31 dicembre 2012

Capitolo 4: Unfinished Dialogues: Notes toward an Alternative History of Art and Anthropology


In questo capitolo Arnd Schneider analizza il confine tra discipline come l’arte, l’antropologia e la storia dell’arte. Ci propone tre esempi di personificazione, travestimento e performance della fine del XIX secolo: l’interpretazione di Franz Boas della danza Kwakiutl Hamatsa nel 1895; la maschera Hemis kachina indossata da Aby Warburg tra gli Hopi nel 1896; l’interpretazione di Alfred Court Haddon di un mito delle isole dello Stretto di Torres.
Boas ha ricreato il rituale Hamatsa per l’America Museum of National History. Ha posato anche vestito da Eskimo. Ha voluto interpretare lui stesso due scene invece che fare gli schizzi oppure prendere dei veri attori al posto suo. Il risultato non è la copia di quello che sono le realtà dei due popoli studiati, ma di come Boas li ha visti.
Lo storico Aby Warburg ha descritto il rituale del serpente degli Hopi e ha posato per un fotografo con una maschera Hemis Kachina. E’ stato criticato per questa foto in quanto la maschera non fu indossata in modo corretto. Questo gesto testimonia, secondo Freedberg, che Warburg non ha capito il vero senso del rituale. Con la maschera indossata correttamente avrebbe visto con occhi diversi la danza. Altri però si chiedono se Warburg non avesse spostato la maschera solo per la foto. L’esempio dimostra come la foto riproduce fedelmente un momento, ma non ci dà spiegazioni sul perché il quel particolare momento il protagonista si comporta in un modo o nell’altro.
L’ultimo esempio di Alfred Courd Haddon riguarda i suoi studi sulle isole dello Stretto di Torres. Il suo scritto è accompagnato da schizzi e brevi film che vedono attori del posto interpretare la morte dell’eroe locale Kwoiam.
I giornali Documents e Mexican Folkways sono due esempi di collaborazione tra l’antropologia e l’arte. Il primo fu pubblicato a Parigi nel 1929/30: tantissime pubblicazioni di artisti che consideravano l’arte dal punto di vista antropologico e antropologi che rielaboravano “artisticamente” soggetti antropologici ed etnologici. Anche in Germania e Austria, in quell’epoca, gli espressionisti visitavano i musei etnografici, ma non si arrivò mai a un vero abbattimento del confine tra le due discipline. La stessa cosa si può dire anche della Gran Bretagna, dove scambi transdisciplinari non erano frequenti.
Anche il giornale Mexican Folkways fu testimone della collaborazione tra l’arte, l’antropologia e la storia dell’arte negli anni 1920-1930. Fu pubblicato nella Città di Mexico da un americano, Frances Toor, laureato in antropologia presso l’Università di California. Gli autori furono spesso artisti, antropologi, scrittori che si dividevano tra gli Stati Uniti e Messico e i loro articoli riguardavano l’arte locale, l’arte creata per i turisti americani. Il giornale fu anche una sorta di pubblicità per il commercio di articoli prodotti per gli americani. Il Mexican Folkways era molto meno radicale, dal punto di vista formale e teorico, del Documents.
Maya Deren, una regista che studiò il movimento del corpo e la danza, è stata un esempio della collaborazione tra arte e antropologia. Nel 1946 ottenne una borsa di studio Guggenheim con l’aiuto di Gregory Bateson e usò i soldi per compiere un viaggio a Haiti per studiare sul campo la cultura Vodun e i suoi riti. Raccolse numerose ore di materiale filmato sui riti locali e in particolare quelli legati alle performance di possessione. L'interesse per il Vodun fu così grande che si trasformò infine in una vera e propria adesione ai principi spirituali di questa religione.
L’iniziale intenzione della Duren era di produrre un film documentario sui riti Vodun ma dopo aver provato personalmente la possessione, decise che un libro era il modo migliore per testimoniare questa esperienza. L’esperienza della possessione consisteva nel sentire la presenza degli Dei che entravano in contatto con il posseduto. Essendo invisibili, questi Dei possono essere raccontati da chi ha sentito la loro presenza, ma non visti dagli spettatori. Questo è un esempio dove il film come mezzo visivo non può essere utilizzato.
Per molto tempo l’antropologia dell’arte faceva distinzione tra l’arte occidentale, quella che ha fatto la storia dell’arte, e l’arte non-occidentale, quella dei primitivi, dei popoli esotici. Il primo che ha preso seriamente in considerazione l’arte africana è stato Carl Einstein nel 1915. Ha riconosciuto il valore artistico dell’arte sub-Sahariana e la sua importanza per artisti “moderni” come Picasso e Braque.
L’antropologia dell’arte del XX secolo cerca di mantenere una divisione tra l’arte occidentale e non-occidentale per studiare meglio quest’ultima e l’influenza che gli Europei hanno avuto su di essa.

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