Ciao a tutti!
La mia attenzione
si dedica all’importanza del rapporto tra ambiente e uomo, inteso in modo
reciproco per cui l’ambiente è caratterizzante dell’uomo e viceversa, l’uomo,
per poter sopravvivere deve evolversi con i mezzi che ha a disposizione e
interessarsi alla salvaguardia e conservazione del primo. Nel territorio si
esplica la personalità di un popolo e ciò che lo rende tipico, nell’evoluzione
costante che l’azione umana determina.
Partendo da un’analisi geografica intendo focalizzare il mio interesse sull’uomo che abitando un luogo si identifica con esso.
Intendo analizzare il popolo di Aritzo, un paesino nell'entroterra della mia Regione, la Sardegna. Questo popolo s'eppure abbia vissuto in un luogo non particolarmente accessibile e semplice da gestire, l'ha sfruttato verso un totale utilizzo e valorizzazione dei suoi prodotti.
Nella ricerca, sviluppo una descrizione geografico-climatica che ne evidenzia il posizionamento impervio; i suoi prodotti e le tecniche sviluppate per il loro sfruttamento concludendo come gli aritzesi siano caratterizzati da un alto senso di adattamento e capacità manuali impedendo che rimanessero isolati nell'isola, ma divenendo addirittura uno dei popoli più conosciuti in quanto hanno sviluppato tecniche commerciali che dall’antichità hanno soddisfatto i bisogni dell'isola da nord a sud durante tutto l'anno. Tali capacità le presento con un video girato ad Aritzo durante la “Sagra delle nocciole e delle castagne”, un evento annuale che ha lo scopo di ricordare questa maestria e la continuità dello sviluppo di nuovi modi, adattati alla modernità, di sfruttamento del territorio.
Partendo da un’analisi geografica intendo focalizzare il mio interesse sull’uomo che abitando un luogo si identifica con esso.
Intendo analizzare il popolo di Aritzo, un paesino nell'entroterra della mia Regione, la Sardegna. Questo popolo s'eppure abbia vissuto in un luogo non particolarmente accessibile e semplice da gestire, l'ha sfruttato verso un totale utilizzo e valorizzazione dei suoi prodotti.
Nella ricerca, sviluppo una descrizione geografico-climatica che ne evidenzia il posizionamento impervio; i suoi prodotti e le tecniche sviluppate per il loro sfruttamento concludendo come gli aritzesi siano caratterizzati da un alto senso di adattamento e capacità manuali impedendo che rimanessero isolati nell'isola, ma divenendo addirittura uno dei popoli più conosciuti in quanto hanno sviluppato tecniche commerciali che dall’antichità hanno soddisfatto i bisogni dell'isola da nord a sud durante tutto l'anno. Tali capacità le presento con un video girato ad Aritzo durante la “Sagra delle nocciole e delle castagne”, un evento annuale che ha lo scopo di ricordare questa maestria e la continuità dello sviluppo di nuovi modi, adattati alla modernità, di sfruttamento del territorio.
Di seguito
l’analisi del territorio, dei prodotti e delle tecniche.
DESCRIZIONE GEOGRAFICA DELLA
BARBAGIA DI BELVI' E ARITZO
1 Posizione,
morfologia, vegetazione e clima.
Il paese di Aritzo è situato nella zona
più interna della Sardegna, caratterizzata dal massiccio scistoso del
Gennargentu. Fin dai tempi antichi veniva nominata la sua difficile
percorribilità per cui, in epoca romana, le fu attribuita la denominazione di
“Barbaria”, che comprendeva concetti di carattere morfologico e soprattutto un
riferimento all'aspra resistenza che le popolazioni indigene opponevano alla
civilizzazione dei dominatori; questi popoli venivano chiamati barbari, termine
coniato nell'epoca classica per coloro che non avevano una cultura di stampo
romano. La Barbagia è divisa in quattro sub-regioni (Ollollai, Belvì, Seulo,
Mandrolisai), in conseguenza di una partizione effettuata nell'epoca
dell'impero latino, ma sopratutto in relazione ai caratteri naturali di cui
ognuna è gelosa.
La Barbagia di Belvì, che qui interessa, è arroccata tra le pendici della catena montuosa più elevata, quella del Gennargentu, le cui vette superano i 1500 m s.l.m. (Punta La Marmora 1834 m s.l.m.). La contrada è caratterizzata da cime ineguali che si elevano e distendono in ogni direzione: i monti s'innalzano sui monti, le valli succedono ad altre valli e tutta questa rete s'annoda sempre più in alto verso il massiccio del Gennargentu. Tutto il territorio è dunque difeso e sollevato dai suoi monti, le cui gole secondarie, parallele a quella principale del Gennargentu, s'intersecano abbracciandolo e chiudendolo in un semicerchio, per poi finire nella vallata del Flumendosa o abbassandosi in monticelli e colline, con acque che confluiscono nella valle di Belvì. Questa massiccio, rappresenta la zona in cui si trovano le maggiori elevazioni costituite da scisti, spesso iniettati da porfidi e porfiriti, da cui deriva la famosa denominazione di “Porta d'Argento”. La Barbagia di Belvì, caratterizzata da boschi e castagneti alternati a vasti pascoli permanenti, confina a nord con la Barbagia di Ollollai, che si estende sino al Nuorese ed è prevalentemente granitica, ad ovest con quella del Mandrolisai che degrada verso la valle del Tirso e a sud da quella di Seulo che occupa le pendici meridionali del Gennargentu, con un paesaggio assai vario per la presenza di calcari mesozoici e del Flumendosa.
La Barbagia di Belvì, che qui interessa, è arroccata tra le pendici della catena montuosa più elevata, quella del Gennargentu, le cui vette superano i 1500 m s.l.m. (Punta La Marmora 1834 m s.l.m.). La contrada è caratterizzata da cime ineguali che si elevano e distendono in ogni direzione: i monti s'innalzano sui monti, le valli succedono ad altre valli e tutta questa rete s'annoda sempre più in alto verso il massiccio del Gennargentu. Tutto il territorio è dunque difeso e sollevato dai suoi monti, le cui gole secondarie, parallele a quella principale del Gennargentu, s'intersecano abbracciandolo e chiudendolo in un semicerchio, per poi finire nella vallata del Flumendosa o abbassandosi in monticelli e colline, con acque che confluiscono nella valle di Belvì. Questa massiccio, rappresenta la zona in cui si trovano le maggiori elevazioni costituite da scisti, spesso iniettati da porfidi e porfiriti, da cui deriva la famosa denominazione di “Porta d'Argento”. La Barbagia di Belvì, caratterizzata da boschi e castagneti alternati a vasti pascoli permanenti, confina a nord con la Barbagia di Ollollai, che si estende sino al Nuorese ed è prevalentemente granitica, ad ovest con quella del Mandrolisai che degrada verso la valle del Tirso e a sud da quella di Seulo che occupa le pendici meridionali del Gennargentu, con un paesaggio assai vario per la presenza di calcari mesozoici e del Flumendosa.
Cartina della Sardegna Giudicale, in evidenza:
Barbagia di Belvì. Fonte: http://www.wikipedia.org
Oltre che geograficamente, la Barbagia va considerata nel suo complesso. I caratteri geografici, economici e antropici, comuni a queste sub-regioni, la diversificano conferendole un carattere a se stante e differenziandola da tutte le altre regioni Sarde.
La particolarità di questo territorio[1], con riferimento a tutte le specie che vi vivono allo stato spontaneo e che derivano dall'azione simultanea di fattori quali clima, assestamento geologico, glaciazioni ed isolamento geografico, ha determinato un'elevata diversificazione della sua flora caratterizzata da una selva sempreverde mediterranea, radicata su terreni ubicati ad altitudini varianti tra i 700 ed i 1200 m s.l.m.. E’ opportuno nominare nel caso le essenze che trovano nel leccio la componente principale: la roverella, il sughero, gli agrifogli, gli aceri, i ginepri, i castagni e i noccioleti. Le foreste si estendono fino a fondo valle dove si arrestano tra sorgenti e canaloni di cui il territorio è molto ricco. In alcuni punti è possibile ammirare persino una pianta rarissima quale il tasso.
Lungo i sentieri che dal centro portano alle campagne è possibile trovare ginestre, ciliegi, biancospini, zafferano, pungitopo, rosa canina; mentre intorno ad orti e frutteti crescono arbusti tipici della macchia meditterranea. Nei pascoli esplode il giallo della genziana ed il rosso della peonia, mentre è molto diffusa in tutto il territorio una vasta gamma di orchidee. Infine, inoltrandosi nelle zone più vicine ai corsi d'acqua, vegetano l'ontano nero, i salici e le tamerici.
Quest'eterogeneità vegetale si rispecchia anche nella diversificazione faunistica, di cui và obbligatoriamente citata la presenza del muflone, del ghiro e della donnola, senza tralasciare la particolare avifauna con la pernice, l'aquila reale, il tuffetto, la civetta, il barbagianni, l'astore, il cuculo ed il picchio. Queste caratteristiche fanno della vallata aritzese un luogo di unica bellezza.
Arrivando da sud, precisamente dal capoluogo cagliaritano, fa da porta al paese di Aritzo un monumento naturale calcareo chiamato “tacco”, “sedile”[2]o “tavola” che con i suoi 1000 m s.l.m., è compreso all'interno del parco del Texile, inserito già dal 1993 fra i monumenti naturali protetti. Secondo il Paulis, “texile” equivarrebbe a terzile, termine barbaricino di origine preromana che indica un cucuzzolo isolato. Esso rappresenta un po' l'emblema di Aritzo erigendosi solitario al suo ingresso, quasi come fosse una sentinella[3]. Il blocco calcareo presenta numerose spaccature verticali entro cui si è radicata una vegetazione rigogliosa compattandone la struttura e rallentandone la naturale erosione.
Le stagioni si caratterizzano prima di tutto per le differenze climatiche e naturali, ma anche per la flora, la fauna e le diverse attività che vengono svolte dalla popolazione.
La primavera è il periodo più rigoglioso, in cui vi è una vera e propria esplosione di vita e colori.
L'estate è la stagione di massima fruizione turistica per gli amanti della montagna, dove sono stati eretti i rifugi, detti cuilis, che gli escursionisti possono utilizzare durante le gite. Il clima è asciutto, contraddistinto da temperature fresche e brevi piogge in montagna che alimentano le sorgenti perenni della zona.
L'autunno vede temperature più basse e dona i frutti degli alberi rappresentando, insieme alla stagione invernale, il periodo più proficuo per le attività economiche. E' in questo ambiente eterogeneo e particolare che si contraddistingue un popolo che porta avanti la propria cultura, quella del “Popolo di montagna”, caratterizzato da una componente localistica e folcloristica che resiste ai dettami della modernità.
Gli aritzesi, conosciuti in tutta la Sardegna, sono i primi ad aver posto le basi per un'economia turistica che verte tutta intorno alla propria terra. Infatti, il centro, fin dall'antichità è ricordato per la sua propensione al turismo ed il La Marmora ci dice come fosse il primo dove si poteva trovare un ostello in cui pernottare e che perciò fosse un punto di rifermento per i viaggiatori[4].
[1]
Ambienti disparati: rupicoli, di ripa, collinari, di media ed alta montagna,
praterie montane ecc...
[2] De La
Marmora dando un significato filologico al nome lo chiama Sedile in analogia con la sua forma.
[3] S.
PIRISINU, Aritzo storia ed immagini di un
paese della Barbagia, Sassari, 2008.
[4] A. LA
MARMORA, Itinerario dell'Isola di
Sardegna, Cagliari, 1971.
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