16 maggio 2011

post di Falzetta

Relazione laboratorio di antropologia visiva


Francesco Falzetta



L’esperienza del laboratorio di antropologia visiva svoltosi in questo secondo semestre è stato luogo di costruzione di uno spazio/tempo per la rappresentazione di molteplici soggettività, sia implicite che esplicite.
Fra le soggettività esplicite possiamo elencare Paul e Mike, i due artisti coinvolti nel progetto di ricerca, gli studenti che hanno partecipato al corso, la docente che teneva il corso, il regista che effettuava le riprese. Tra quelle implicite elenchiamo i soggetti che hanno finanziato il progetto e il docente supervisore del progetto stesso.
La presenza e il posizionamento di Paul e Mike, soggetti/oggetti della ricerca, ha scaturito in me una riflessione su quali e quanti fossero gli sguardi esplorativi presenti nella ricerca: quelli di Paul e Mike che si chiedevano “come mi vedi io” “come mi vedono gli altri” “come invece vorrei che mi vedessero”, due soggettività che hanno costruito su un terreno comune di condivisione il loro dialogo con gli interlocutori.
Poi gli sguardi degli studenti, soggetti esterni alla ricerca, che hanno posizionato la loro soggettività in un ambito quasi di straniamento. A questo proposito posso portare la mia personale esperienza di sguardo al contempo di famigliarità e di spaesamento.
Durante un uscita in cui si doveva riprendere Paul mentre interagiva con alcuni luoghi della città da cui trarre ispirazione per le sue opere, il mio essere là ha creato in me differenti sensazioni e vari livelli di comprensione.
Il fatto di aver già visto Paul molte volte in luoghi e situazioni differenti attraverso le note di campo, ha creato in me una sorte di senso di famigliarità ma al contempo di spaesamento e straniamento.
Questo mi ha portato a riflettere sul fatto che quando si fa etnografia visiva l’etnografo agisce attraverso gli altri performer coinvolti nell’azione. Tutto ciò implica la costruzione di ruoli interpersonali complessi e stratificati.
Come sostiene l’antropologa An van Dienderen, che ha condotto una ricerca attraverso il mezzo audiovisivo in un area marginale di Bruxelles chiedendo agli abitanti di quest’area il loro fattivo contributo alla realizzazione del video, non è importante i progetto finale del lavoro che si sta svolgendo quanto il grado di partecipazione alla performance dei soggetti coinvolti.
Lo stesso MacDougall parla di far la conoscenza di per indicare il grado di reciproco coinvolgimento emotivo e corporeo nell’azione di performance.
Far partecipare i vari soggetti della ricerca all’esperienza di reciproca pre-comprensione emotiva può voler dire portare lo spettatore finale ad un grado di coinvolgimento e di partecipazione significativo. Rouche dice che i soggetti visti attraverso l’esperienza del ricercatore non sono solo soggetti di ricerca ma direttamente partecipi della ricerca stessa.
Inoltre il mio essere presente alle riprese mi ha posizionato come un terzo occhio osservatore/esploratore insieme a quelli già presenti della videocamera e del regista.
Per concludere ritengo che l’intenzione di esplorare le soggettività degli artisti attraverso il multi posizionamento e la simultaneità di differenti sguardi sia la strada ottimale per un giusto percorso di ricerca in antropologia visiva.
Inoltre se consideriamo le note di campo come testo culturale, la prospettiva interpretativa può essere rafforzata dal modello metodologico e dal livello di significazione che Roland Barthes individua quando parla di denotazione e connotazione, dove la prima indica il significato letterale del testo mentre la seconda quello culturale. In fondo cos’è la comprensione del significato dei testi culturali se non un modo nuovo di narrare la storia delle persone dal punto di vista del ricercatore. Parafrasando Hans-Georg Gadamer: “La comprensione appartiene all’essere che viene compreso”.

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