Spettacoli di danza per turisti a Mombasa: Masai
dance
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I masai sono da tempo al centro di
una grande attenzione che spazia dalla pubblicistica turistica al cinema, alla
letteratura, alla fotografia come testimoniano importanti riviste quali il National Geographic e Sports Illustrated (Kasfir
2002: 379). Questo interesse manifestato dai paesi occidentali ha influito
sulla percezione che i Masai hanno di se stessi, rafforzando un senso di
superiorità rispetto ai “moderni” e meno fotografati concittadini kenioti. Come
l’antropologia ha rilevato in numerosi casi etnografici, vedere la propria
cultura diventare oggetto dello sguardo dei turisti (e non solo) può
contribuire allo sviluppo della consapevolezza del valore della propria cultura
(Barberani 2006: 143). Nella breve intervista seguita allo spettacolo di un
gruppo di Masai provenienti dal Masai Mara presso il Voyager Beach Hotel a
Mombasa, uno dei danzatori ha affermato: “People try to modernize, to
westernize but our culture is so strong that it is very hard to change us” (le
persone cercano di modernizzarci, di occidentalizzarci, ma la nostra cultura è
così forte che è molto difficile cambiarci).
Queste dichiarazioni sembrano
evocare pubblicazioni di epoca coloniale come Through Masai Land (1885)
e The Last of the Masai (1901) (vedi post n. 3); in esse i Masai erano
descritti come primitivi di una bellezza aristocratica e selvaggia, la cui
cultura, con le sue tradizioni, i suoi costumi e le sue credenze, non era stata
contaminata dal contatto con la civilizzazione e con gli altri popoli Bantu.
In concomitanza allo sviluppo del settore turistico, lo stato postcoloniale iniziò a mercificare un certo patrimonio culturale fortemente basato su paradigmi coloniali. Nei discorsi e nelle rappresentazioni promosse dall'industria turistica nazionale e internazionale, i Maasai − con i loro corpi magri e slanciati, e il loro portamento nobile e fiero − sono emersi quale gruppo etnico rappresentativo del patrimonio culturale della nazione e forse anche dell’Africa in generale.
In concomitanza allo sviluppo del settore turistico, lo stato postcoloniale iniziò a mercificare un certo patrimonio culturale fortemente basato su paradigmi coloniali. Nei discorsi e nelle rappresentazioni promosse dall'industria turistica nazionale e internazionale, i Maasai − con i loro corpi magri e slanciati, e il loro portamento nobile e fiero − sono emersi quale gruppo etnico rappresentativo del patrimonio culturale della nazione e forse anche dell’Africa in generale.
Gli studi antropologici sul turismo
hanno mostrato come le rappresentazioni visuali e testuali mediano le relazioni
asimmetriche fra i turisti e le comunità ospitanti. Se da un alto tali
rappresentazioni riflettono le aspettative e il desiderio di autenticità
culturale dei turisti, dall’altro, esse costituiscono degli emblemi attraverso
cui i locali posso commercializzare la propria cultura (Meiu 2011).
Nell’intervista uno dei danzatori ha descritto l’attività del danzare per i
turisti come un modo per incontrare le loro aspettative e trarne un guadagno
economico: “This is just to make tourists happy and also to make money”.
Durante lo spettacolo organizzato
per il Voyager Beach Hotel, il gruppo di danzatori Masai ha presentato quattro
diverse danze: la Wedding Dance, eseguita in occasione di matrimoni, la Victory
Dance, che celebra l’uccisione di un leone (ora non più praticata a causa
del divieto di caccia di animali selvatici), la Welcoming Dance, eseguita
per dare il benvenuto a persone in visita, e infine la Jumping Competition dove
i giovani di un villaggio gareggiano di fronte a un pubblico composto da
ragazze, per stabilire chi salta più in alto e conquistare così il bacio di una
delle giovani. Come sottolineato dai danzatori, queste danze eseguite per i
turisti sono uguali a quelle eseguite nei villaggi di provenienza, ad eccezione
per la durata che qui, nel contesto turistico, è soggetta alle esigenze dello
spettacolo. Certamente le danze per i turisti non hanno lo stesso significato
di quelle rituali, non hanno cioè una funzione coesiva per i membri della
comunità, ma rappresentano un’occasione per allenarsi e per trarre un vantaggio
economico dalle possibilità offerte dall’industria turistica. Il fatto che le
danze siano spesso connesse a una dimensione rituale, però, non significa che
siano limitate ad essa: la Welcoming Dance ne è un esempio. Nel caso
delle esibizioni per turisti, è l’aspetto del festeggiamento e dell’incontro a
prevalere, sebbene con una differenza sostanziale: la spontaneità del gesto.
Infatti, un conto è danzare per divertirsi, un conto è danzare per far
divertire (Aime 2005: 122).
Qui è il turista a essere al centro
dell’attenzione. Alla fine dello spettacolo i danzatori si avvicinano ai
turisti intenti a sorseggiare il proprio drink o a scattare fotografie e li
prendono per mano invitandoli a danzare con loro. I guerrieri Masai non fanno
più paura, sorridono ai turisti e li accolgono facendoli sentire i benvenuti a
dispetto di tutte le disparità. L'incontro fra turisti e locali rimane invischiato nei retaggi dei vecchi schemi coloniali per cui i secondi sono considerati tradizionalmente "accoglienti" e i primi necessariamente "re" (Barberani 2006: 48)
Si potrebbe riassumere affermando
che le danze prese in considerazione rimangono invariate nella forma ma non nel
movente.
Marco Aime fa una distinzione fra
danze prodotte per autoconsumo e riprodotte per i turisti e rappresentazioni
prodotte appositamente per i turisti: rientrano nel secondo caso le danze
organizzate da tour operator negli alberghi che conservano un legame puramente
formale con la tradizione locale. In questo secondo caso, spiega Aime, i locali
non riescono “a mantenere il controllo della situazione e a gestirla, senza
finire cooptati da agenti esterni che li esautorano dal ruolo di produttori di
cultura per ridurli a semplici esecutori di cliché predeterminati” (Aime 2005:
132).
Nel caso del Voyager, è l’albergo e,
per estensione, il turismo internazionale, il vero produttore dello spettacolo,
mentre i Masai sono regalati a un ruolo secondario: quello di Masai che mettono
in scena i Masai per incontrare le aspettative dei turisti, desiderosi di
vedere i celebri guerrieri così come li avevano conosciuti attraverso film,
cartoline, libri e brochure turistiche. Ironicamente nello stesso albergo ho
incontrato Masai vestiti all’occidentale che lavorano come guardie al cancello
d’entrata e Masai che, durante gli spettacoli serali, vestono i panni del
guerriero indossando tuniche rosse e sandali, adornandosi con collane e
bracciali colorati e reggendo scudi e bastoni.
Come ha messo in evidenza Bruner
(Bruner 2001) in uno studio sugli spettacoli turistici messi in scena dai Masai
in diversi contesti, se essi si comportano in accordo con una generalizzata
rappresentazione occidentale di loro stessi, allora è legittimo domandarsi “per
quanto ancora i Masai continueranno a compartimentare se stessi e a separare la
vita dalla performance?” (Bruner 2001: 897).
Riferimenti bibliografici:
Aime Marco,
L' incontro mancato. Turisti, nativi, immagini, Torino,
Bollati-Boringhieri, 2005
Barberani Silvia, Antropolgia e turismo, Milano, Guerini Scientifica, 2006
Barberani Silvia, Antropolgia e turismo, Milano, Guerini Scientifica, 2006
Bruner Edward. M., “The Masaai and the Lion King:
Authenticity, Nationalism, and Globalization in African Tourism”, American
Ethnologist, vol. 28, n. 4 (Nov. 2001), pp. 881-908
Kafir S. L., “Slam-Dunking and the Last Noble Savage”,
Visual Anthropology, vol. 15, n. 3-4 (2002), pp. 369-385
Meiu G. P., “’Mombasa
Morans’: Embodiment, Sexual Morality, and SumburuMen in Kenya”, Canadian Journal of African Studies, vol.
43, n. 1 (2011), pp. 105-128
Meiu G.P., “On
Difference, Desire and the Aesthetics of the Unexpected: The White Maasai in Kenyan Tourism”, in Skinner J. e
Theodossopoulos D., Great Expectations.
Immagination and Anticipation on Tourism, New York – Oxford, Berghahn
Books, 2011, pp. 96-113
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