1 giugno 2011

Intervista a Tsuyoshi Orihashi (traduzione)

Nome: Tsuyoshi Orihashi
Età: 26
Cos’hai pensato quando sei venuto a conoscenza dello tsunami che ha colpito il Giappone, 2 mesi fa ?
Ero assetato di informazioni.
Mediante quale mezzo di comunicazione hai avuto notizie di questo evento ?
Internet. In special modo tramite telegiornali online. E poi, tramite social network ( twitter ).
Hai mai tentato di contattare i tuoi parenti in Giappone ai fini di una migliore comprensione dell’accaduto ? Cosa ti hanno riferito ?
Non ero preoccupato, dal momento che vivono molto lontano dall’area colpita. Sape vo che si trovavano al sicuro, e me l’hanno confermato. Anche loro stavano guardando il TG.
Nei giorni che seguirono la propagazione delle radiazioni, hai cercato di ipotizzare quali conseguenze questo evento avrebbe portato con sè ?
(risposta ?)
Eri preoccupato al riguardo ?
Si ero preoccupato per la salute della gente di Tohoku e per gli effetti a lungo termine legati alla propagazione radioattiva, nonostante le informazioni mediatiche avessero rassicurato che oltre una certa distanza dal centro colpito non ci sarebbe stato alcun pericolo. Ad essere sincero, preferisco sempre abbracciare una filosofia positiva : la preoccupazione ed il panico, in situazioni del genere, di certo non aiutano. E’ uno spreco di tempo. Soltanto le nostre azioni sono in grado di cambiare le cose.
Ero preoccupato soprattutto per i bambini, essendo la fascia più vulnerabile sottoposta alle radiazioni. Mi sono inoltre chiesto come si sarebbero comportate le persone che, dopo una vita trascorsa nelle località minacciate ora dall’incombenza radioattiva, avrebbero potuto essere definitivamente evacuate dalle loro case e costretti a trasferirsi altrove.
Pensi che vi siano delle differenze rilevanti sulle modalità di circolazione delle informazioni in Giappone e qui ( negli Stati Uniti) ?Che cosa ne hai dedotto ?
Certamente. La radio pubblica americana ha sempre proposto svariate prospettive riguardo l’accaduto, rendendo espliciti inoltre i diversi punti di vista dei professionisti coinvolti negli studi sul nucleare. Resero noti i valori necessari, all’interno della centrale di Fukushima, per abbassarne la temperatura. Il loro intento era quello di tracciare un immaginario collettivo della situazione, includendovi gli aspetti o previsioni positivi e negativi. Altre radio che ho avuto modo di ascoltare invece, non hanno fatto altrettanto. Hanno sollevato paure ( come al solito ) senza fornire alcun dettaglio che avrebbe dato vita ad una vasta gamma di aspettative e pareri.
Contrariamente, quasi tutti i media giapponesi si sono allineati con il governo, fornendo dunque un solo punto di vista e le medesime informazioni. Insomma, una magra ed innaturale campagna informativa, senza alcuna traccia di opinioni che differissero da quella professata dal governo. Che cosa aspettarsi dunque ?! Nessuno si è mai sbilanciato, improvvisando qualche teoria futuristica : i coraggiosi che si permisero di rendere pubblico il proprio punto di vista o quello altrui furono immediatamente licenziati dal loro lavoro giornalistico ( quasi si trattasse di un regime totalitaristico). Ma la gente è istruita, quasi tutti parlano almeno due lingue e fortunatamente possono attingere alle news straniere.
Pensi che le news di cui gli USA si sono fatti portavoce non corrispondano alla realtà ?
Può darsi. Diversamente dal Giappone, negli USA ci si è concentrati molto sulle diverse prospettive dell’accaduto, lasciando dunque molto spazio alle opinioni di esperti, senza avere però una visione completa delle circostanze. In questo modo risulta automatico modificare, seppure minimamente, le informazioni pervenuteci.
Un pensiero a tua scelta riguardo questo doppiamente tragico evento.
Hanno detto di prepararsi al peggio ed adottare le misure di precauzioni suggerite per cercare di ridurre le conseguenze. Il problema è che il governo giapponese, così come le aziende e università hanno supportato eccessivamente la potenza nucleare senza prevenirne in modo adeguato gli effetti ( dal momento che hanno sempre taciuto le evidenze compromettenti ed i rischi ad esso legati).
Ignorando i pareri di esperti e professionisti, non ascoltano che la loro stessa voce e si convincono che non possa accadere nulla di catastrofico. Quando però le cose si rivelano diverse dal previsto ed il destino li coglie impreparati, affermano timidamente « la situazione ci è sfuggita di mano ed ha superato le nostre aspettative » confermando le ipotesi di chi, tempo prima, non era stato preso in considerazione. Una mera soddisfazione.
Chiaro è che, mantenendo la soglia di tolleranza delle radiazioni superiore rispetto al necessario, l’impatto economico di questa catastrofe nucleare si riduce notevolmente, in linea con gli interessi del governo. « Non fa una piega ».
Quando la situazione si complica, si cerca sempre di rimediare ritornando al punto di partenza. Non saprei dire se il governo giapponese sia davvero disposto a fare un passo indietro.
Quanto detto a proposito del nucleare è più che sufficiente.
L’uso di twitter, in qualità di canale di informazione, è incrementato notevolmente con il verificarsi di tali eventi e sono sorte aree di discussioni e confronto altrettanto interessanti. I supporti grazie al web si sono moltiplicati a vista d’occhio ed è inoltre possibile contribuire economicamente al miglioramento delle condizioni di vita degli evacuati sempre via internet.
Nonostante risieda negli USA sono riuscito ad attingere alle informazioni più veritiere e neutre collegandomi a siti web di mia conoscenza, che trasmettono in modo chiaro e oggettivo notizie sull’accaduto. Un piccolo vantaggio per gli espatriati come me che ambiscono ad avere una visione completa di ciò che succede nel mondo ed in special modo nel proprio paese d’origine.
Qui a Los Angeles molta gente ha organizzato da sé eventi di beneficienza per raccogliere fondi da destinare alle vittime giapponesi. Un’ottima alternativa alla « preoccupazione casalinga ». Sicuramente questa sfida non ha fatto altro che rafforzare l’animo dei giapponesi e la voglia di rimboccarsi le maniche per ritornare alla normalità.
Questo è quanto mi viene in mente, per il momento.

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