27 novembre 2011

18/11/11 - Gruppo 1: Resoconto Interviste di Beatrice e Irene C.

Arrivate in Via Padova ci siamo guardate intorno per scegliere un posto dove pranzare e ne abbiamo individuato subito uno che cucina kebab. Siamo entrate con la speranza che dopo aver mangiato ci avrebbero dato la possibilità di intervistarli.
Erano presenti due ragazzi, una ragazza giovane e una donna: la madre dei tre figli.
Vista la signora che indossava il velo e la varietà di piatti che proponevano abbiamo pensato fossero persone provenienti da qualche paese del Medioriente.
Invece si sono presentati come lei siciliana e il marito egiziano (assente in quel momento).
Non siamo riuscite a intervistarli, ma solo a recuperare qualche suggerimento per possibili interviste future e a fargli qualche domanda tra cui:
Come mai avete aperto un negozio in Via Padova?
“Abbiamo scelto di aprire qui perché c’era lo spazio disponibile.”
Abbiamo notato che oltre a kebab vendete lasagne, arancini e pizza, perché?
“Il nostro negozio riflette la nostra famiglia che è mista”.

Ci siamo poi dirette a un’agenzia viaggi che Irene conosceva: Vuela, alla prima rotonda di Via Padova.
Entrate, ci siamo presentate e abbiamo chiesto se potevamo fare qualche domanda.
Juan, il ragazzo dietro al bancone ci ha accolte calorosamente e si è reso disponibile a rispondere, ma non ha voluto che lo registrassimo. Ci ha dato, però, il permesso di fare un video all’interno del negozio firmando il consenso.
Lui è italo argentino ed è solo da qualche anno che lavora qui. La sua titolare, invece, è peruviana ed è qui da 20 anni. Nel negozio lavora anche un altro ragazzo che è equadoriano.
Juan ci racconta che vendono biglietti aerei soprattutto per il Sudamerica e hanno scelto di aprire un’agenzia viaggi di questo tipo in Via Padova perché “è il punto focale per i sudamericani”.
Lui non vive qui, ma fuori Milano e viene in Via Padova solo per il lavoro. Per questo motivo non ci dice molto sulla questione della memoria e della vivibilità nella Via, ma afferma: “ È una via pericolosa, non è come andare in Buenos Aires. Però ci sono anche molti stereotipi.”
Prima di salutarci ci dice che per la nostra ricerca può essere interessante intervistare la panettiera di fronte. Seguiamo il suo consiglio, lo ringraziamo e ci dirigiamo verso Il Fornaio.
Entriamo nel negozio e ci presentiamo alla signora panettiera.
Si dimostra subito disponibile e comincia a raccontarci le sue impressione sulla Via.
“… Da un annetto a questa parte ci sono più controlli, va un po’ meglio.
Vent’anni fa ho aperto il negozio e non era così. Se no non avrei mai aperto qui. Non per gli stranieri, eh, per carità”.
Entrano due clienti italiani. La signora continua: “Io non vado nei loro negozi e loro non vengono nel mio…C’è troppa prostituzione… Vede non ci sono più italiani in questa Via. Non ci sono più i negozi che c’erano prima. Oltre Moda era un negozio che vendeva vestiti da sposa, ora sono cinesi che vendono le loro “cineserie”. Il “degrado”, perché lo dobbiamo chiamare così, è iniziato con questi negozi “usa e getta”, senza qualifica… Io non ce l’ho con gli stranieri, ce l’ho con le autorità che danno i permessi a questi stranieri di aprire i loro negozi che fanno gli orari che vogliono. Come fa un fruttivendolo a stare aperto tutto il dì da mattina a sera?”
Le chiediamo se ha mai pensato di trasferirsi. Intanto vediamo che entrano clienti, anche stranieri.
“Sì, certo, penso di trasferirmi, i miei figli soprattutto… Anche noi siamo venuti qua con la nostra valigia di cartone 40 anni fa. Prima siamo andati a vivere a Crescenzago poi qui. Viviamo in un condominio di italiani e stranieri che lavorano onestamente… Siamo di Bari noi… abbiamo lottato per non lavorare la domenica. Anche “loro” devono rispettare gli orari di apertura e chiusura dei negozi… E poi c’è troppa gente sul marciapiede da mattina a sera senza lavorare”.
Con fatica tentiamo di indirizzare il discorso sulla sua storia di migrazione.
“Sì, c’erano discriminazioni nei miei confronti. Vi racconto un episodio: Un giorno sono entrate due signore a comprare il pane e hanno visto i miei figli. Una disse – Che bei bambini!- L’altra signora si gira e dice – Sì, ma son semper terùn- “.
La nostra interlocutrice torna subito al discorso dei negozi di stranieri che sono tutti di abbigliamento, sono sempre vuoti e si chiede come fanno a pagare l’affitto. Sono sempre aperti, alcuni fino a tardi, mentre il suo negozio una volta è rimasto aperto fino alle 19.37 e le hanno fatto subito il verbale.
Le chiediamo se lei entra mai in uno di quei negozi e ci risponde:
“ Solo al cinese qui di fianco do il pane e bevo il caffè… Io, da meridionale, non vado a prendere quelle scatolette”.

Finita la chiacchiera con la panettiera, entriamo nel negozio di animali di cui ci aveva parlato la signora del kebab. In un ambiente molto curato e pretenzioso (le gabbie dei cagnolini sono come vetrine sulle nostre teste, davanti al bancone, illuminato con luci calde, ci sono poltrone in pelle per accogliere i clienti), troviamo due commesse, una austriaca l’altra romana, che si dimostrano un po’ titubanti di fronte alle nostre richieste, ma alla fine accettano di farsi audio registrare.
I loro discorsi, però, non si scostano da un malcelato razzismo e dalle continue lamentele per la situazione attuale di via Padova. Cerchiamo di farci raccontare anche le loro storie di migrazione, ma riusciamo a raccoglierne solo piccoli brandelli.
La commessa austriaca si è trasferita a Milano 15 anni fa e vive in via Padova da 5, solo perché un amico le ha trovato casa qui. Era venuta in Italia immaginando il romanticismo italiano, mentre ora afferma di non capire più dov’è, vista l’esagerata presenza di stranieri (“quando la domenica esco non capisco dove sono”, “ero venuta in Italia per essere in Italia, ma adesso…dove sono?!”). Non sa cosa fare nel futuro, di certo andarsene da via Padova, magari in una villetta fuori Milano, perché tornare in Austria ora, dopo tanto tempo, sarebbe difficile.
La ragazza romana, invece, che è quella che più si dilunga in sproloqui anti-stranieri (“comunque...ehm...marocchini…cose… lì, sempre ubriachi!” “ragazzi italiani che mi infastidiscono…guarda, ci metterei la firma!”) è sempre passata da Milano, ma si è trasferita qui (in un’altra zona) 9 anni fa.
Approfittiamo dello squillo del telefono per concludere e rimetterci alla ricerca di altre persone da intervistare.
Identifichiamo un bengalese dall’espressione simpatica, ma è alle prese con lo scarico merci. Pensiamo che potremmo intervistare il ragazzo (pare italiano, del sud?) che è fisso come un palo di fronte alla vetrina di un negozio cinese di telefonia e con cui abbiamo scherzato sul passeggino della bimba di Irene lasciato incustodito, ma ci sembra che sarebbe deviante rispetto ai nostri obiettivi. Entriamo allora nel negozio, ma la ragazza e il ragazzo cinesi al bancone non vogliono collaborare con noi, con la scusa di non abitare in via Padova. Proviamo allora nel ristorante latino-americano dietro l’angolo, dove però riceviamo l’ennesimo rifiuto.
Ci lasciamo attrarre dallo scorcio interessante di un piccolo negozietto, nel quale una signora è alle prese con una vecchia macchina da cucire. Entriamo ed otteniamo l’intervista che ci renderà soddisfatte della giornata! Inizialmente chiacchieriamo con Annamaria, la signora, che, una volta appurato che i nostri interessi non toccavano il razzismo attuale in via Padova, ha dato inizio ad un piacevole flusso di ricordi, al quale hanno poi contribuito anche Giuliano e Mario, i due signori che, al nostro arrivo, chiacchieravano tra loro nel retrobottega. Si delinea così, attraverso la polifonia delle loro voci, l’immagine di una via Padova molto diversa da quella attuale: la strada lastricata di pavè attraversata da fiumiciattoli da cui risuona il frinire dei grilli ed il gracidare delle rane, il tram giallo, le biciclette che trasportano il ghiaccio, i carbonai, i corrieri, ragazzi che si trovano a ballare al civico 61, il Parco Trotter come polmone verde per guarire i bambini tisici, e, in periferia, addirittura marcite e risaie.
Ricaviamo anche degli interessanti cenni sulle loro storie personali, specialmente sul percorso migratorio di Mario, trasferitosi in città a 18 anni dalla val del Cassero.

Soddisfatte dell’ultima chiacchiera, della registrazione e del paio di riprese ricavate (tra cui una buffissima in cui Mario finge di cucire!), decidiamo che la nostra avventura si può, per il momento, concludere qui.

Interviste semi-sbobinate:
● NEGOZIO DI ANIMALI
commessa austriaca venuta in Italia 15 anni fa, vive qui da 5 anni perché è stato facile trovare un alloggio tramite un amico
clientela italiana prevalentemente
se potesse andrebbe via immediatamente, da questa via, che “quando di domenica esco non capisco dove sono...c'è anche brava gente che va a lavorare, non si può mettere tutti nella stessa pentola”
vorrei una villetta fuori Milano
quello che pago per una casa in via padova è davvero esagerato
le specialità di altri paese li vogliamo provare tutti,alle volte vado dal cinese o dal Kebab
ero venuta in italia per essere in italia, adesso mi guardo intorno...dove sono?
in austria di stranieri ce ne sono tanti ma non possono permettersi quello che si permettono qui

commessa romana: milano è cambiata tanto negli ultimi 10 anni...paragone con Paolo Sarpi
è qui da tanto tempo ormai (9 anni) ed è sempre passata di qui
anche quando esco da casa mia dalla parte opposta di Milano vedo sempre alle 9 di sera “comunque...emh...marocchini/cose ,lì, ubriachi!! con bottiglie di birra che ti rompono cmq le scatole...
“poi non è che uno deve fare discorsi di razzismo”.... poi dice dice rivolgendosi agli stranieri:- “io sono a casa mia e loro mi devono portare rispetto!”
ragazzi italiani che mi infastidiscono -guarda- ci metterei la firma
ripeto, Non è un discorso...“uno vuol fare razzismo...ci mancherebbe altro”

● TAPPEZZIERE (ha qui il negozio da 50 anni)
il figlio continua il lavoro del padre nell'altro negozio di via padova.
Annamaria
nata e vissuta a pta venezia, ora vive in via padova (dal 54) e non le piace.
Ricorda quando veniva, da giovane, con un tram giallo, che partiva da pta venezia e arrivava qui, nella zona delle case popolari, che veniva chiamata “mulino”. Aveva una zia che abitava nelle case popolari e già quando aveva 12 anni veniva a trovarla per andare a ballare, al numero 61 di via padova, insieme anche alle sue cugine più grandi. Si andava a ballare in questo posto gestito da un partito o a volte anche in luoghi più eleganti, si seguiva l'onda. Si poteva andare in giro da soli a tutte le ore del giorno (lei finiva di ballare a mezzanotte e a volte partiva da casa di dua zia la mattina presto). Ora, nemmeno alla sua età, se la sente di andare in giro da sola la sera.
Lei viene qui per passare il tempo.
Ha fatto ragioneria e poi ha lavorato nella ditta del padre autotrasportatore.
Di via padova si ricorda la gelateria “il mago del gelato” ora, ci guardi dentro, c'è un bar di cinesi. Di fronte c'era una teleria...adesso invece un negozio di cineseria. All'altro angolo c'era un altro bar...adesso gestito sempre da cinesi. Le macellerie che lei vede una volta erano di italiani e adesso non ce ne sono più d'italiane., tutte arabe o insomma di extracomunitari. (...)autofficina, colorificio, ora tutte cineserie.
era tutto pavè, era più bello, aveva una sua caratteristica.
Quando hanno sgomberato il leoncavallo, i ragazzi del leo si trovavano qui.
Ha sposato un siciliano, l'ha conosciuto qui al 61, a ballare.

Verso i meridionali c’era ostruzionismo. Facevano fatica ad inserirsi. Anche perché noi eravamo un po’ chiusi. Un po’ come adesso: noi ci chiudiamo lasciandoci, come si può dire, sopraffare da tutte queste persone. Prima o poi ci seppelliranno. Ma non siamo capaci di reagire. E allora come si reagisce? Chiudendosi in noi stessi e lasciando in disparte gli altri. Questo era quello che succedeva a loro. Anche perché purtroppo quando arrivavano, arrivavano con le valigette chiuse con la corda. Dico la verità che portavano su il mangiare (pecorino, cose del genere), quindi quando arrivavano erano un po’ rifiutati. Mio marito era siciliano (provincia di Palermo). Ogni tanto servivano anche loro!
Ricorda anche di come si sentiva un po’ rifiutata quando è scesa al paese di suo marito. Nonostante l’ospitalità siciliana, i genitori dell’uomo avrebbero preferito che avesse trovato una moglie lì al paese.

Mario (val del cassero) e Giuliano (val seriana, madre pavese)
(polifonico)
Io ricordo che via Padova, negli anni dal 46 al 53-54 era la via dei corrieri. Mi ricordo c’era Dani, Domenichelli, ecc. io me lo ricordo perché quando volevo andare al mio paese d’origine, il treno era molto scomodo (si viaggiava in piedi sui carri merci e il treno faceva tutte le fermate), allora io venivo in via padova e siccome i miei lavoravano a un magazzino qui, c’erano tutti i corrieri che conoscevo e ce n’era anche uno del mio paese. Lui mi portava fino a bergamo, poi la corriera mi portava in val seriana.
L’unità del tempo era molto diversa da adesso.
La via padova negli anni 50-60 era attraversata da fiumiciattoli. Allora quando arrivavi in fondo a via padova eri già fuori milano e non c’erano mica tutte ste case. Alla gobba c’era l’osteria. Eran tutte marcite, c’era il riso qui a destra. Era roba da paesani. Come attività, negozi ecc, ghe n era casi minga.
La cosa più bella secondo me che c’era a milano in questa zona qui erano i tram, poi han fatto il metrò. Qua in via padova ora c’è l’autobus lì scalcinato. Poi abbiamo una storia qui a piazza loreto abbiamo ucciso il duce.
Al’’angolo via padova- ple loreto c’era il cinema novecento e poi c’era una chiesetta, che era un prototipo della nostra chiesa “il redentore”, che a sua volta è
Io mi ritengo un fortunato perché sono nato in un epoca in cui ho potuto vedere un cambiamento che… – ma in un attimo! – è stato impressionante. Io andavo alle scuole elementari con i miei amici che avevano su gli zzoccoli e che venivano in classe con gli zoccoli sporchi di cacca di mucca…bene…quando in quarta elementare abbiamo inaugurato la nuova scuola del mio paese, ci sembrava un monumento! In stile mussoliniano. Ricordo l’odore dell’aula nuova, che io non riesco a definire, a esprimere – posso aggiungere una cosa: c’era invece l’odore del posto vecchio che eran tutte case di ringhiera, come questa è ancora del 1901, quella di là del 1899. era bella come casa. Era un proprietario unico.
Quando noi siam venuti a milano per noi è stato un trauma, perché abituati a un paesotto.
A 11 anni io giravo già con le stoffe! Prima uscita ero con gli zzoccoli, come dice il mio amico qui e dormire sul carro di notte, col freddo, col gelo e tutto quanto. A milano sono venuto a 18 anni, nel 53, da solo… dopo un po’ mi sono portato la bicicletta, non avevo neanche da mangiare. Però prima sono andato a genova, facevo la spola da là a genova. Lavorava da minatore, (con la rivoltella), visto che suo papà era minatore. C’erano molte miniere di lignite (sostituto del carbon cock, dell’antracite). Si usava fare miniere in obliquo, la prima volta che ne hanno fatta una in verticale io sono rimasto impressionato.
In via padova di carbonai ce n erano tantissimi (uno c è ancora li avanti).
Alla nostra epoca non c erano i frigoriferi, il cubo (50x20)di ghiaccio lo si portava con le biciclette. (gli è venuto in mente perché oggi il padrone dell’orto gli ha mostrato un mobiletto, che aperto era tutto in acciaio per mantenere il freddo)
Ora al parco trotter ci vanno tutti, di tutti i colori. una volta ci andavano i figli delle persone che non stavano bene, che avevano la tbc. Era un polmone di milano, di aria pura. C’erano le scuole montessoriane.
Altri ricordi in libertà…(il freddo, la cucina-soggiorno, i fiori sui vetri)
Qui avanti c’era una di quelle acque marce, solforosa. (ci raccontano l’origine di una al lago vicino al suo paese e ne discutono)
Una volta si sentivano i grilli e e le rane in martesana. Ora ci mettono dentro gli anatroccoli ma c è qualcuno che se li mangia! Di notte li vanno a prendere, i cinesi. Ci fanno spegnere il registratore per raccontarci l’aneddoto.

Esplorazione di: Beatrice Meroni, Irene Carrara

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