7 maggio 2013

Trasformazione del paesaggio

Aggiorno Sara Bramani e i colleghi sulla mia ricerca dopo una lunga pausa.
Pausa dovuta  alla riflessione sull'opportunità di attendere la primavera (o il suo avvicinarsi) per fare riprese meno tetre, dato che molte di esse dovrebbero essere in mezzo alla natura! E anche per incorrere più facilmente nella possibilità di incontrare le persone di mio interesse in piena attività, e in modo comunitario. Mi spiego meglio. Oltre alla riflessione sul confine trasfigurato di Castano Primo, con l'esperienza visiva di mio papà al centro, pensavo di estendere lo sguardo ad una fetta importante (e limitrofa) del territorio, quella della via Gaggio: strada che attraversa un tratto vergine di brughiera minacciato dalla costruzione della terza pista di Malpensa.
Ritenendo che questo potrebbe rendere l'idea di che tipo di mutamento antropologico stia investendo il territorio e che possa ben esemplificarne la tipologia (la trafigurazione), ho pensato che sarebbe stato meglio, per incontrare gli attivisti e le comunità coinvolte, attendere la bella stagione, in cui di solito si organizzano passeggiate, incontri all'aria aperta, etc.
Infatti sono reduce da uno di questi primi appuntamenti primaverili, che, investito da un acquazzone, si è svolto per l'appunto al chiuso della ex cascina ristrutturata, oggi sede del comitato di via Gaggio..
Si è trattato di una biblioteca vivente: tavoli sistemati ad una certa distanza l'uno dall'altro per permettere ai lettori di ascoltare i libri, cioè alcune persone, con una storia da raccontare. Si consulta il catalogo, si sceglie il libro, ci si siede davanti e inizia la lettura.
Ho pensato fosse un modo per raccogliere storie dal territorio e per incontrare personaggi da condurre con me in passeggiata lungo la via Gaggio per illustrarmi la memoria del paesaggio e le sue trasformazioni. Non si trattava invece di persone legate al territorio così da vicino, e questa è stata una prima delusione. Invece poi "leggendo" tre signore che hanno organizzato una banca del tempo ho scoperto il primo degli stimoli interessanti della giornata. Le tre signore vengono da zone geografiche diverse (una è svedese) ma hanno sentito l'esigenza di radicarsi, di fare rete, di creare una realtà relazionale nuova. Benché cercassi strutture relazionali radicate nella storia rurale di questi luoghi, mi sono trovata di fronte a questa, che essendo un'esigenza, è molto reale. E mi ha aperto gli occhi alla seconda intuizione, discutendo con una delle organizzatrici della giornata e membro del comitato di via Gaggio. Mi ha parlato dell'impegno forte a rivitalizzare, a riaprire alle relazioni, alla comunità questa area di territorio. Un po' come ammettere che si riconosce un vuoto (dovuto alla fine dello stile di vita di sussistenza contadino in zona-che poi anche qui ci sarebbe da discutere) che si vuole riempire con una proposta nuova.
Allora mi è venuto in mente che è stata proprio la minaccia della costruzione della terza pista di Malpensa, quindi l'annullamento di questo tratto di natura originaria, a scatenare la creatività sociale di alcuni abitanti dei paesi limitrofi (sarebbe interessante poi indagare in che modo si sono aggregati, sfruttando quali reti di relazioni precedenti, fasce di età, livello di istruzione..cosa che a prima vista sembra molto eterogenea).
"Prima di questa minaccia, che cos'era questo posto?" "Niente."
C'era la cascina, la sua identità era agricola. Fino agli anni '80. Poi l'abbandono. Infine il recupero della memoria e la fondazione della cooperativa che rivalorizza i prodotti caseari e agricoli locali (del Parco del Ticino). Quali aspetti erano interessati a recuperare con la memoria, quali sono stati selezionati? Che tipo di lavoro di memoria è stato fatto?
Il posto, o come si sente più sanguignamente chiamare, "il territorio" (perché c'è della terra), grazie alla minaccia, si fa risorsa, per la comunità. Quale comunità? Quella locale, ma quale? Chi si sente attratto?
Via Gaggio e i territori affini e limitrofi son importanti (ipotizzo) perché rappresentano uno stendardo per dare un nome ad una lotta, una lotta nuova, apartitica che si gioca sulla scelta di uno "stile di sviluppo" (parole usate in una conferenza di pochi giorni fa dal presidente del comitato), in definitiva uno stile antropologico(=io voglio questa forma di vita).
Questo tipo di lotta ha bisogno di fissarsi sui luoghi, sui posti. Altrimenti sarebbe sfocato e inascoltato idealismo.
Spero di riuscire a far seguire qualche estratto delle mie riprese in breve tempo.
Buona giornata a tutti,
Alessandra

1 commento:

  1. aspettiamo le riprese!
    ho trovato molto interessante la descrizione dell'emergere di una coesione e, di costruzione dell'appartenenza (memoria, relazioni e luoghi) ex novo. un'immaginario attivato da una minaccia che cerca un modo per farsi territorio....
    a presto altre considerazioni un pò più approfnodite
    sara

    RispondiElimina