14 maggio 2014

Parkour: il rapporto spazio/soggetto tra movimento e schemi mentali



Buongiorno a tutti,
la ricerca che abbiamo deciso di svolgere è sul Parkour e, nello specifico, sul rapporto che esso sviluppa tra il soggetto e lo spazio.

Il Parkour è una disciplina metropolitana nata in Francia agli inizi degli anni ’90 che consiste nell'eseguire un percorso superando qualsiasi genere di ostacolo vi sia presente con la maggior efficienza di movimento possibile, adattando il proprio corpo all'ambiente circostante. Con efficienza si intende uno spostamento che sia al contempo semplice, veloce e sicuro; un termine che racchiude in sé entrambe le parti della dicotomia spazio/tempo che vediamo spesso emergere, anche a livello antropologico, nello studio delle categorie del soggetto.
Il nome deriva dal percorso di guerra, chiamato “percorso del combattente” (in francese parcours du combattant), utilizzato nell’addestramento militare proposto da Georges Hébert. Egli era un ufficiale di marina francese che, nei primi anni del Novecento, sviluppò un particolare metodo di allenamento per l’addestramento delle truppe definito Hébertismo; il suo motto è esemplificativo della pratica: «Essere forti per essere utili». Il metodo viene anche definito come “naturale” poiché si fonda sull’idea che il migliore modo per allenare un uomo è esercitarlo nei movimenti naturali che sa fare, nelle situazioni che la natura gli presenta e gli richiede.
Sarà poi David Belle, figlio di un pompiere addestrato secondo il metodo di Hébert, che, dopo aver sperimentato fin da piccolo percorsi e tracciati, da adulto intraprese la carriera militare, vincendo numerosi trofei nei “percorsi del combattente”. Dopo essere divenuto anche lui pompiere ed essere stato costretto ad abbandonare il mestiere a causa di un infortunio al polso, non accettando di abbandonare la pratica che l’aveva da sempre appassionato, ne fece una filosofia e fondò quello che oggi è conosciuto come Parkour.
Nel 1998 David Belle e Hubert Koundé decisero di sostituire alla “c” di parcours la “k”, sia per veicolare una maggiore sensazione di aggressività sia per innegabili motivi estetici, e di eliminare la “s” muta in quanto contrastante con l’idea di efficienza del Parkour.
Belle non è l’unico fondatore della disciplina, viene infatti affiancato anche dal gruppo degli Yamakasi, che fondarono l’Art du déplacement, e Sebastien Foucan, che creò il Free Running.
Spesso la disciplina del Parkour viene confusa con il Free Running, che si discosta dal Parkour in quanto l’efficienza nella scelta del percorso viene messa in secondo piano rispetto alla spettacolarità e all’originalità dei movimenti. Il Free Running in ogni caso permette di poter godere delle peculiarità dell’abilità motoria e tracciativa non vincolandosi necessariamente all’emergenza e all’efficienza, ma tenendo conto oltre che degli aspetti estetici, anche di quelli quotidiani, che non necessariamente sono volti all’efficienza.
La diffusione del Parkour è avvenuta soprattutto grazie al passaparola e, come si può immaginare, è esplosa con la diffusione di internet ed in particolare con i video caricati su YouTube. Questo genere di diffusione porta la pratica ad essere da un lato conosciuta anche in territori diversi da quelli di origine, ma dall’altro a divulgare un’immagine fuorviante della pratica, in quanto commista con gesti e movimenti superflui che, come abbiamo visto, non rientrano nella disciplina pura.
In Italia il Parkour arriva attorno al 2005; si è sviluppato molto grazie al web e ai siti locali che hanno creato i primi incontri tra tracciatori.

Chi pratica Parkour è chiamato tracciatore, definizione evocativa del fatto che l’obiettivo del soggetto è quello di tracciare sia metaforicamente che fisicamente un percorso nello spazio; i movimenti e la direzione che si andranno a percorrere vanno difatti ben focalizzati prima mentalmente in maniera conscia e successivamente percorsi in tutta la materialità del proprio corpo.
La presa di coscienza di sé, del proprio corpo, dei propri movimenti e soprattutto delle proprie possibilità è centrale in questa disciplina, che non per nulla è definita come tale. Definirla come sport estremo o come semplice pratica urbana rischia difatti di non cogliere quella che è la grande operazione di disciplinamento e consapevolezza che i tracciatori compiono in se stessi e su se stessi; sia che si debba percorrere con efficienza, sia che lo si debba fare con originalità ed eleganza, la cognizione delle proprie possibilità fisiche e spaziali risulta fondamentale.
Il Parkour non è poi soltanto uno sport, ma anche un'applicazione sociale: i suoi valori sono importanti per insegnare ai giovani (e non solo) il rispetto per se stessi e la conoscenza dei propri limiti, utili per poter affrontare non solo gli ostacoli materiali della città, ma anche quelli piccoli o grandi della vita. Le associazioni nazionali che lo praticano ed insegnano sono difatti molto attente a questi aspetti; l’associazione dei Milan Monkeys e della loro palestra Total Natural Training, oggetto della nostra ricerca, perseguono infatti anche questa ambizione.
L’applicazione del Parkour alla vita quotidiana, e non solo all’ambito della palestra o dei momenti selezionati in cui si apprende o ci si allena, è particolarmente utile; è comprovato difatti che i tempi di spostamento diminuiscono sensibilmente, fattore non indifferente nel momento in cui ci si ritrova a vivere, come spesso accade per chi pratica questa disciplina oggi, nelle grandi città.
Oltre ad una facilitazione nell’analisi dello spazio circostante, il Parkour, nel momento in cui viene praticato da tempo e quindi assorbito nelle competenze del soggetto, cambia sensibilmente la cognizione dello spazio e del luogo del soggetto. Le sue mappe mentali saranno differenti a livello organizzativo rispetto a quelle di un non praticante e gli schemi con cui affronta le dinamiche spaziali saranno sempre soggette ad un’analisi, più o meno preponderante, dell’efficienza di movimento possibile e dell’area di spostamento agibile rispetto al luogo in cui è collocato.
L’apprendimento della pratica non per nulla deriva da una disciplina militare: richiede molta attenzione all’analisi dello spazio circostante, ma al contempo anche una grande capacità di analisi interiore; è solo grazie all’ascolto delle proprie sensazioni, dei propri sensi e dei propri limiti e possibilità che si può migliorare. Un semplice allenamento di tipo muscolare che non preveda anche un introspezione, sarebbe manchevole di una parte fondante della pratica del Parkour. Il potenziamento fisico è in ogni caso fondamentale e deve sempre accompagnarsi ad una prova pratica di percorsi; si può divenire tracciatori esperti solo nel momento in cui si esperisce, si prova, si fallisce e si riesce molteplici volte sul campo.
Come antropologi, le affinità che si possono cogliere rispetto alla disciplina non sono poche. È lo spazio della relazione che il soggetto attiva nei confronti con dello spazio in cui si trova a dare origine al movimento (del corpo, estrinseco) e alla consapevolezza (interna, del soggetto). Discipline simili costruiscono non poco il carattere dei soggetti e sono, a certi livelli, comparabili e tramutabili in filosofie di vita: gli ostacoli materiali si metaforizzano in quelli della vita e il rapporto di analisi, strategia, consapevolezza e fluidità si applica così dall’azione nello spazio all’azione nella vita.

Il tipo di osservazione che desideriamo perseguire quindi, come si è potuto leggere precedentemente, si focalizza primariamente sull’analisi del rapporto spazio/soggetto. Da questo vorremmo trarre degli spunti di ricerca verso: il movimento nel Parkour come unione attiva di questa dicotomia; l’arte dello spostamento e le sue finalità (Parkour e Free Running); la modificazione delle categorie mentali del soggetto conseguentemente all’apprendimento della disciplina; le modalità di insegnamento della pratica in questione.
Questa analisi sceglie di utilizzare il mezzo visuale in quanto ritenuto fondamentale per permettere ai fruitori di cogliere le suggestioni date da questa disciplina, che si struttura come essenzialmente visiva e visuale nei suoi modi, nei suoi intenti e nelle sue pratiche, sia di efficienza che estetiche.

Attraverso delle interviste ai soggetti che hanno aperto la più grande scuola di Parkour a Milano, i Milan Monkeys, desideriamo poter cogliere il punto di vista di chi pratica la disciplina ad alto livello, confrontando ciò che abbiamo potuto conoscere a livello teorico con la pratica dei soggetti, mettendo quindi anche alla prova la consapevolezza implicita ed esplicita delle asserzioni precedentemente descritte. Con delle brevi interviste agli allievi della scuola che i Milan Monkeys hanno creato, e con la visione della palestra Total Natural Training che utilizzano per i loro allenamenti indoor, desideriamo mostrare come si modifica il disciplinamento sia corporeo sia cognitivo nel corso del tempo e dei progressivi allenamenti, nonché le motivazioni che spingono i soggetti a compiere un percorso tanto particolare come quello dello svolgimento del Parkour.
A livello metodologico intendiamo conoscere anzitutto la palestra, che pare essere oltre che il fulcro dell’associazione, anche la prima forma concreta di avvicinamento alla disciplina in oggetto per chi la pratica per la prima volta. Successivamente vogliamo poter documentare l’azione su di un effettivo campo urbano andando così a coprire, come abbiamo delineato precedentemente, sia l’esperienza dell’allenamento sia quella della pratica sul campo urbano effettivo.
A livello registico la nostra ambizione è quella di poter far succedere sia il parlato che l’immagine, sicuramente più spettacolare ed evocativa di tante parole, di modo da offrire con la produzione del filmato un assaggio del particolare mondo del Parkour e delle suggestioni che ci ha fornito sotto forma di domande di ricerca.

Componenti del gruppo:
- Laura Floreani
- Melissa Fiameni

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