6 giugno 2012

"Le ragioni dello sguardo" di Francesco Faeta


Capitolo 8 | I maiali di re Carnevale. Memoria sociale e intimità culturale.

Questo saggio si incentra sul legame tra produzione e consumo di alimenti e la memoria sociale in particolare sui percorsi attraverso cui le società ricordano.
In tutte le società il cibo ha avuto, e ha, un valore simbolico. Basti pensare a cosa indica nell’immaginario comune la catena di fast food McDonald , o l’attenzione posta nella diposizione dei  prodotti all’interno degli scaffali dei supermercati, per capire come l’aspetto simbolico del cibo riguardi la contemporaneità. In questa dimensione simbolica il cibo è anche strumento di costruzione della memoria, un tempo come ai giorni nostri, tutte le feste erano accompagnate da alimenti tipici e la loro comparsa nei negozi e nei mercati ricordava la ricorrenza, come per esempio la festa dei morti nel Mezzogiorno, in cui oltre a cibi tipici vi era un vero e proprio rituale di distribuzione di esso a determinate categorie di persone.
Faeta prende in esame un’altra ricorrenza per spiegare il legame tra cibo e memoria sociale: il Carnevale a Nocera Terinese, in provincia di Catanzaro. Centrale in questa occasione era la figura del maiale: tutto questo periodo era caratterizzato da eccessi alimentari dovuti ai numerosi banchetti per l’uccisione degli animali e al consumo dei prodotti residui della precedente annata: “si uccidono i maiali e si organizzano i banchetti perché è il tempo per fare ciò, non perché sia Carnevale, e tuttavia l’insieme delle azioni e delle relazioni poste in essere non avrebbe senso alcuno se non fosse, appunto, Carnevale; e se la memoria di consuetudini recenti non restasse sospesa sull’agire quotidiano” [pag. 201].
Oggi a Nocera, come in molti altri paesi, le manifestazioni carnevalesche sono quasi del tutto scomparse, ma è ancora vivo l’uso di “fare il maiale” e dell’organizzazione di banchetti dovuti all’uccisione e alla lavorazione delle carni di questo animale che ha un’importante funzione culturale e sociale.
Il possesso del maiale era indicativo di uno status, chi lo possedeva non era totalmente povero, e l’animale diveniva indice di agiatezza. Con i processi di modernizzazione iniziati negli anni sessanta  l’inderogabilità economica e alimentare del maiale è diminuita per l’ampio accesso alle carni fresche e alla diffusione dell’alimentazione industriale. Questo ha posto ancora più in rilievo la sua utilità simbolica: “il maiale continua ad avere importanza, sia come indicatore di status e marcatore simbolico, sia come strumento di relazione nell’ambito della società nocerese, sia come mezzo di rimemorazione” [pag. 205].
Il maiale ha continuato ad attivare due circuiti solidaristici: il primo lega la famiglia dell’allevatore con chi dona abitualmente scarti alimentari di vario genere per contribuire all’allevamento dell’animale, il secondo unisce chi presta o scambia manodopera più o meno specializzata per l’uccisione del maiale. Questi circuiti comportano scambio e dono creando una situazione di reciprocità e attivando una rete di relazioni sociali.
I banchetti si svolgono durante il periodo del Carnevale, ogni famiglia di allevatori invita parenti e amici per “fare il maiale”. Le operazioni  e i compiti che si svolgono sono divise in base al genere (agli uomini l’uccisione, la raccolta del sangue, la sospensione, lo squartamento ecc., alle donne la confezione delle salse, la salatura, la lavorazione delle carni minute, la preparazione dei cibi da consumare in giornata ecc.). Le figure centrali della festa, sono due: il possessore dell’animale e colui che lo uccide. Quest’ultimo è spesso una figura quasi professionale ed è al centro di una rete molto ampia di amicizie e di relazioni sociali che caratterizzano un indiscusso prestigio. La figura dell’uccisore è di particolare importanza e a lui non è dovuto nulla al di fuori dei regali di carne; “questo modello di relazione sociale (donare senza apparentemente ricevere) ha grande importanza a Nocera” [pag. 211].
Questa festa consolida l’alleanza tra le famiglie e il sentimento di appartenenza a un segmento comunitario come membri di una comunità.
“Il banchetto rituale si pone come momento cardine in cui i saperi e le memorie relative all’animale vengono riattualizzati e trasferiti dentro una fragile, ma tenacemente perseguita, percezione del presente: una percezione che (…) si alimenta nell’aspettativa e nell’attesa” [pag. 213].
Il tipo di ricordo che si elabora all’interno di questa cornice tende a recuperare le vicende comunitarie e quella del gruppo che si autocelebra. Per spiegare meglio il processo mnestico dei banchetti, Faeta ricorre alla distinzione tra opzioni fredde e calde di Assmann. Queste due opzioni sono presenti all’interno di tutte le società e rappresentano una risorsa per definire il rapporto dei gruppi umani con la Storia attraverso due poli opposti: conservazione e mutamento. La memoria fredda impedisce l’irruzione della Storia e, alternandosi con quella calda, mantiene al riparo da ciò che disordina e accelera, consentendo la costruzione di una tradizione locale.
Inoltre il maiale consente di ricordare quando il controllo delle cose era in mano alla comunità che lavorava in rapporto con la natura e in cui le cose “avevano sapore”. Il banchetto rituale assume un ulteriore significato: “la lavorazione e la consumazione dei resti: ieri utili nell’ambito di un’economia di sussistenza, in cui nulla poteva essere scartato, essi connotano oggi un ambito alimentare tipico, distintivo certamente della calabresità e della noceresità ma, al loro interno, specialmente della virilità. (…) Il prepararli e il consumarli divengono, allora, fatti distintivi di un’umanità diversa, che non teme ciò che teme colui che viene da fuori . (…) Mangiare le parti forti dell’animale (…)caratterizza il locale in rapporto al nazionale, ma anche l’uomo rispetto alla donna. Il simbolo così si scinde in base all’appartenenza di genere.” [pag. 217]

1 commento:

  1. ho letto davvero volentieri questo capitolo di dettagliata descrizione etnografica e di analisi sul materiale raccolto da Faeta in anni di lavoro sul campo nel contesto in questione e non solo.
    Penso che un'esercizio utile potrebbero essere quello di provare a immaginare un lavoro di etnografia visiva con lo strumento della telecamera a partire dalla descrizione e dall'analisi che Faeta ne fa.
    Pensare alle fonti bibliografiche, ai sopralluoghi, alla scrittura di una sceneggiatura mobile (vedi post su schema proposto da Cedrini), revisione girati, etc.
    sara

    RispondiElimina