27 maggio 2014

INTRODUZIONE AL DOCUMENTARIO. (Bill Nichols).

Capitolo 7: In che modo i documentari affrontano le questioni sociali e politiche?

Il documentario, parlando di persone, si è trovato a fare i conti con la loro rappresentazione. Innanzitutto si sono poste questioni etiche, in parte affrontate dall’autore nel primo capitolo, che hanno messo in gioco la presenza multi localizzata di finalità e scopi differenti. Tuttavia, anche la narrazione di una situazione può spesso determinare il paragone fra le persone e banali stereotipi. Brian Winston criticò duramente i documentari inglesi degli anni trenta, poiché secondo lui, volendo rappresentare la classe operaia come una vittima, preclusero allo spettatore la possibilità di vederne il cambiamento. “L’operaio sarebbe stato messo al centro del soggetto documentaristico, anonimo e patetico, e il regista di documentari di tradizione vittimistica sarebbe stato un “artista” tanto quanto ogni altro regista” (cit. p. 146, tratta da The tradition of the Victim in Griersonian Documentary, di Alan Rosenthal, p.274). La questione che il documentario non possa risolvere le problematiche sociali che mette in campo e tuttavia ne promuove un tentativo, richiama quella dell’impegno politico. Nichols, a questo punto, prende in considerazione alcuni film che si posso dire eminentemente politici, ovvero il cui scopo è un problema sociale.

Uno dei problemi trattati nei documentari è la costruzione dell’identità nazionale (questione molto complessa, peraltro affrontata criticamente da numerosi antropologi). Essa rappresenta il senso di “comunità”, l’appartenenza a un gruppo che si ritiene unito da fattori culturali e organici, dove però non sono rintracciate le questioni ideologiche che concorrono al mantenimento di tali finzioni. Le ideologie subentrano per creare storie, immagini e miti che forniscano delle prove concrete e sicure per mantenere la società “fissa” entro certi canoni. Tuttavia, in contesti differenti, le persone instaurano rapporti differenti. Questo tipo di relazioni scatenano comportamenti eterogenei che si basano sulle ideologie. Molti documentari si interessarono delle rivoluzioni, i primi furono quelli che presero in considerazione quella russa. Il Kinopravda di Vertov ha contribuito alla costruzione di una nuova società. Ritenendo la macchina da presa uno degli strumenti della tecnica più innovativi, dal suo punto di vista artistico ne vedeva lo strumento in grado di consentire la sperimentazione e la rappresentazione di nuove forme. Alla fine degli anni trenta Vertov perse il sostegno finanziario dello stato. Al contrario in quegli anni, Grierson riuscì a convincere il governo britannico ad utilizzare la forma artistica del film-documentario per trasmettere alla nazione un senso di identità ed appartenenza. Sostenne il potere migliorativo della democrazia parlamentare e l’intervento del governo per risolvere i problemi più urgenti e le ingiustizie più gravi all’interno del sistema sociale (p.153).

Spesso i film si opposero alle politiche governative e industriali, negli Stati Uniti, ad esempio negli anni venti e trenta alcune società cinematografiche e fotografiche operaie documentarono gli scioperi e diedero voce agli argomenti importanti della classe operaia. Con la modalità partecipativa, si immedesimavano nel gruppo che volevano rappresentare. Ivens e Stork, non collaborarono né con il governo né con la polizia, ma con le stesse persone la cui miseria non era stata ancora né affrontata né eliminata dalle istituzioni (p.156). Molti dei primi film etnografici sono stati prodotti con lo specifico scopo di sensibilizzare la coscienza nazionale basandosi su esperienze lontane che in un certo senso richiamavano quelle locali. Altri invece, molto più tardi, identificarono tali esperienze nel loro carattere riduttivo e generalizzante. Esiste infatti una controtendenza nell’atteggiamento delle persone, pur essendoci un cultura dominante che “impone” alcuni canoni, soggiacciono sotto-culture che mantengono “intatte” le caratteristiche culturali di gruppi in esilio o nella diaspora. Gli anni sessanta e settanta hanno rappresentato la storia a partire dal basso, ovvero tenendo in considerazione le persone che rimangono ai margini della società. Un esempio è il gruppo di registi che negli Stati Uniti formò il Newsreel. Questo gruppo ha prodotto molti film dal 1967, focalizzando la propria attenzione sulla guerra in Vietnam, sulla resistenza alla leva, gli scioperi universitari, i movimenti di liberazione nazionale in tutto il mondo e i movimenti femministi (p.158).

Questi documentari “militanti” si interessarono anche ad altri problemi sociali, connessi soprattutto alla costruzione dell’identità. The Woman’s film ha dato inizio a quel processo, focalizzandosi sui primi movimenti femministi. Non solo, i primi film iniziarono ad interessarsi di categorie emarginate come quella degli omosessuali e delle lesbiche. In questo caso sono presi in considerazione gruppi di persone oppresse dalla cultura dominante, che tuttavia determinano un proprio margine d’azione nella collettività. Nel film Word Is Out (1977) sono presenti interviste rivolte a gruppi gay e lesbici che affrontano il problema della scoperta della sessualità nelle persone. Un’altra prospettiva storica sull’esperienza omosessuale è presa dal film di Greta Schiller, John Scagliotti e Robert Rosenberg Before stonewall: the making of a gay and lesbian community (1984).

La voce politica del documentario, oltre che affrontare l’identità culturale di un gruppo dominante, deve prendere in considerazione quelle ibride, che con la loro natura mutevole, vengono difficilmente catalogate in un unico modo. Tuttavia, nel momento in cui cercano di fissare queste identità in alcuni punti chiave, pur creando un orgoglio di gruppo, tendono a produrre un falso senso di sicurezza o di permanenza. Esiste, e gli antropologi lo sanno bene, un fattore di mescolanza che si presenta nella diaspora e che consente il cambiamento offuscando la nitidezza dei contorni di una politica di identità. Questi confini fluidi, che non possono essere categorizzati in identità chiare, sono presi a loro volta come oggetto di analisi da parte dei documentari. Con un film in stile riflessivo, Chris Marker esamina l’esperienza dello spostamento e dello straniamento in Sans Soleil (1982).

Nichols, a conclusione del suo capitolo, afferma che tutti e sei i tipi di film documentario, nel momento in cui mettono in mostra una voce politica, intendono rappresentare le questioni sociali o i ritratti personali. Il primo tipo può essere associato alla modalità descrittiva e narrativa, mentre il secondo a quella osservativa e partecipativa, nonché ai dibattiti contemporanei sulla politica d’identità. Gli uni affrontano questioni sociali da un punto di vista collettivo, gli altri da un punto di vista personale.


La maggior parte dei film-documentario affronta tematiche politicamente impegnate. In questo senso, attraverso il video vengono comunicate impressioni che favoriscono l’approccio critico del pubblico nei confronti del soggetto rappresentato. Il documentario deve far riflettere, ma soprattutto trasmettere una visione della realtà nelle sue componenti più eterogenee. 

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