23 maggio 2014

INTRODUZIONE AL DOCUMENTARIO. (Bill Nichols).

Capitolo 6: Quali tipi di documentario ci sono?

Nel secondo capitolo, Nichols identificava sei modalità per definire i documentari. Infatti, la vasta produzione cinematografica ha generato numerosi stili da cui sono sorti tipi di film di rappresentazione sociale differenti. Sulla base di determinate caratteristiche si cercherà di riprenderle una ad una. L’ordine in cui verranno presentate dall’autore sarà quello cronologico.

La modalità poetica smantella le convenzioni del montaggio in continuità e la collocazione in una dimensione spazio-temporale specifica, privilegiando le associazioni e i motivi che riguardano i ritmi del tempo e le giustapposizioni dello spazio. Questo tipo di approccio ha permesso ai documentari di affrontare determinati argomenti da punti di vista alternativi. Sottolinea pertanto un’impressione e uno specifico tono comunicativo. Il film di Jean Mitry, Pacific 231 (1944), ad esempio, fa uso di una rievocazione poetica per rappresentare la velocità di una locomotiva, mettendo in risalto non tanto l’oggetto quanto il suo ritmo e la sua forma. La modalità poetica è nata con il modernismo come metodo di rappresentazione della realtà attraverso un insieme di frammenti, impressioni soggettive, azioni incoerenti o libere associazioni. A seguito della prima guerra mondiale, dopo l’abbattimento del sentimento positivista ereditato dal XIX secolo, la cultura occidentale si trovò a fare i conti con problematiche difficilmente risolvibili. Da questo clima di sconforto e incertezze il documentario e il film hanno ereditato prospettive multiple. La frantumazione e l’ambiguità restano le caratteristiche principali di molti documentari poetici.

La modalità descrittiva, al contrario, riprende temi argomentativi e unitari, cercando di rendere più omogeneo il contenuto di una rappresentazione frantumata. Si rivolge direttamente al pubblico proponendo un argomento o narrando una storia. I film descrittivi fanno spesso uso del commento fuori campo oppure di una voce autorevole presente sulla scena (come nei telegiornali). Utilizzano spesso una logica informativa che viene comunicata attraverso la parola. Le immagini sostengono quanto il narratore sta dicendo, illustrandolo, descrivendolo, specificandolo ed esemplificandolo. Il commento perciò ha lo scopo di dare un senso alle immagini, rappresenta il punto di vista del documentario, che è veicolato per lo spettatore. Il film descrittivo rende più facile generalizzare e discutere in senso lato.  

La modalità osservativa, porta il regista a rappresentare la realtà semplicemente come può osservarla attraverso la telecamera, ovverosia con “spontaneità”. L’intento di restare fedele alla rappresentazione dell’oggetto porta alla produzione di film privi di commento fuori campo, senza musica aggiunta o effetti sonori, senza intertitoli né ricostruzioni storiche, senza ripetizioni di scene per la cinepresa e addirittura senza interviste (p.116). l’aspetto di questi filmati ricorda quello dei neorealisti italiani. L’attenzione privilegiata agli attori sociali porta a ritenere che il carattere e le scelte di ciascun soggetto presente nella ripresa siano fondamentali per rappresentare un tipo di osservazione. Il pubblico è portato a giudicare ciò che vede, basandosi sul comportamento delle persone che osserva. Questo atteggiamento, che pone il regista al di fuori della scena in un modo quasi distaccato, rimette in gioco questioni etiche legate alla legittimità di ripresa e rappresentazione. Allo stesso tempo, la presenza del regista può far sorgere delle problematiche connesse alla sua invadenza implicita o indiretta. Le persone tendono a comportarsi nel modo che ritengono il regista voglia osservare, soprattutto per quanto riguarda i documentari etnografici. (Problema peraltro che si pone nella stessa ricerca antropologica). La presenza della telecamera sulla scena, nel bene e nel male, tenta di rappresentare la realtà nel modo più autentico possibile. Il prodotto finale conferma questo atteggiamento, poiché le inquadrature e le scelte di montaggio ci consentono di ritenere che quelle azioni siano il più verosimili possibile; in realtà la rappresentazione cela l’aspetto costruttivo del film, le negoziazioni tra regista e soggetti ripresi, per ottenere un risultato ben definito.

Il metodo antropologico della partecipazione agli eventi di un dato gruppo per studiarne le caratteristiche è spesso stato ripreso dalla filmografia documentaristica con la modalità partecipativa. Come gli antropologi i registi fanno ricerche sul campo: in questo senso, il documentario partecipativo ci dà un senso di cosa voglia dire, per il regista, essere in una data situazione, e come essa subisca modificazioni a causa della sua presenza (p.122). Il regista pertanto abbandona il commento fuori campo, si allontana dalla meditazione poetica e cerca di immedesimarsi nella situazione in cui si trovano i suoi attori sociali. La presenza fisica pone il regista sulla e nella scena. Lo spettatore non si aspetta più semplicemente un punto di vista, ma osserva la relazione regista-soggetto rappresentato come un tutt’uno, ovvero parte di una medesima rappresentazione. Tuttavia, non tutti i documentari sottolineano l’interazione tra il regista e il soggetto. Può essere presa in considerazione una questione più ampia, fondata sull’aspetto storico, attraverso l’utilizzo di interviste. Il dialogo tra i due soggetti permette l’eliminazione del commento fuori campo, focalizzando l’attenzione sull’interazione sociale. Questi brevi spunti ci consentono di identificare due modalità partecipative: 1) la rappresentazione del mondo circostante dal punto di vista del regista; 2) quella basata su fatti storici o interviste, per sostenere ed analizzare una questione sociale.

Con la modalità riflessiva il regista si mette in relazione con il pubblico. Si attua perciò un’osservazione di come rappresentiamo il mondo oltre che a cosa viene rappresentato. Questo tipo di documentario ci chiede di guardarlo per ciò che è: una rappresentazione ricostruita (p.131). Una delle questioni più a cuore di questo tipo di film è la domanda: “cosa dobbiamo fare delle persone?”. Questa è stata analizzata e posta al centro dell’attenzione in film come Reassemblage (1982), Daughter Rite (1978), Bontoc Eulogy (1995) e Far from Poland (1984). Il primo infrange le convenzioni realistiche dell’etnografia, per criticare il modo con cui la telecamera rappresenta gli altri. Il secondo, si allontana dall’uso degli attori sociali per inserire attori professionisti (sotto cui si cela la vera voce dei soggetti intervistati). Nel terzo il regista narra la storia della sua famiglia e in particolare di suo nonno, portato via dalle Filippine per rappresentare la vita dei filippini alla fiera di S. Louis del 1904. Infine Far from Poland si rivolge direttamente allo spettatore per riflettere sui problemi di rappresentare il movimento Solidarnosc.  I documentari riflessivi affrontano anche la questione del realismo, mettendo in discussione i suoi tre punti principali (fisico, psicologico ed emotivo). La modalità riflessiva inoltre è quella che mette maggiormente in discussione sé stessa. Nella forma riuscita, trasmette allo spettatore la sensazione di come il film sia un costrutto nato per raggiungere determinati scopi, e, grazie a questo tipo di analisi, rivalutare i pregiudizi sull’oggetto in questione. Agisce pertanto da un punto di vista formale e politico. Entrambi si basano sulla capacità di produrre specifiche reazioni nel pubblico.

La modalità rappresentativa si pone delle domande come: che cos’è la conoscenza? Che cos’è la comprensione? La conoscenza viene affrontata da un punto di vista soggettivo. Ciascuna persona, basandosi sulle proprie esperienze vissute, percepirà un oggetto o un tema in modo differente. Ovvero nel momento in cui andremo a seguire un documentario ci porteremo dietro il bagaglio di strumenti che la società ci ha messo in mano: la struttura istituzionale (i governi, la religione, la famiglia e il matrimonio) e i concetti sociali specifici (amore e guerra, competizione e cooperazione). Questi film cercano di incoraggiarci a guardarli coinvolgendoci personalmente.


Evidentemente, tutte queste modalità non devono essere prese come scatole chiuse o limitate alla propria sfera d’azione. Molto spesso nella produzione di un documentario possono interagire le une con le altre determinando esiti particolari e a volte innovativi. 

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