24 novembre 2011

11/11/11 - Gruppo 1: Resoconto Interviste di Alice, Arianna, Claudia

Le interviste di questa giornata hanno avuto come target i negozianti italiani rimasti nella via Padova. Dopo esserci recate alla bocciofila del circolo Caccialanza e ottenuto una informale chiacchierata col signor B, la nostra attenzione si è infatti concentrata sulla ricerca dei possibili interlocutori individuandoli nelle persone del signor G (macellaio) e del signor E (produttore di cappelli). Il nostro metodo è stato appositamente quello di impostare un colloquio di tipo informale (con utilizzo di carta-matita per gli appunti e di registrazione audio) da cui abbiamo ricavato spunti interessanti da poter approfondire nelle prossime interviste col supporto dei mezzi audiovisivi.

Signor B - bocciofila circolo Caccialanza

La bocciofila è un circolo privato dei soci frequentato regolarmente da italiani e solo occasionalmente da persone immigrate che si recano al bar.

La memoria della via emerge fin da subito nelle parole dell’intervistato: “Una volta a Milano c’erano i rioni ed era un paese “governato” dalle figure del prete, del sindaco e del maresciallo dei carabinieri: anche via Padova era costituita più o meno in questo modo”. L’immigrazione sulla via è iniziata circa un ventennio fa e “se andiamo avanti così comanderanno loro”; i negozi italiani sono quasi tutti scomparsi e sostituiti da cinesi nonché sudamericani ed egiziani (il signor B fa riferimenti anche alla compravendita dei beni immobili da parte dei cinesi).

Le provenienze delle persone immigrate in generale (non necessariamente proprietari di negozi) sono le più disparate: Sud America, Maghreb, Filippine, Romania, Giappone, anche se emergono opinioni discordanti (nelle tre interviste effettuate) sulla percentuale più o meno alta dei cinesi nella zona (essi sembrano essere molto più presenti in via Paolo Sarpi).

Dall'intervista del signor B emerge che, a suo parere, non può esserci integrazione tra italiani e stranieri. La zona che addirittura i carabinieri evitavano (testuali parole del signor B) fino a poco tempo fa è quella di via Arquà: fino a due anni fa giravano nella via i carabinieri accompagnati dall'esercito. Nel settore commerciale il cambiamento sembra essere dovuto non tanto alla presenza di immigrati, quanto alla situazione economica che inizia a pesare per il lavoro in calo…

Signor G - macelleria

Il signor G. racconta che da Loreto fino a Crescenzago c’era “la bellezza di centoventi negozi italiani” fino a circa quindici anni or sono. Ci spiega che il motivo per cui tanti italiani hanno ceduto i loro negozi di macelleria potrebbe essere ricondotto in primo luogo a fattori quali la mancanza di passione verso questo tipo di attività ed ai sacrificanti orari di lavoro che un negozio del genere richiede: “io inizio alle 7 del mattino e finisco alle 11 la sera: dopo la chiusura non si finisce di lavorare poiché c’è da fare la pulizia, sistemare la carne, riordinare il banco.”

Il signor G ha un negozio di macelleria in via Padova dal 1963: nato in brianza da genitori macellai, da generazione di macellai, ha imparato il mestiere anche facendo pratica in Francia e successivamente nella zona di Usmate. Ci racconta di aver iniziato come garzone con il compito di pulire il negozio: solo dopo sei mesi “quando ho imparato a pulire, mi hanno messo in mano il coltello”. Il signor G. pare voler farci capire come sia stato impegnativo imparare il mestiere, non solo facendo riferimenti alla sua “gavetta” ma anche mostrandoci i vari diplomi e premi da lui ottenuti (ha studiato anche un po’ di veterinaria).

Afferma di avere una buona clientela: da una parte quella italiana “delle nonne di una certa età che saranno 40-50 anni che le servo” e dall’altra, negli ultimi anni, quella immigrata composta da peruviani, ecuadoregni, cileni, colombiani, boliviani, filippini, magrebini, salvadoregni, rumeni e giapponesi. Alcuni di questi clienti hanno voluto ringraziare e lasciare un loro ricordo al signor G donandogli piccoli pensieri dal loro paese di provenienza che sono stati da lui esposti in negozio.

Il nostro intervistato sostiene che la sua clientela immigrata si sia formata anche per il fatto di essere stato fin da subito disponibile: “i primi anni che hanno cominciato a venire qua, son venuti da me perché se avevano bisogno qualche piacere glielo facevo, se avevano bisogno una via gliela dicevo, se potevo mandare a lavorare una persona la mandavo, e allora hanno cominciato da una voce all’altra, da una voce all’altra e insomma…mi vogliono bene, ecco!”.

In generale emerge un buon rapporto con le persone immigrate “che siano educate e all’altezza di capire certe cose” anche se non ne mancano altre che “si ubriacano o non rispettano la legge italiana” ma, continua il signor G, non è possibile fare una stima precisa, una percentuale completa.

Parlando ancora della sua attività, il signor G imposta un confronto fra le macellerie di una volta e quelle di adesso: “io vendo un po’ di salumi e tutto il resto di macelleria; non è che un macellaio deve vendere le patate, i piselli, le carote…Un macellaio dev’essere un macellaio, una drogheria dev’essere una drogheria! Una volta eran più bravi che adesso perché c’era il droghiere che vendeva il vino, che vendeva i liquori, il macellaio che faceva il macellaio. Ora ci sono i bazar!”.

Il cambiamento della via, esulando dal settore del commercio, risulta evidente: “sulla via Padova prima c’erano delle feste, lì c’era il gioco delle bocce, si andava a ballare, si andava a cantare, c’erano delle osterie belle, c’era più compagnia…Adesso cosa c’è?”

Signor E – Borsalino, negozio di cappelli

Il signor E, proprietario del negozio da 50 anni in via Padova, sostiene che a partire dal 2000-2001, la zona è cambiata totalmente: sembra essere rimasto tutto inalterato per almeno 30-35 anni e poi negli ultimi 10 anni c’è stata la svolta. Nella zona sono rimasti pochi italiani, “quei pochi vecchi, con reddito basso (anche come capacità di acquisto) e il resto tutti stranieri”.

Riguardo la nostra richiesta di spiegazioni circa i motivi per cui gli italiani avrebbero lasciato via Padova, il negoziante elenca dei fattori tra cui emerge innanzitutto che “la vita di negozio è una vita di sacrificio (elemento emerso anche nell’intervista al negoziante della macelleria): fai orari più lunghi degli altri, non fai weekend perché il sabato è lavorativo, ed è un lavoro abbastanza faticoso”. Fino a un certo punto è stato remunerato adeguatamente per cui “c’era qualcuno ancora disponibile a portarlo avanti perché faceva un po’ più fatica degli altri ma guadagnava bene; dopo i guadagni sono diminuiti e a quel punto lì uno dice se devo lavorare molto e guadagnare poco e posso fare dell’altro, allora preferisco.”

Di conseguenza i negozi hanno cominciato a chiudere, le nuove generazioni non sono state più sollecitate a continuare e quei pochi giovani che ci hanno provato, non avendo nessuna esperienza o capacità nel campo, e pensando che avere un’attività fosse semplice e molto remunerativo (modo di dire, a detta del signor E, lasciataci dalla tradizione), hanno aperto e chiuso negozio nell'arco di tempo di uno o due. Il nostro intervistato, a riprova di ciò, ci dice che il mestiere gli è stato insegnato dal padre e che lui lo ha insegnato al figlio.

Nel frattempo sono subentrati gli immigrati (soprattutto cinesi ed egiziani), disposti a comprare a prezzi superiori rispetto agli italiani e a pagare affitti alti che gli italiani non erano propensi a pagare e hanno offerto di più agli italiani che non quello che offrivano altri italiani (“un cinese nella via ci sta, soltanto che nessuno si immaginava che un cinese, poi un cinese, poi un altro cinese, alla fine è diventato tutto cinese nel giro di poco tempo!”).

Dal colloquio col signor E risulta che la minor rendita dei negozi italiani sia da ricondurre al periodo precedente l’immigrazione; anche per l’affitto degli immobili gli immigrati hanno offerto di più (elemento congruente con le parole del signor B alla bocciofila). In modo particolare sembra che i cinesi, pur essendo stati gli ultimi ad arrivare nella via, poiché prima sono immigrati nella zona i nordafricani e i sudamericani, abbiano “preso piede” più degli altri, almeno per quanto riguarda le attività commerciali e gli ultimi negozi rimasti non potrebbero andare che a loro perché ormai la via è tutta cinese, “è zona loro”.

Data la particolarità del negozio (vendita di cappelli al dettaglio, che “non si trovano dappertutto” oltre che altri articoli) il signor E ha conservato una clientela italiana che però va sempre più riducendosi non raggiungendo nemmeno una percentuale del 50%. Il motivo sembra collegarsi al fatto che in una via dove ci sono tutti cinesi, le persone con una certa fascia di reddito preferiscono recarsi in una via commerciale consona alle loro possibilità economiche e al loro livello e di conseguenza non percorrono tutta la via Padova “per vedere il signor Borsalino”: “a quel punto il cliente deve venire solo per te mentre prima faceva due passi”. Inoltre la clientela del cappello risulta essere un po’ anziana e questo, legato alla difficoltà di parcheggio e all’avvento dei centri commerciali ha provocato i noti esiti.

Il signor E sostiene anche che gli ultimi ristoranti, gestiti da cinesi o sudamericani, non cucinano italiano per gli italiani ma sono ristoranti gestiti da cinesi o sudamericani per cinesi e sudamericani! Questi ristoranti guadagnerebbero in media di più di quelli italiani.

L’integrazione manca di quelle premesse che la renderebbero tale: gli italiani si sono quasi tutti trasferiti, a parte gli anziani che non hanno la possibilità di farlo. “La via è diventata di loro proprietà: come la via Paolo Sarpi: là è tutto solo cinese, qui siamo in una via Paolo Sarpi internazionale!”. Il signor E sostiene che a suo parere nessuno più comprerà o prenderà in affitto un appartamento in un condominio dove sono tutti sudamericani o cinesi: “è inutile fare questioni di razzismo o non razzismo…Ci si trova meno bene! Non ci si capisce, quelli cucinano che puzza e per loro puzzeranno le nostre cucine, quindi integrarsi è facile ma a chiacchiere! Se uno sta di qua e l’altro di là vanno tutti d’amore e d’accordo ma quando si vive nello stesso condominio la musica cambia! Questa via, in un certo senso è diventata un ghetto e così gli italiani se ne vanno: anche il comune ha lasciato che le cose andassero come stavano andando.”


Esplorazione di: Arianna Albieri, Alice Comotti, Claudia Esposito




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