31 maggio 2011

post di Alfonso

Se si fosse chiamato Corso di Antropologia Visiva avrebbe avuto un altro significato ed altre finalità, il fatto , invece, che si sia chiamato Laboratorio di Antropologia Visiva rende chiaramente l’idea di aver partecipato in gruppo ad una serie di sperimentazioni sia teoriche che pratiche, vivificando l’immagine di un laboratorio “come luogo di ricerche”.
Il laboratorio che ho avuto modo di frequentare durante l’anno accademico 2010/2011, si colloca come una ramificazione della “strada principale” che è la disciplina antropologica, la quale dispone di un bagaglio storico da cui attingere strumenti per la lettura interpretativa della contemporaneità. Aggiungere il suffisso “visiva” a questa disciplina, comporta una doverosa riflessione metodologica ed epistemologica della stessa; l’introduzione di strumenti audio-visivi all’interno della ricerca antropologica costituisce una sorta di effetto “riflessivo” attraverso cui l’antropologia interroga, o sarebbe meglio dire, re-interroga sé stessa.
Francis Affergan affermava l’esigenza di concepire l’antropologia come un “sapere dello sguardo, anziché lo studio dell’oggetto”, credo sia una citazione quanto mai idonea per un laboratorio che aveva tra le sue finalità quella di riflettere, attraverso i mezzi audio-visivi, sulla rappresentazione dell’altro attraverso la sua strumentazione tecnica, ovvero, attraverso una sguardo mediato.
Sappiamo come negli ultimi decenni la disciplina abbia a lungo riflettuto sulla rappresentazione testuale dell’alterità, di come sia nata l’esigenza di mostrare, ma più ancora, di dimostrare la dialogicità e la polifonia nella costruzione di una visione dell’altro. Ebbene, l’antropologia visiva forse rivendica queste caratteristiche come qualcosa che gli appartiene in modo intrinseco, nel senso che la fruizione di una ricerca audio-visiva meglio si presta, grazie alle caratteristiche tecniche, a mostrare l’aspetto del dialogo e dell’interazione tra gli attori sociali in campo.
Tuttavia, per tutta una serie di discorsi e di riflessioni che sono nate durante gli incontri, credo, secondo un’opinione del tutto personale, che l’esperienza del progetto di Paul e Mike e l’interessantissima discussione sul “se e come mostrare” in video il ricercatore, offra un ottimo spunto per pensare alla disciplina audio visiva anche in altri termini. Sarebbe troppo semplicistico ridurre la rappresentazione audio-visiva alla stregua di quella testuale, ricalcando l’esigenza di voler mostrare come la ricerca sia stata effettuata, penso alle interviste ad esempio; il fatto di avere altri strumenti in mano, anziché una penna e un libro, esige una riflessione metodologica molto diversa. Con questo intendo dire seguendo Baresi, filmaker che ci ha accompagnato durante questo laboratorio, che non possiamo fare a meno di tralasciare il puro aspetto estetico che appartiene ad una rappresentazione audio-visiva. Una constatazione doverosa, che del resto appartiene all’ambito cinematografico fin dagli albori, è quella per cui già il decidere DOVE e COME volgere l’obiettivo della cinepresa rappresenta una scelta metodologica ma allo stesso tempo epistemologica di non indifferente portata, laddove abbiamo poi come finalità la rappresentazione dell’altro in quanto soggetto umano e per tale motivo ben visibile.
La riflessione, a questo punto, si sposta sul come far convivere l’esigenza estetica dello strumento in uso (audio e video), con i contenuti teorici e metodologici della tradizione antropologica.
Sembra, soprattutto dopo l’ultimo incontro, che il nocciolo della riflessione sia stato proprio questo, il vantaggio è che non si tratta di semplice speculazione, bensì di costruttivi scambi d’opinione e di vedute frutto di un concreto lavoro di campo, ovvero quello che ha avuto come protagonisti Paul e Mike e come co- protagonisti (perché sollecitati alla riflessione e all’auto riflessione) noi studenti.
Così come nella stesura di un libro l’ultima parola ce l’ha sempre lo scrittore, ovvero l’antropologo/ricercatore, carico di un aura di necessaria autorità, anche nel prodotto filmico finale l’ultima parola spetta al regista/ricercatore, il quale attraverso il sapiente uso dell’arte del montaggio, svolgerà l’opera di selezione necessaria dei filmati grezzi che ha a disposizione, col fine di rendere una rappresentazione visiva dell’altro che non potrà non essere una scelta oltre che soggettiva, anche infinitamente consapevole.
Diventa di vitale importanza una collaborazione multidisciplinare, nel nostro contesto ancor più che necessaria in quanto ha la possibilità di non fermarsi alla speculazione teorica, bensì di attestarne il lavoro attraverso il sempre fertile lavoro di campo. Con ciò inviterei, nei limiti del tempo e della disponibilità, a sperimentare attraverso il montaggio dei dati grezzi, entrambi i punti di vista emersi. Da una parte la propensione più specificatamente antropologica e dall’altra la non indifferente componente estetica indispensabile per un prodotto che verrà fruito attraverso lo sguardo, e che prima di esser sottoposto ad una critica intellettuale, deve per forza passare sotto l’autorità dello sguardo, il quale ha le sue necessità.

Aspetto con ansia di vedere il lavoro ultimato do Paul e Mike.
Buon lavoro!!

Alfonso R.

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