26 giugno 2013

Potenzialità e risorse dei mezzi audio-visivi in ''Film as etnography'' di Peter Ian Crawford e David Turton.

Parte terza

E' percepibile un'aura di ottimismo e di fervore creativo nei confronti dell'antropologia visiva in contrapposizione ad una crisi della rappresentazione nell'antropologia che interessa la disciplina almeno dall'ultima decade, come testimonia per esempio la nascita del ''Granada Centre for Visual Anthropology'', in dissenso appunto con la relativa sterilità dell'antropologia britannica contemporanea (Faris 1992). L'autore pone però l'attenzione su come le possibilità offerte dal movimento contemporaneo non debbano spingere nella direzione di un consumo dell'alterità quasi come di un feticcio, da parte di un'industria occidentale che oggettiva e fruisce di chi sta davanti alla videocamera quasi in un'ottica coloniale.
Attraverso la videoanalisi l'antropologo ha la possibilità di indirizzare l'opinione pubblica su problematiche di carattere socio-politico che sente particolarmente; dovrebbe però tener ben presente che la propria analisi non costituisca una critica culturale al sistema politico altro, attraverso la lente della cultura occidentale egemone, così da non perpetuare stereotipi di dominio che travisano lo scopo scientifico della disciplina. ''Si può essere realmente critici solo del nostro proprio sistema culturale, dato che è l'unico sistema sociale di cui abbiamo una sufficiente ed intima conoscenza'' (Faris 1992).
Kuehnast parla di questo rischio nei termini di un ''imperialismo visuale'', capace di colonizzare il mondo attraverso la selezione di immagini che rappresentano una ideologia dominante ed una raffigurazione di verità. Imperialismo visuale come il messaggio subliminale di una gerarchia culturale, che esemplifica quello che è naturale, normale e desiderabile da quello che è anormale ed innaturale, perpetuando quindi stereotipi razziali e di genere (Kuehnast 1992).
L'antropologia visuale offre svariati e nuovi campi di ricerca. Tra questi uno di particolare impatto è costituito dallo studio delle rappresentazioni generate dagli indigeni stessi e dall'uso che essi ne fanno in particolar modo a livello politico. A riguardo, per approfondire il discorso, risultano emblematici gli studi sui Yoruba di Sprague (1978), di Hammond sui Tonga dello Utah (1988), di Jhala in India (1989) e di Chalfen sull'uso dei videotape da parte dei teenagers a Philadelphia (1988).
Un altro interessante studio a riguardo è quello di Turner sui Kapayo in Brasile; in esso si può osservare la loro pluralità di scopi di utilizzo dello strumento visuale. Viene utilizzato per documentare le proprie tradizioni culturali, in primo luogo le performance rituali; come strumento di organizzazione socio-politica laddove per esempio alcune importanti manifestazioni (come quelle riguardanti lo sfruttamento di una miniera d'oro sul loro territorio) vennero registrate per essere divulgate tra i vari capi Kayapo; e ancora con risvolti socio-politici dato che le riprese per le transazioni con i brasiliani per la miniera d'oro di Maria Bonita hanno per loro una sorta di valore legale e contrattuale (Turner 1990). Vediamo come l'analisi che parte dallo studio dell'utilizzo del mezzo audio-visivo, in questo caso da parte dei nativi, travalichi facilmente lo studio dello strumento visuale. L'estensione logica potrebbe essere lo studio dei cambiamenti culturali in correlazione alle tecnologie di comunicazione (Chalfen 1992).
E' però fondamentale tenere conto, nonostante i connotati culturali nell'utilizzo della videocamera, dell'eterogeneità interna alle culture nei termini di divisioni socio-politiche e culturali. E' auspicabile infatti che differenti persone, in differenti settori socio-culturali della comunità vedano e registrino il mondo in maniere differenti. A riguardo è notabile lo studio di Bourdieu (1965) sulle auto-rappresentazioni negli album di famiglie parigine di diverse aree, quale strumento per rafforzare l'immagine della famiglia al suo interno. Si ipotizza che la middle-class tenda a rappresentare non solamente i componenti della famiglia, ma ad espandere appunto i soggetti fotografati, in contrapposizione alla classe operaia, relativamente alla maggiore ambizione date le possibilità economiche e la posizione sociale migliore (Grace 1977).

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