11 novembre 2013

Antropologia visuale a Istanbul


Sono a Istanbul per la mia ricerca di tesi che ha come tema l'Islam e l'edilizia, il capitalismo islamico e la produzione di nuove forme di abitare, di nuovi stili di fare città. L'abitare è uno snodo che chiama in causa molti aspetti della vita degli esseri umani, fra i quali non credo – e non pretendo – di poter stabilire un ordine; ciò che mi interessa è piuttosto la possibilità stessa di indagare questi aspetti della vita urbana. Quanto sono visibili? Quanto possono essere indagati attraverso gli strumenti video-fotografici? Nella mia ricerca ha infatti molta importanza l'ambiente, il paesaggio, inteso come riferimento per l'orientamento, per l'abitare (cfr. La Cecla).
Prenderò in considerazione tre interventi edilizi: il terzo ponte sul Bosforo, il quartiere tradizionalmente Rom di Sulukule, ormai raso al suolo, e il progetto di rinnovamento di Fıkırtepe, ora in atto.
E allora perché ho ritenuto importante andare alla commemorazione della morte di Mustafa Kemal Atatürk, il padre della patria turca laica e progressista, repubblicana e intellettuale, avvenuta 75 anni fa? Per verificare 1) chi ci sarebbe andato 2) per mostrare che cosa, con che intenzione 3) con quale atteggiamento e infine 4) quante persone ci sarebbero andate. Avevo ritenuto che in un momento della politica turca in cui il laicismo così come è inteso tradizionalmente qui sembra divenire sempre più obsoleto, questa fosse un'occasione per riaffermare un'ideologia che sfuma, mortificata dal crescente progressismo islamico, moderno e produttivo. Che è responsabile dell'aspetto che sta prendendo la città, aprendo un cantiere dopo l'altro. Uno scontro che appare subito esplicito prendendo un qualunque autobus, facendo una qualunque passeggiata: la città, i ponti, le autostrade, gli edifici sono tappezzati di immagini del premier Recep Tayyip Erdoğan, la sua faccia sollevata a mezz'aria che realizza i sogni e le favole degli abitanti della città: la metropolitana, il tunnel sotto il Bosforo..Fa il verso all'egualmente onnipresente (prima l'unica) immagine di Atatürk, che adesso appare un po' invecchiata. E allora mi aspettavo del vigore per riaffermarne la vitalità, oggi, nel giorno della sua morte. Infatti è stato così, benché tra la folla qualcuno immagino sia venuto solo per entrare gratis nel palazzo di Dolmabahçe. Bandiere, bandane, coccarde, canti. Una fiumana di gente che tornava dalla visita al sancta sanctorum del palazzo: la stanza dove il Padre dei Turchi è spirato. Un'altra fiumana entrava, e io con loro. Sarebbe bello dilungarsi sull'aspetto sacrale e – oserei – religioso delle cerimonie (alle 9:05 suonano le sirene e la città si blocca, i passanti con il passo sospeso, o un automobilista che ferma la macchina e si mette in piedi accanto alla portiera; mentre una ragazza velata cammina con forse ostentata indifferenza). È magico, fa correre un brivido. Un'unione mistica della nazione a cui mi è concesso partecipare. Ma non è più nell'argomento della mia tesi. Invece trovandomi lì, e dovendo decidere cosa riprendere ho deciso che valeva la pena riprendere cosa facevano le persone, come vivevano questa sacralità, quanto spazio le davano, come si rapportassero con la specialità del luogo. E ho visto (e ripreso): che, una volta dentro le sale del palazzo, parlavano e bisticciavano (per esempio si lamentavano del fatto che si facessero le pulizie proprio in quel momento), facevano le foto prima di guardare, non guardavano (mentre lo studiolo di Mustafa Kemal è stato preso d'assalto dai telefonini, il suo bagno è passato completamente inosservato); ho visto che rifacevano volentieri una coda, dopo tutta quell'estenuante precedente, per lasciare una firma; che facevano fotografie con i reduci di guerra; che cantavano e applaudivano. Erano presenti, per dire qualcosa sulla politica attuale. Ma questa è solo una mia interpretazione.

3 commenti:

  1. Ciao Alessandra,
    grazie per il tuo post. Ho guardato con attenzione il montaggio che hai realizzato e l'ho trovato davvero interessante. Se non l'hai ancora letto ti consiglio il testo della Sontag On photography che credo possa offrirti spunti interessanti alla riflessione sull'utilizzo degli strumenti audiovisivi (macchine fotografiche, cellulari e video camere) da parte dei partecipanti all'evento che hai osservato e descritto e al quale hai partecipato.
    consigli tecnici: attenta alla luce, avvicinati il più possibile - qualora ti sia possibile - ai soggetti/oggetti di tuo interesse (in alternativa esercitati con lo zoom), molto bene le riprese di contesto, i dettagli/cuts e la bambina delle dimissioni (amplificali verso un'approfondimento visivo del corpo in rapporto con l'ambiente/lo spazio abitato, lo spazio attraversato,...) - prova magari a seguire (POV) la prospettiva di qualcuno nel tempo dell'attraversamento....
    a seguito posterò una lista - essenzialmente riduttiva - delle tecniche di ripresa per gli studenti del lab. su youtube trovi pratici tutorial che possono aiutarti ad analizzare le diverse prospettive che la telecamera può assumere in rapporto al tuo posizionamento nel contesto e alle tue posture dell'osservazione.
    cerca di interagire con i soggetti sul senso che danno a ciò che fanno (bene le traduzioni che hai inserito) magari senza filmarle - che è più complicato - ma solo registrandone l'audio che poi può servirti per un'interpretazione del visivo) immagini in fase di montaggio (cosa vedono? cosa cercano? che pensieri, idee e riflessioni suscita in loro? multiprospettivismo.)
    Buon lavoro
    Sara

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  2. Grazie mille Sara per i sempre preziosi consigli. Devo dire che in questo inizio di campo mi sento ancora molto maldestra. Spero di rilassarmi presto e di fare un buon lavoro visuale! Appena ho del materiale su cui riflettere, lo posto di nuovo.
    Grazie
    Alessandra

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