Avant-garde”, invece, è stato introdotto dal socialista francese Henri de Saint-Simon, nel XIX secolo, riferendosi all’arte moderna. I film all’avanguardia non hanno regole fisse per la durata, lo stile o il formato. Alcuni durano meno di un minuto altri più di 24 ore, come Magellan Cycle di Hollis Frampton (36 ore). Due sono i luoghi principali legati ai film sperimentali: la serie Art in Cinema c/o il San Francisco Museum of Art (Frank Stauffacher e Richard Foster) e il Cinema 16 a New York (Amos Vogel). Tra gli Anni 40 e 50 Art in Cinema e Cinema 16 hanno presentato diversi film sperimentali destinati ai cinema commerciali.
Nel passato ci sono stati svariati scambi tra i produttori di film etnografici e film “avant-garde”. Tanto che alcuni di loro sono considerati rappresentanti di entrami i generi. Ci sono invece quelli che si identificano con un solo gruppo come Margaret Mead per l’antropologia visiva e Maya Deren per i film sperimentali.
La Deren, insieme al marito Hammid, realizzò quello che è considerato il film all’avanguardia per eccellenza: Meshes in the Afternoon (1943). Ha dedicato molto allo studio delle danze indigene e al rito Vodun che sperimentava in prima persona. Su quest’ultimo scrisse anche il libro Divine Horseman: The Living Gods of Haiti. Maya Deren non era antropologa, anche se i suoi lavori sono considerati antropologici perché riproducono aspetti culturali come la danza e la religione.
I film etnografici e all’avanguardia hanno molte caratteristiche in comune: entrambi sono prodotti da una sola persona o da un piccolo gruppo di professionisti; sono distribuiti in un campo molto ristretto; sono presentati solo in ambienti accademici e non-commerciali, festival o conferenze; hanno un pubblico di studiosi o studenti. Tutto questo ha portato i produttori di entrambi i generi a condividere fonti, posti, dati e idee.
I film all’avanguardia sono considerati arte e sono prodotti per un pubblico che è disposto a impegnarsi per capirli. I destinatari di questi film hanno conoscenze particolari che li permettono di collegare gli argomenti trattati ad altri film, libri o studi effettuati. Spesso alla prima visione i film sperimentali sono incomprensibili e noiosi e solo dopo un’analisi approfondita possono diventare interessanti e arricchire le conoscenze scientifiche degli spettori.  
La fondamentale differenza tra i film etnografici e quelli all’avanguardia è che i primi per trasmettere informazioni antropologiche devono essere legati alla disciplina accademica dell’antropologia che a sua volta è legata e influenzata da altre discipline (filosofia, geografia, psicologia). Deve esserci un dialogo tra diversi campi academici per parlare di film antropologici, mentre quelli sperimentali si basano sulla pratica artigianale e la collaborazione tra diversi produttori.

4 febbraio 2013

ultimo incontro

Ciao a tutte,
gg e orario definitivo: ci si vede il 12 alle 10 nel lab di antropologia visiva
n.b. ricordatevi di riportare la telecamera che in Dipartimento ne hanno bisogno

a presto
sara

1 febbraio 2013

Ciao a tutti, anch'io ho già chiesto il giorno di ferie per martedì 12 quindi spero che il giorno resti quello.
Grazie
a presto
cecilia