6 febbraio 2014

CAPITOLO TERZO

ARITZO OGGI: VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI DEL BOSCO E TURISMO



Fin qua sono venuta delineando, a livello generale, un quadro del territorio e delle tradizioni del suo popolo, con particolare attenzione per il centro di Aritzo, nella Barbagia di Belvì. 
Negli anni '50 - '60 del Novecento si assiste all’esplosione di un grande flusso migratorio che spinge le popolazioni locali ad allontanarsi dai luoghi natii, alla ricerca di condizioni di sussistenza qualificanti, verso le maggiori città della Sardegna, in particolare a Cagliari, ma anche in Italia e all'Estero. Questo spostamento è da ricollegare al nuovo scenario socio-economico comune a tutto il Paese e da imputare in parte alla continua diminuzione di campi per il pascolo, derivante dall'apertura di cantieri per il rimboschimento di quelle zone che per lunghi anni erano state danneggiate. 
Agli abitanti per poter sopravvivere, rimaneva soltanto una scelta da fare: decidere di emigrare, o diventare un operaio forestale. Molti aritzesi che non hanno voluto rinunciare alle proprie abitudini e attività scegliendo di restare ad Aritzo e di continuare le attività autoctone che hanno cercato di adeguare ai tempi attuali. E' stata incentivata la coltura dei noccioleti, rendendola più razionale e più remunerativa con l'introduzione di qualità pregiate, e si è dato un impulso maggiore alla tradizionale coltura delle castagne.
Piccole imprese familiari si sono dedicate alle produzioni dolciarie di cui in particolare il torrone, is caschettes e sa carapigna. Inoltre, gli aritzesi hanno sfruttato, profondendo impegno e sacrificio, la loro vocazione per il commercio ambulante, valorizzando e promuovendo i loro prodotti, partecipando alle feste e sagre di tutta l’isola esponendoli e commercializzandoli. 
In questo fermento produttivo, in cui si mira alla valorizzazione delle produzioni tradizionali, si è esaltata la possibilità di trarre vantaggio economico dal fattore locale, anche in difesa delle proprie radici.
Proprio l'apertura verso l'esterno, di cui ho parlato precedentemente[1], ha permesso al popolo di Aritzo di sviluppare una coscienza identitaria forte, permettendogli di proporsi in modo intelligente in un contesto di tipo moderno. In questo senso, dopo un iniziale fase dai riscontri negativi, la sensibilità degli aritzesi verso gli oggetti e le attività che li rappresentano, e che hanno testimoniato la loro evoluzione, ha prodotto una mutazione organizzativa che ha condotto all’ammodernamento del centro nel rispetto della più consolidata tradizione. Si assiste pertanto a innovazioni di tipo urbanistico per cui le antiche case in scisto, particolarmente caratteristiche, che avevano affascinato tanti viaggiatori, furono soppiantate da edifici molto più confortevoli. 
Contemporaneamente, viene studiato ed approvato un piano di salvaguardia e recupero del centro storico, che prevede, oltre alla tutela degli edifici di maggior pregio, la conservazione di elementi architettonici caratterizzanti come le balconate lignee e le murature in scisto, di cui ne sono rimasti pochi esempi. 
Si sono altresì compiuti mirabili progetti indirizzati alla la tutela della memoria locale quali il restauro del carcere seicentesco, Sa Bovida, che oltre ad aver permesso il recupero di uno degli edifici più antichi, ha anche consentito la sua fruizione pubblica. Altra rimarchevole operazione costituisce l’acquisto, al patrimonio pubblico, della casa Devilla, un edificio di tipo padronale della fine del Settecento, giunto a noi praticamente inalterato, ora oggetto di un restauro conservativo e destinato a diventare una casa museo e ad ospitare un centro turistico. 
All'interno di questo piano sono state previste altre iniziative quali il restauro della centrale Funtana 'e' idda, la più antica del paese; il restauro di edifici pubblici antichi; l'acquisizione e il restauro della casa del pittore Antonio Mura in cui, per il rispetto della sua religiosità, che ha caratterizzato tutta la sua produzione artistica, si progetta di istituire un museo di arte sacra di modeste dimensioni ma di sicura valenza turistica e culturale. Inoltre di grande rilievo è stata la realizzazione, all'interno del parco Pastissu, del Museo della Montagna sarda e del Gennargentu, che propone uno spaccato dettagliato della cultura barbaricina. Attualmente l'esposizione museale è articolata in due sezioni: la prima ospita una rassegna di costumi tradizionali maschili e femminili ed una serie di maschere locali legate al mondo agro-pastorale, realizzate con pelli ovine e bovine; la seconda è costituita da una ricca collezione di oggetti riferiti alle attività tradizionali dell'agricoltura e della pastorizia, in particolare quelle legate allo sfruttamento del bosco, sottolineandone il suo ruolo prioritario per l'economia della società aritzese. Agli attrezzi del contadino, del boscaiolo, del falegname, del pastore, del bottaio, dei carapigneris e ad alcuni prodotti derivanti da queste attività si accompagna un'esposizione di tradizionali casse intagliate, il processo di lavorazione della lana, tosatura e tessitura, e quello della lavorazione delle candele. 
Arricchito, nella sua esperienza e supportata da particolari doti, la popolazione di Aritzo ha continuato a sviluppare la sua conoscenza ed ha accresciuto la propria identità, traendo da essa gli elementi che l’hanno sempre più rafforzata nella pratica turistica ponendola in cima alle località interne per la preferenza di una moltitudine di visitatori che la scelgono per le vacanze. 
Aritzo ha saputo valorizzare il suo patrimonio boschivo ed ha operato per il suo utilizzo, ma insieme ad altri elementi naturali particolarmente favorevoli, fra tutti la salubrità del clima, ha cominciato, all’inizio del XIX secolo, ad assumere il carattere di meta per i soggiorni estivi, per cui iniziò a svilupparsi il concetto di albergo, nei più svariati significati del termine, e si arricchì di alcune belle costruzioni residenziali[2].
L’investimento nel settore alberghiero si è affermato sempre più fino alla fine degli anni '90 allorché potevano contarsi, in attività, ben quattro alberghi di pregio oltre a diverse pensioni e ad un fiorente mercato di affitti di appartamenti privati. Solo le località marine più qualificate erano in grado di superare il numero di alloggi offerti ai villeggianti. 
Le estati in tal periodo hanno garantito una frequentazione al di sopra delle medie e venivano allietate da attività ludiche e da esibizioni musicali a cadenza giornaliera che coinvolgevano i turisti e i residenti. 
Attualmente esercita solo l’hotel Sa Muvara, mentre gli altri sono stati trasformati in residenze per la terza età, o persone che necessitano di assistenza sanitaria specifica. Anche tale scelta può essere letta come la conferma della versatilità degli Aritzesi che, anche se aggrediti da fattori contrari, quasi mai si arrendono senza combattere.
Attualmente nel settore dell'ospitalità si sono affermate nuove strutture come i bed & breakfast, l’albergo diffuso e gli agriturismo; ne sono stati realizzati alcuni, di buona qualità, nel rispetto della tradizione della mentalità locale.
 Il turismo, il senso di ospitalità e la serenità delle persone, dimorano nelle coscienze degli aritzesi e rientrano in un immaginario lento, che esce dalla frenesia che la società moderna ci impone. 
Per suffragare questo concetto, rimando ad alcune recenti opere che si adoperano per analizzare le metodologie del turismo tipo del '900, un turismo last minute e low cost. Questa velocità che è stata impressa al viaggiatore ha determinato una massificazione turistica stimolando l'omologazione e la diffusione dei “non luoghi” di cui Marc Augè[3] ha fatto una lunga analisi. 
Questa non specificità ha portato ad un'indifferenziazione tra luogo di partenza e d'arrivo determinando la ricerca di un prodotto differente. 
E' in questo scenario globale che alcuni luoghi, quelli con bassa densità demografica e tendenzialmente a minor fruizione turistica, ma con un patrimonio storico-artistico di qualità anche se poco noto, hanno avuto la possibilità di ascendere nell'ambito turistico. 
I territori, che, come Aritzo, hanno sviluppato un forte senso del luogo e dell'identità, aspirano alla lentezza, non nel senso negativo del termine, ma facendo riferimento al desiderio di valorizzazione dei propri luoghi, dei sapori dei cibi tradizionali e delle emozioni che essi evidenziano. In questo modo di fare turismo si propone l'approfondimento, la conoscenza delle terre che si spinga oltre il primo impatto creando un rapporto di familiarità tra ospitanti ed ospitati, rendendo anche più stabile il radicamento sociale della popolazione sul territorio stesso.
La scelta di questo percorso determina una nuova concezione del territorio, che viene visto come soggetto attivo nelle strategie costruite intorno al concetto d'identità. Come ci dice G. Simmel, il rapporto con lo spazio assume le caratteristiche sulle quali si fondano le comunità sociali di quel dato luogo. Di conseguenza, lo spazio costituisce lo schema di lettura per la comprensione delle relazioni intra soggettive. L' “uomo nello spazio” è una dimensione storica che implica la possibilità di spostamento, caratterizzando e conferendo senso alla possibilità stessa di mutamento[4]
Si può, quindi, affermare che il territorio possieda una valenza dinamica, stratificante, che comprende una complessa rete di sequenze di epoche di civilizzazione che determina un fitto intreccio di relazioni tra l'ambiente e la popolazione. 
Chiarito come questo tipo di turismo utilizzi il valore locale in rispetto all'ambiente, al passato ed alla storia, si può affermare che esso miri a creare sensazioni e situazioni tipiche, proponendo un prodotto di grande qualità in cui il fruitore deve immergersi totalmente, realizzando una netta differenza con il luogo di partenza. 
Ad Aritzo questa spinta alla lentezza ha stimolato fortemente la sua componente ambientale, con la cura e la creazione di numerosi itinerari sia nei parchi naturali del Texile, di Is Alinos e Pastissu, ma anche sulle pendici del Gennargentu e negli antichi sentieri che in passato venivano usati per il trasporto dei vari prodotti autoctoni. Questi ultimi rappresentano il punto forte di questo centro della Barbagia di Belvì, in particolare per quanto concerne la produzione alimentare. 
Sa carapigna, il torrone, is caschettes, le confetture ed altri dolci tipici hanno rafforzato il senso di appartenenza a questo territorio determinando, con il loro consumo, un momento di condivisione della storia e delle tradizioni di una comunità, come ci dice l'antropologa C. Papa “il prodotto tipico incorpora saperi, tecniche, usi, tradizioni e beni ereditari[5].  
Il prodotto su cui gli aritzesi hanno fondato il loro turismo è rappresentato dalla castagna, che fin dall'antichità ha costituito un'importante elemento per la sussistenza del popolo sia sotto forma di cibo e farina, ma anche come prodotto di scambio.  

Museo Etnografico di Aritzo – Strumenti per la raccolta delle castagne ed esposizione di diverse di frutto. R. Paba 

In anni recenti, circa quaranta anni or sono, la comunità di Aritzo ha sapientemente raccolto tutte le sue esperienze ideando un evento in grado di valorizzare e rendere possibile la fruizione del patrimonio culturale e tradizionale del proprio territorio. Infatti, dal 1972 è stata indetta la Sagra delle Castagne, che originariamente compresa nel ciclo “Autunno in Barbagia”, ha poi acquisito totale autonomia grazie alla sapiente organizzazione comunale, ma soprattutto all'alta qualità dei prodotti proposti. Nei primi anni di svolgimento la data della manifestazione era stata fissata nella prima metà di Novembre, successivamente, per motivi legati al raccolto del frutto protagonista, è stata anticipata all'ultimo fine settimana di Ottobre. Quest'evento, a mio avviso, costituisce l'emblema che rappresenta la piena coscienza degli aritzesi, della propria identità, che abbraccia il loro passato da pastori, contadini, raccoglitori, biaxiantes, carapineris, bottai, artigiani, falegnami e produttori di dolci. Infatti durante questo week-end è possibile degustare, consumare ed acquistare tutti i prodotti della montagna. 
La festa ha acquisito fama nel tempo tanto che ogni anno registra un aumento di avventori, provenienti da tutta la Sardegna e non solo. Se il fulcro della sagra è il centro del villaggio ciò non impedisce che la gran massa di visitatori si distribuisca lungo tutta la strada d'ingresso, attratto da decine di espositori, dalla vivacità delle bancarelle, dalle mostre d’arte e dei vari prodotti locali. 
La sagra delle castagne, che rappresenta un momento di grande coesione culturale e di attaccamento alle tradizioni, negli anni è diventata un richiamo a cadenza fissa per gli abitanti di tutta la Sardegna, infatti si contano numerosi pullman e di auto provenienti da ogni località per partecipare alla manifestazione. La Pro-loco, che si occupa dell’organizzazione dell’evento, ogni anno si adopera per migliorare l’offerta abbinando all’esposizione anche una moltitudine di iniziative socio-culturali che culminano in rassegne cinematografiche, in convegni e, fiore all’occhiello, in esibizioni di artisti che rappresentano il meglio della tradizione musicale sarda e italiana. 
Lo scopo degli organizzatori è quello di offrire gratuitamente a chiunque il diletto di gustare dal vivo l’ebbrezza di partecipare a concerti che difficilmente avrebbero provato.
Per rendere la giornata piacevole, in vari punti dello stradone, vengono piazzate delle bancarelle caratterizzate dalla presenza di arrostitori di castagne che distribuiscono gratuitamente, appena sfornate, ai passanti. Non è raro imbattersi anche in banchi in cui vengono offerte le castagne bollite, che rappresentano una piacevole alternativa alle caldarroste.
Anche se viene notoriamente titolata ”Sagra delle Castagne” la festa rappresenta il trionfo della capacità dell’Aritzese a proporre una gamma di prodotti che vanno dalle noci e nocciole all’artigianato, al  turismo e alla cultura. In occasione della sagra infatti viene sfoggiato il bellissimo costume tradizionale dai giovani, ragazzi e ragazze, che sfilano da un capo all’altro del paese e proposti brani della copiosa produzione locale.






[1] Capitolo secondo.
[2] G. PABA, Guida di Aritzo e delle sue montagne, Cagliari, 1997.
[3] M. AUGE', Non luoghi: introduzione ad un'antropologia della submodernità, Milano 1993.
[4] G. SIMMEL, La metropoli e la vita dello spirito, Roma, 1995.
[5] C. PAPA, Il prodotto tipico come ossimoro, Cosenza, 2002. 

1 commento:

  1. Ciao Rossana,
    grazie del tuo contributo in tre puntate in cui ti soffermi in forma dettagliata su molti aspetti ed elementi dell'area in oggetto. ma è una traiettoria di indagine che hai concordato con me? Perdona ma non me ne ricordo. Ti chiedo, dunque, di specificare meglio gli oggetti della tua ricerca, la metodologia che hai utilizzato e i risultati che hai ottenuto in riferimento alla dimensione visiva della tua analisi.
    grazie
    sara

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