12 febbraio 2013

"Cinema: a Visual Anthropology", Gordon Gray


Capitolo 3

In questo capitolo viene analizzata una sorta di storia della consapevolezza che lega indissolubilmente cinema e società, vedendo in linea generale come l’antropologia abbia influenzato il cinema e viceversa per la scoperta dei meccanismi culturali presenti nei film e che ne guidano la produzione e la distribuzione.
Chow (1995) parla di antropologia del cinema in riferimento allo studio del contesto socio-culturale in cui il film è prodotto. Il suo lavoro fu importante perché mise in luce ciò che molte teorie sul cinema non avevano considerato importante e cioè il contesto di produzione del film.
McLuhan osservando come l'orientamento dell'uomo fosse passato dal visivo (la stampa) al sonoro giunse all’elaborazione della teoria del modello tecnologico secondo cui il mezzo di comunicazione ha più impatto sul pubblico del messaggio. Questa idea può essere criticata in quanto il messaggio dell'opera può essere capito se analizzato assieme al mezzo ed il contesto.
I vari approcci al cinema nazionale sono sotto alcuni aspetti morbidi per altri duri: quelli morbidi sono la lingua, i finanziamenti, le rappresentazioni etniche nel film, quelli duri sono le teorie che formano la tradizione cinematografica locale, in contrasto a quella hollywoodiana. Il Neo Realismo italiano e la New Nave francese sono oggi sotto questi termini oggetto di discussione, con riferimenti agli esempi del terzo mondo in particolare per l’influenza che esercitarono sul cinema africano e latino americano.
Gli aspetti di produzione, distribuzione e presentazione sono stati un pò trascurati dalle varie teorie. Così come per molto tempo è stato trascurato il fatto che fosse il governo a controllare l’industria cinematografica in modo da monitorare il prodotto: uno dei modi più noti è quello della censura, che pone tasse per l'esportazione in modo da favorire la produzione locale. Il Regno Unito fu la prima potenza ad applicare questo modello sia in territorio nazionale che nelle colonie dove venivano censurati o vietati i film americani. Questo era un modo per rafforzare il sentimento di appartenenza alla Madre Patria nei popoli colonizzati che in questo modo non avevano nessun termine di paragone con altre forme di cinema. A partire dagli anni ‘20 il Regno Unito si concentrò su una produzione dei “quota quickies”, film di basso dispendio economico che rientravano in linea con le restrizioni governative, al fine di competere con Hollywood ottenendo addirittura in certi casi un successo strepitoso. Questa politica però non considerò le influenze internazionali del cinema portate in patria dagli emigrati ed esiliati. Il caso più importante fu Deepa Mehta che col suo “Fire” dell’anno 1996, ha contribuito a creare un cinema indiano, anche se in un primo momento il suo film venne bandito severamente in India per via dei contenuti omosessuali. La censura di questo film è stata causa di varie proteste.
Ancora un altro approccio che unisce cinema e società è stato quello de “Il terzo cinema" , una corrente cinematografica nata in Argentina nel 1969 da un’idea di Fernando Solanas e Octavio Getino. La riflessione degli autori partiva dal fatto che in quegli anni il cinema era visto esclusivamente come un bene di consumo che dipingeva le conseguenze di particolari processi sociali in maniera anti-storica ed ignorandone le cause. Il vero obiettivo del “terzo cinema” era quello di dare un messaggio rivoluzionario che rispecchiasse ciò che stava accadendo nei paesi del terzo mondo e in parte anche in Europa.
Solanas e Getino organizzano i loro film partendo da una forma di documentario che però non voleva limitarsi a descrivere i fatti, ma auspicava a diventare portavoce del cambiamento. I film del “terzo cinema” avevano, diversamente da quelli europei, un carattere collettivo piuttosto che un auto affermazione artistica. Questo anche perché i film venivano distribuiti in maniera clandestina perciò il pubblico era davvero un protagonista attivo della propaganda ideologica contenuta nel film.
Esistono tante varianti di film legati dalla situazione storico economica della nazione e che cercano di riaffermare l’unità di un popolo sotto la propria bandiera. Caso paradigmatico è quello del film “Atanarjuat” (2001), realizzato interamente in lingua inhuit. Fu premiato a Cannes per il suo importante contributo per l’affermazione davanti al mondo della cultura inhuit. Il film fu anche oggetto di ispirazione per registi australiani che nel 2001 girarono  “Ten Canoes” interamente in lingua aborigena.
A causa dell’interesse tardivo dimostrato dagli antropologi in temi quali lo svago e il tempo libero, il cinema è stato fatto da poco oggetto di indagine antropologica. Questo filone di studi attorno al cinema si interessa ai collegamenti tra un determinato film (o una corrente cinematografica) ed il suo contesto storico, volendo evidenziare che cosa sia culturalmente incorporato nel film e come i processi socio-culturali giochino un importante ruolo sul contesto di produzione.
Powdermaker fu una delle prime ad associare l'antropologia al cinema, in particolare si occupò di problematiche moderne quali il disinteresse dei media sulla capacità di controllo e sulla manipolazione della società, specialmente quella attorno ad Hollywood (2002). Nello specifico il suo discorso partiva da due punti: il fenomeno di Hollywood non è isolato ma è parte di un contesto più ampio; Hollywood è sia un industria che una forma d'arte. In quanto pioniera di questi studi, ebbe il merito di portare l’attenzione verso un media che canalizzava le aspettative della società fermandosi a capire come a sua volta potesse influenzare il prossimo.
Importante per la materia furono le riflessioni di Babb che a partire dal 1981, sviluppò i suoi discorsi attorno al rapporto tra fedele e divinità nell’Induismo: il fedele desidera sia vedere il dio che essere a sua volta visto dal dio, la capacità di vedere dio è indice di virtù. Il suo lavoro venne applicato al cinema facendo emergere due aspetti: il suggerimento colto dagli antropologi fu quello di analizzare i film collocandoli entro il loro contesto culturale e contemporaneamente venne notato che il contesto culturale era implicitamente contenuto all’interno del film. Babb non entrò nel dettaglio della narrativa del film, ne discusse soltanto il contenuto e le tecniche narrative come i climax, (l'uso dell'inquadratura che riflette la posizione soggettiva del pubblico) e i primi piani che erano un ulteriore specchio per individuare le pratiche culturali di un popolo. 
Ciò che l’antropologia ha contribuito a svelare nell’analisi cinematografica è che un film qualsiasi non può veramente essere slegato dal suo contesto. A tal proposito l’antropologia del cinema invita gli spettatori a chiedersi sempre che tipo di film hanno davanti e quindi da quale tipo di situazione storico-sociale venga fuori. A tal proposito molti critici si chiedono se abbia senso analizzare i film provenienti dal mercato non occidentale con le stesse categorie usate per le industrie euro-americane. Per fare un esempio è ovvio che la prospettiva di scambio dio-fedele del film “Jai Santoshi Maa” (1975) non può venire compresa appieno all’interno del contesto occidentale.
Altro errore che spesso i critici occidentali commettono è quello di sostenere di riuscire a capire appieno le dinamiche politiche e  rivoluzionarie che emergono dalle industrie del così detto terzo mondo. A loro si rivolge Chow quando invita verso lo studio dell’antropologia che perlomeno aiuta a comprendere le basi di un dato movimento una volta collocato nel suo contesto culturale appropriato.

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