24 maggio 2013

La decodificazione visiva nella ricerca antropologica


FOTOGRAFIE PER LA RICERCA:
IL METODO DELA DECODIFICAZIONE VISIVA
NELLA RICERCA ANTROPOLOGICA


La mia riflessione verte sul metodo di decodificazione visiva e sulla caratteristica della multivocalità o polisemicità propria dei segni visivi, concetti ai quali la Pennacini dedica un capitolo del suo saggio Filmare le culture (2005) (cap 2: La fotografia antropologica e la nascita della ricerca etnovisiva; par. 2.7: Interpretazione, elicitazione e restituzione). La studiosa, illustrando la tecnica dell’elicitazione basata sulla fotografia o sul cinema, mostra come per mezzo di essa si possa realizzare il concetto geertziano di circolo ermeneutico caratteristico dell’antropologia interpretativa, che permette di avvicinare gli sguardi culturali in un dialogo fatto di negoziazioni e scambi di soggettività interpretative. La lettura delle pagine dedicate a questo argomento mi ha permesso di entrare in relazione con un saggio di Anzoise e Mutti. Il saggio, dal titolo Guerra e trasformazioni socio-territoriali. Una ricerca audiovisuale sulla città di Mostar (2006),  approfondisce il tema del metodo di ricerca sociovisuale in situazioni post-belliche. Credo che si possa stabilire un dialogo tra i due testi, rappresentanti l’uno l’aspetto teorico, l’altro un interessante esempio di applicazione sul campo.
La ricerca prende il via da Mostar, città capitale dell’Erzegovina e città-simbolo della devastazione umana, sociale, culturale e urbanistica provocata dalla guerra scoppiata nel 1992. La disintegrazione urbana di questa città, così come di molte altre nella ex-Jugoslavia, fu tale da ispirare il celebre architetto, nonché ex sindaco di Belgrado, Bogdan Bogdanovic nella coniazione del termine “urbicidio”. Nel 2004, durante un viaggio a Mostar dei due autori e ricercatori, l’impatto visivo che la città ebbe su di loro fu così forte da spingerli a raccogliere immagini e fotografie di alcuni luoghi al fine di poter condurre una ricerca comparata di essi e del sotteso tessuto sociale prima e dopo la guerra.
L’idea di fondo che ha sostenuto il lavoro di ricerca era quella che si potesse indagare il cambiamento socio-terrotoriale della città attraverso dei segni visibili, in quanto segni mediante i quali una società si rappresenta. Inoltre, l’interpretazione che gli abitanti avrebbero dato a questi segni e simboli, avrebbe permesso ai ricercatori di esplorare e costruire le loro mappe mentali, il loro sguardo sul mondo.
Il lavoro sul campo si è servito di strumenti diversi: le esplorazioni video, la fotografia e la rifotografia, l’intervista con foto-stimolo. Il carattere della ricerca, come si potrà a questo punto intuire, non è stato meramente sociovisuale, ma anche etnografico e biografico.
La tecnica di elicitazione attraverso foto-stimolo ha permesso di raccogliere non solo storie di vita, ma ha anche consentito di mettere in atto un processo interattivo e collaborativo tra intervistatore e intervistato. La fotografia, infatti, o meglio la sua interpretazione, è influenzata dai vissuti soggettivi reciproci; il linguaggio non è solamente un veicolo di senso, ma anche un suo costruttore. Per questo si può affermare che una metodologia di questo tipo mette in atto quella negoziazione di significati a cui l’antropologia oggi aspira. Così utilizzata, la fotografia avvicina osservatore e osservato in una comunicazione e interazione che non è altro che uno scambio di visuali: il ricercatore può vedere le cose dal punto di vista del soggetto a cui rivolge la sua osservazione, dei suoi vissuti e, soprattutto, della sua visione (o meglio, percezione) del mondo.
La raccolta e l’analisi di racconti di vita, realizzata sia in forma scritta che orale, ha dato voce agli abitanti della città di Mostar, permettendo ai ricercatori di costruire mappe e chiavi di lettura dei fenomeni e dei mutamenti sociali percepiti dalla cittadinanza nella ricostruzione del paesaggio urbano devastato dalla guerra. La tecnica della rifotografia è stata fondamentale, in quanto ha introdotto la variabile tempo necessaria alla ricerca.
Le testimonianze hanno rivelato una relazione molto forte tra la trasformazione urbanistica dovuta alla ricostruzione e l’identità degli abitanti: l’interpretazione dei segni visibili (cioè dei luoghi) che i cittadini hanno costruito osservando e decodificando le immagini proposte, ha espresso i significati culturali, sociali e identitari da loro percepiti nella Mostar post-bellica. Il caso più sintomatico è stato lo sdegno e la rabbia mostrata nella lettura della rifotografia della chiesa ortodossa rasa al suolo dai croati e dai musulmani e non ancora ricostruita (“La chiesa deve essere come prima, uguale… come tutte le altre chiese e moschee che sono state ricostruite”).
Il lavoro di ricerca così condotto ha rivelato che la percezione dei cittadini (cioè la loro visione del mondo) non solo è stata una delle principali cause del conflitto, ma guida oggi le scelte operate nella ricostruzione fisica dell’impianto urbanistico della città e struttura le interazioni socio-identitarie che in essa si svolgono. Il processo del percepire e ridefinire visivamente l’ambiente in cui si vive, si svolge sempre in una dimensione sociale.
La guerra nella ex-Jugoslavia è l’emblema della guerra moderna che, travestita da conflitto etnico, mira deliberatamente alla smemorizzazione del paesaggio per colpire l’eredità culturale e identitaria della popolazione e la sua capacità di ricordare il passato. La ricerca sociovisuale di Anzoise e Mutti nella Mostar post-bellica rivela che i segni visibili di un paesaggio non sono mai neutrali, ma comunicano e veicolano messaggi politici e culturali, divenendo simboli polisemici.
Se l’aspirazione dell’antropologia è quella della creazione di uno spazio negoziale all’interno di un circolo ermeneutico che si nutre di reciprocità, incontro e dialogo, allora le metodologie e gli strumenti di tipo visivo sono quelli che oggi offrono maggiormente la possibilità ai ricercatori di realizzare i loro obiettivi, nella consapevolezza che indagini condotte seguendo un criterio settoriale debbano lasciare il posto ad una ricerca che divenga sempre più interdisciplinare e integrata.

 
BIBLIOGRAFIA

Pennacini C., Filmare le culture. Un’introduzione all’antropologia visuale, Carocci, Roma, 2005.

Anzoise V., Mutti C., Guerra e trasformazioni socio-territoriali. Una ricerca audiovisuale sulla città di Mostar, in Marina Calloni (a cura di), Violenza senza legge. Crimini di guerra nell’età globale, UTET Università, Torino, 2006.

 

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